Allegretto in do minore per pianoforte, D. 915


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 26 aprile 1827
Edizione: Gotthard, Vienna, 1870
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel corso della sua brevissima vita Schubert compose ben sette messe, nove sinfonie, undici ouvertures, diciassette lavori per il teatro, trenta composizioni di musica da camera, ottanta cori, 450 pezzi per pianoforte e non meno di 600 Lieder. Una produzione immensa e tale da riempire 40 volumi di una biblioteca, nonostante le gravi difficoltà finanziarie in cui fu costretto a vivere questo umile compositore, che non ebbe dalla società del suo tempo quel riconoscimento che avrebbe meritato, per aver scritto alcuni dei capolavori in senso assoluto della letteratura musicale. In questa produzione non mancarono certamente i pezzi d'occasione come l'Allegretto in do minore, con una sezione centrale in la bemolle maggiore, che Schubert scrisse il 26 aprile 1827 in ricordo del caro amico Ferdinand Walcher, un funzionario del governo viennese partito per Venezia, base importante della flotta imperiale austriaca. È una pagina molto melodica e toccante per la tenerezza del sentimento, specie nelle modulazioni di mezzo, non meno suggestive di quelle conosciute inserite nei Momenti musicali e negli Improvvisi.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Strano destino toccò al povero Schubert. Fu il più grande musicista con quel nome, ma dieci anni dopo la sua morte un celebre dizionario non lo nominava neanche (mentre ben sette erano gli Schubert che vi figuravano). Ha scritto le più belle sonate della storia della musica, ma un secolo dopo di lui un grande come Rachmaninov affermava di non conoscerne alcuna: l'ombra di Beethoven e delle sue trentadue sonate aveva compiuto l'involontario misfatto. Scrisse anche pezzi brevi per pianoforte, ma non tutti venivano eseguiti nella pratica concertistica e discografica degli inizi del nostro secolo (e non parliamo dell'Ottocento), neanche quel divino Allegretto in do minore in programma stasera. Si può dire che la scoperta di Schubert, come quella di Mahler o dell'estremo Liszt pianistico, è opera degli ultimi decenni, quando il grande viennese cessò di essere il musicista della serenata, dell'incompiuta, della casa delle tre ragazze, degli angeli senza paradiso, degli infelici amori con fanciulle d'alto lignaggio, degli occhialini ovali nelle tele di Kupelwieser, delle scarrozzate nel Prater o nelle pianure ungheresi; il protagonista insomma di storie più o meno hollywoodiane. Oggi si parla, si scrive di lui come di un maestro, un innovatore, un genio; di uno dei più grandi geni della musica.

Prendiamo questo Allegretto. Di «allegretto» non ha che il nome. «Non conosco una musica che non sia triste» diceva Schubert. Qui la tonalità classica del dramma mozartiano e beethoveniano, la tonalità poco più tardi scelta per una delle più grandi sue sonate, è impiegata per un tenero, melanconico, meditativo commiato musicale: la partenza da Vienna dell'amico Walcher, forse mai più rivisto (il musicista morrà l'anno seguente). Tripartito, nella classica struttura dell'improvviso, del momento musicale schubertiano, la musica vi gioca nei soliti contrasti di maggiore e minore, con eloquenti silenzi e pause, secondo un simbolismo chiaramente definibile: la necessità ineluttabile della separazione, la possibile speranza del ritorno. La tristezza infatti lascia il posto a toni più teneri, più consolatori. Non è valsa, inspiegabilmente, dalla fama di questo piccolo capolavoro l'affinità con le altre brevi composizioni schubertiane, né il fatto di avere interessato i più grandi interpreti, da Schnabel a Richter, ad Arrau, a Brendel, a Pollini.

Riccardo Risaliti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 dicembre 1984
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 28 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 15 aprile 2016