Quartetto per archi n. 9 in sol minore, D. 173


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro con brio (sol minore)
  2. Andantino (si bemolle maggiore)
  3. Menuetto. Allegro vivace (sol minore). Trio (si bemolle maggiore)
  4. Allegro (sol minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 25 marzo - 1 aprile 1815
Edizione: Peters, Lipsia, 1871
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Schubert scrisse quindici quartetti per archi, oltre a vari tempi staccati, tra il 1812 e il 1826. Soltanto uno, quello in la minore D. 804, venne pubblicato quando era ancora vivente l'autore. Degli altri quattordici, nove furono fatti conoscere prima del 1870 dall'editore lipsiense Peters e i restanti apparvero stampati nel 1890 con l'edizione completa delle opere pubblicata in quaranta volumi da Breitkopf e Haertel tra il 1884 e il 1897. Secondo i più autorevoli studiosi dell'arte schubertiana i primi nove quartetti, composti dal 1812 al 1815, non avrebbero una particolare origignalità tematica e risentirebbero troppo di certe influenze formali classiche, specialmente mozartiane. Solamente nel Quartetto in mi maggiore D. 353 e nel Quartetto in do minore D. 703, di cui risulta ultimato l'unico primo tempo, un Allegro assai di pregevole fattura e di appassionata cantabilità, si intravede uno Schubert accentuatamente romantico e inventore di giochi armonici, quasi premonitori della maniera mendelssohniana e addirittura brahmsiana. Lo stile schubertiano pieno e completo, con la sua ricchezza melodica e i suoi struggenti accenti crepuscolari, si ritrova negli ultimi tre quartetti, e precisamente nel Quartetto in la minore D. 804, caratterizzato fra l'altro dalla cullante cantilena esposta nel primo tempo dal primo violino e dal travolgente Allegro moderato finale risonante di vivaci ritmi ungheresi che riflettono sentimentalmente il soggiorno del musicista nella dimora magiara degli Esterhàzy, il Quartetto in re minore D. 810, meglio conosciuto con il titolo "La morte e la fanciulla" e carico di struggente poesia lirica, e il Quartetto in sol maggiore D. 887.

Il Quartetto per archi in sol minore D. 173 appartiene alla produzione del primo periodo creativo schubertiano e fu composto tra il 25 marzo e il 1° aprile del 1815, certamente sotto l'impressione dell'op. 18 n. 2 di Beethoven e della Sinfonia in sol minore di Mozart. Tale richiamo si può riscontrare sia nell'Allegro con brio, dal tema cantabile sorretto da una varietà di armonie, e sia nel Minuetto in tempo di "Allegro vivace" con il relativo Trio. Il movimento più caratteristico è l'Andantino, costruito su un ritmo dattilico (una lunga e due brevi, secondo il verso latino) tanto amato da Schubert: è una pagina melodicamente piacevole e intrisa di "Stimmung" romantica con il primo violino e il violoncello dialoganti fra di loro, su un accompagnamento di un delicato mormorio in terzine delle voci intermedie. L'Allegro finale ha un andamento spigliato e psicologicamente cordiale, alla maniera di Haydn, ma, a detta di Alfred Einstein, «diversamente da quanto avviene in Haydn il tono minore resta invariato sino alla conclusione».

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con quattordici composizioni (a cui si dovrebbero sommare diversi frammenti e alcuni smarriti quartetti giovanili) il genere del quartetto per archi occupa, nel catalogo cameristico di Franz Schubert, uno spazio che è numericamente subalterno solamente al grande blocco delle diciannove sonate per pianoforte. Gli autori delle generazioni precedenti - in testa Haydn, Mozart, Beethoven - avevano rivolto il loro interesse principalmente verso le grandi forme, la sinfonia, il quartetto, la sonata; i settantacinque quartetti per archi scritti da Haydn, i ventisette di Mozart, i diciassette di Beethoven mostrano l'impegno militante di questi autori nel riflettere sulle vaste articolazioni. Diversamente, le generazioni successive a quella di Schubert guarderanno con distacco al genere del quartetto. Per i compositori dell'età romantica l'esempio beethoveniano costituisce un termine di paragone da venerare, un ideale formale di perfezione inattingibile. Di qui la difficoltà di scrivere quartetti che possano reggere tale paragone. Al quartetto i romantici tornano quindi solo in limitate occasioni, e in una prospettiva del tutto differente; quella del confronto con un genere desueto, con la storia.

Già queste semplici osservazioni valgono a chiarire come la produzione quartettistica di Franz Schubert vada, in un certo senso, contro la storia. Più che proteso alle rivoluzioni proposte dalla generazione dei giovani leoni romantici, Schubert appare come indissolubilmente legato all'età del classicismo; epigono di Haydn, Mozart e Beethoven, intento a confrontarsi con questi modelli del passato, ma non riprendendo tali e quali le forme della tradizione, bensì reinterpretandole secondo la propria sensibilità e la propria visione del mondo.

Non viene meno per Schubert la particolarissima scrittura per archi elaborata nell'età del classicismo. La complessa ricerca operata da Haydn, e ripresa da Mozart, aveva portato, negli anni Ottanta del secolo diciottesimo, alla definizione di una scrittura quartettistica che esaltava al massimo la preziosità e l'esclusivismo del genere, qualificando il quartetto per archi come il genere peculiare e quintessenziale dello stile classico.

Questo tipo di scrittura è insieme "obbligata e concertante", presuppone cioè un ruolo egualitario di ogni strumento, ottenuto però non secondo la totale indipendenza melodica delle voci l'una dall'altra - propria del vecchio stile contrappuntistico - ma secondo un calibrato dialogo degli strumenti, che alternano ciascuno reciprocamente la funzione melodica e quella di accompagnamento. È insomma una scrittura che risponde nel modo più convincente al problema proprio della formazione cameristica per archi; quello di ricercare una varietà coloristica all'interno di un timbro monocromo. Ma a rendere ancora più astratto e prezioso questo tipo di scrittura contribuisce in modo essenziale il principio dell'elaborazione tematica, ossia la tecnica di riprendere e elaborare il materiale tematico, sviluppando al massimo le potenzialità di pochi temi posti alla base del singolo movimento (evitando dunque la continua, piacevole melodiosità che è il principio basilare dei generi musicali più disimpegnati). Ecco quindi che, per l'insieme di questi motivi, il quartetto si collocava nella sfera concettuale più alta, e insieme al vertice dell'impegno professionale di un musicista.

Schubert apparteneva a una generazione che, a differenza di Beethoven, non aveva vissuto le tensioni ideali dell'età napoleonica, ma era cresciuto piuttosto nell'epoca in cui quelle tensioni avevano visto la loro disfatta. Logico quindi che i principi informatori della sua musica fossero così diversi da quelli di Beethoven. Il quartetto beethoveniano si nutriva, come la sonata - per usare una sommaria, comoda schematizzazione -, di una dialettica di contrasti fra due idee principali che rifletteva le tensioni ideali di cui si è detto. Nel quartetto schubertiano questa dialettica viene a mancare; viene sostituita da una logica paratattica, in cui le melodie, spesso di ascendenza liederistica, vengono iterate e riesposte sotto diverse illuminazioni espressive. Per usare le parole di Piero Rattalino, «L'assenza di contrasti in Schubert, contrapposta alla ricchezza di contrasti e di superamenti in Beethoven, rivela l'impossibilità di un rapporto dialettico con il mondo, il senso della solitudine, la nostalgia priva di oggetto determinato».

Quartetto in sol minore D. 173

Personale appare nell'insieme il Quartetto in sol minore D. 173, scritto fra il 25 marzo e il 1 aprile 1815. Si sente, nel primo movimento, lo studio del quartettismo di Beethoven, per l'intonazione drammatica; ma anche l'equilibrio fra i quattro strumenti è assai più calibrato, lasciando spazio a inseguimenti e intrecci; inoltre si impone a tratti la cantabilità lirica propria di Schubert, come in un lungo episodio della sezione dello sviluppo, in cui il violino viene accompagnato in tremolo dagli altri tre strumenti. Sorprendente è la ripresa in maggiore. Come tempo lento c'è un Andantino che nella grazia e nella costruzione, nel rilievo delle voci interne mostra la mano del suo autore; mirabile è soprattutto l'episodio centrale, con il dialogo a distanza fra violino e violoncello e la transizione ad altre regioni sonore. Il Minuetto si basa sul contrasto fra lo scatto nervoso dell'incipit e l'oasi serena del Trio. Il Finale è innervato da un tema breve e scattante che proietta la sua ombra su tutto il movimento; si impone per quasi tutto questo tempo la tonalità minore, chiaro indizio del tentativo di mantenere un'atmosfera serrata e coerente; anche qui peraltro non mancano le fascinose transizioni proprie dell'autore maturo.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 30 novembre 1984
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 febbraio 1997


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Ultimo aggiornamento 22 novembre 2014