A Survivor from Warsaw, op. 46

per voce recitante, coro maschile e orchestra

Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
Testo: da una cronaca
Organico: voce recitante, coro maschile, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, xilofono, campane, grancassa, piatti, tam-tam, tamburo, tamburo piccolo, triangolo, castagnette, arpa, archi
Composizione: 7 luglio - 23 agosto 1947
Prima esecuzione: Albuquerque, Carlisle Gymnasium, 4 novembre 1948
Edizione: Bomart Music Publications, Long Island, 1949
Dedica: Natalie Koussevitzky
Guida all'ascolto (nota 1)

Opera-simbolo della libertà, Fidelio è l'unica composizione non scritta da Wagner che sia stata rappresentata sul palcoscenico del tempio di Bayreuth, e precisamente nell'immediato dopoguerra, quando le sovrastrutture imposte dal regime hitleriano al pensiero wagneriano avevano portato a una identificazione, che oggi sappiamo fortunatamente fallace, fra la musica di Wagner e l'ideologia nazional-socialista. Certamente non era casuale la scelta di Fidelio per quella occasione. La sconfitta storica del movimento di pensiero che negava i principi di libertà, eguaglianza e fraternità resi universali dalla Rivoluzione francese, doveva trovare celebrazione proprio con l'opera che era invece la riaffermazione più alta e più convinta dell'universalità di quei principi. Non sono mancate, fra l'altro, nell'ultimo cinquantennio, numerose messinscene di Fidelio che ambientavano più o meno apertamente l'azione nella Germania di Hitler; fra queste anche la versione proposta da Giorgio Strehler allo Chatèlet di Parigi e alla Scala, una fra le ultime realizzazioni operistiche del regista triestino.

Del tutto comprensibile, dunque, l'accostamento, in un programma concertistico, delle pagine beethoveniane con un lavoro che, per la sua forza di denuncia e il suo impatto espressivo, si è imposto come uno degli autentici classici della musica del nostro secolo, A Survivor from Warsaw di Arnold Schönberg. Schönberg scrisse questa partitura, per voce recitante, coro maschile e orchestra, nel volgere di pochi giorni, fra l'11 e il 23 agosto 1947. La musica venne composta per incarico della Koussevitzky Music Foundation e dedicata "alla memoria di Natalie Koussevitzky", la moglie del grande direttore che tanto si era adoperato per la diffusione della musica del nostro secolo.

Lo spunto alla base della partitura, tuttavia, era precedente, e derivava dal racconto di un giovane polacco scampato alla strage compiuta dai nazisti nel ghetto di Varsavia. Schönberg aveva scritto di getto il testo sotto l'impressione di quel racconto, per poi decidere di metterlo in musica. Il testo narra di come un mattino gli ebrei di Varsavia furono destati per essere condotti, dietro l'incitamento efferato dei calci dei fucili nazisti, verso le camere a gas. I numeri, scanditi a voce alta, che incalzavano la macabra conta, vennero interrotti dal canto spontaneo delle vittime per darsi coraggio, lo "Schema Yisroel", la preghiera che comanda di amare Dio, unico Signore.

Forse nessun artista più di Schönberg, nel nostro secolo, ha avuto una concezione etica dell'arte, avvertendo il proprio lavoro come un'autentica missione. In questa concezione un ruolo centrale rivestiva l'esperienza religiosa. La conversione alla religione dei padri, compiuta a Parigi nel 1933, dopo la fuga dalla Germania nazista, e per reazione, era però frutto di una lunga metabolizzazione, che aveva portato il compositore a meditare sulla cultura ebraica e a far proprie - senza però una partecipazione attiva - tutte le tematiche che si dibattevano all'interno del movimento sionista.

Si succedono dunque nel suo catalogo i lavori religiosi, o comunque di riflessione sull'identità ebraica; lavori che culminano nel grandioso affresco incompiuto di Moses und Aaron. A Survivor from Warsaw costituisce insomma una tappa doverosa all'interno di questo percorso; doverosa perché corrispondente alla necessità etica della denuncia. Ma non è solo il contenuto del testo che colpisce nel Survivor, quanto soprattutto la perfetta aderenza della veste musicale, la cui meticolosa complessità viene quasi dissimulata in una totale partecipazione espressiva.

C'è, innanzitutto, la voce recitante, che scandisce il testo del personaggio narratore; se, in gioventù, Schönberg aveva inventato la "Sprechstimme", cioè quella particolare intonazione recitata di altezze musicali effettivamente scritte che ebbe la sua clamorosa affermazione in Pierrot lunaire, il vecchio Schönberg si rifugia in una intonazione del testo più intimistica e più sobria, in cui sono indicati solamente i ritmi e le inflessioni orientative della voce. La composizione del tessuto orchestrale doveva porre particolari problemi; ovvio il ricorso alla tecnica seriale nella definizione delle altezze. La necessità di rendere perfettamente intelleggibile il testo spinse l'autore a una strumentazione che tende al camerismo, fatta di aggregazioni e non di sottrazioni di suoni. Infallibili sono le scelte strumentali, dagli squilli di tromba dell'inizio, che si riaffacciano ripetutamente, all'uso degli archi divisi e con sordina, per sottolineare preziosi dettagli, alla ritmica incalzante di tutto l'organico, per accompagnare il momento della conta. Ma l'effetto più impressionante è l'improvviso ingresso del coro maschile all'unisono sul testo dello Shema Yisroel; qui la melodia trovata da Schönberg è semplice e icastica allo stesso tempo, di disarmante efficacia. L'antica preghiera che si alza dalle vittime della persecuzione parla in ebraico antico, ma si trasforma nella denuncia universale del sopruso e dell'umiliazione, conquistando quella dimensione ideale che forse nessun compositore dal tempo di Beethoven era stato capace di attingere.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 18 ottobre 1998


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Ultimo aggiornamento 14 gennaio 2015