Quartetto per archi n. 14 in re minore, D. 810 "Ver Tod und das Mädchen" (La morte e la fanciulla)


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro (re minore)
  2. Andante con moto (sol minore)
  3. Scherzo. Allegro mmolto (re minore). Trio (re maggiore)
  4. Presto (re minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Marzo 1824
Prima esecuzione privata: Vienna, 1 febbraio 1826
Edizione: Czerny, Vienna, 1831
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le profonde riflessioni di Schubert sulla creazione artistica, e sulla sua in particolare, sono in un certo senso collegabili con un caratteristico aspetto delle sue composizioni di quel periodo: il recupero e la rielaborazione di temi presi da suoi lavori precedenti. Questa peculiarità è espressamente dichiarata nel titolo del Quartetto in re minore D. 810 «Der Tod und das Mädchen» (La morte e la fanciulla): il titolo è infatti preso da uno dei più celebri Lieder schubertiani, composto nel 1817 su testo di Matthias Claudius, il cui tema serve come base per il secondo movimento del quartetto. Il Quartetto in re minore fu in realtà completato dopo quello in la minore. La prima esecuzione ebbe luogo soltanto due anni dopo, il 1° febbraio 1826, nella casa di Josef Barth, un tenore amico di Schubert. È probabile che nel frattempo Schubert avesse rivisto il lavoro, la cui prima stesura pare fosse stata criticata da Ignaz Schuppanzig, leader dell'omonimo, celeberrimo quartetto. Il Quartetto in re minore non fu eseguito in pubblico, né dato alle stampe vivente l'autore; la prima pubblicazione, curata da Josef Czerny, si ebbe nel 1831.

La presentazione dello scultoreo tema principale - con il violento fortissimo, la strappata dei quattro strumenti, la cellula motivica discendente in terzina (violino secondo e viola) e le drammatiche pause - introduce senza preamboli nel clima tragico dell'opera. Dopo un breve frammento più cantabile, il motivo in terzina, anche invertito nella direzione, dà vita a un febbrile crescendo passando da uno strumento all'altro. Il crescendo è in realtà doppio, perché dopo un piano improvviso, la terzina, dialogata tra violino primo e violoncello, genera un crescendo ancora più ampio, che conduce alla ricomparsa del tema iniziale, nel quale però le pause sono sostituite da un drammatico arpeggio ascendente. La rapida transizione, sempre basata sulla terzina, conduce alla tonalità del relativo maggiore (fa), con un tema che è però ancora imperniato sul motivo-terzina. Il vero e proprio secondo tema, cantabile e quasi popolareggiante, arriva soltanto in un secondo tempo, esposto in terze dai due violini sopra un accompagnamento di terzine della viola. Un discorso armonico continuamente cangiante, che sfiora più volte il modo minore, conduce a una vera e propria elaborazione di questo tema, il cui motivo fondamentale rimbalza dal primo violino al violoncello e alla viola, mentre al violino primo è affidato un tormentato e quasi virtuosistico contrappunto in semicrome. Lo stesso materiale viene poi distribuito diversamente (motivo principale ai violini in ottava, semicrome dialogate tra violoncello e viola), prima che il violino primo, rimasto solo, conduca verso l'episodio conclusivo con un reiterato motivo in semicrome. Nella sezione che chiude l'esposizione - la tonalità è quella della dominante maggiore (la) - questo stesso motivo funge da controcanto al secondo tema, prima di venir ripreso con vigore da tutti gli strumenti all'unisono. È ancora un'elaborazione del secondo tema, che riporta l'armonia al modo minore, a concludere l'esposizione.

Lo sviluppo si apre con il medesiino materiale che aveva chiuso la sezione precedente. L'irruzione del motivo-terzina al violoncello dà vita a una drammatica contrapposizione dei due temi principali, scandita da improvvisi fortissimi dei quattro strumenti in ottave e da brevi inserti lirici del primo violino, entrambi basati sul ritmo puntato del secondo tema. Il motivo fondamentale di quest'ultimo viene poi dialogato dagli strumenti a coppie (violini da un lato, viola e violoncello dall'altro). La strappata che chiude questa sezione, nella quale l'armonia non si è mai spostata dal modo minore, è il segnale per la riconduzione verso la ripresa: i violini si scambiano il motivo-terzina nella sua versione ascendente, la viola reitera il ritmo puntato del secondo tema, mentre al violoncello è affidato un pedale di dominante che sottolinea il ritmo puntato della viola: questi elementi danno vita a un crescendo che porta alla ripresa, una ripresa simmetrica all'esposizione, ma privata di tutta la sezione iniziale. La coda è dominata dal motivo-terzina.

Il secondo movimento, Andante con moto, è un tema a variazioni basato, come già si è detto, sul tema principale del Lied Das Tod und das Mädchen, in particolare sul corale che funge da introduzione al Lied e che accompagna poi le parole della morte. La tonalità è sol minore. Il tema è diviso in due parti, ciascuna recante il segno di ritornello; nella seconda parte, l'armonia muove al relativo maggiore (si bemolle); sorprendentemente, quando si ritorna alla tonalità d'impianto, essa diventa maggiore. Questa scelta in apparenza anomala è ovviamente legata al contenuto poetico del Lied: la conclusione al modo maggiore sottolinea infatti le parole della morte «ich bin nicht wild, sollst sanft in meinem Armen schlafen» («io non sono crudele, nelle mie braccia dormirai dolcemente»). La prevalenza dei movimenti per grado congiunto, e di limitatissima estensione, il ritmo ostinatamente dattilico (una lunga e due brevi), il colore scuro dello strumentale, ottenuto anche con una scrittura a parti strette - la distanza tra violino primo e violoncello raggiunge le due ottave solo in cadenza - e la dinamica oscillante tra il piano e il pianissimo (un solo, fuggevole forte all'inizio della seconda parte) danno al tema una cupa solennità. La prima variazione vede il primo violino assumere un ruolo da protagonista, con una linea melodica frammentata e di grande espressività che lo spinge fino al registro acuto e acutissimo, appoggiata sul ribattuto in terzine di violino secondo e viola, mentre il pizzicato del violoncello conserva l'andamento dattilico del tema. Nella seconda variazione è il violoncello a presentare una versione poco variata del tema, che mette in luce tutte le qualità dello strumento nel cantabile espressivo. Nell'accompagnamento spiccano le figurazioni arpeggiate del violino primo, ora articolate in un leggerissimo staccato, ora morbidamente legate. I quattro strumenti si riuniscono all'inizio della terza variazione, la cui energica scansione iniziale non è altro che una versione a valori diminuiti del ritmo dattilico del tema. Un piano improvviso precede un dialogo intensamente lirico tra violino primo e violoncello, mentre gli altri due strumenti proseguono la pulsazione ritmica precedente. Il dialogo si fa poi più drammatico, con energici accordi, prima che la pulsazione torni a dominare la scena e con un ampio crescendo concluda la variazione. L'inaspettato passaggio a sol maggiore caratterizza la variazione successiva: violino secondo, viola e violoncello ripropongono il tema a valori ampi, mentre al violino primo è affidato un morbido e trasognato controcanto in terzine, che all'inizio della seconda parte una maggiore incisività fa balzare in primo piano. Si ritorna al modo minore con l'ultima variazione: violino secondo e viola ripresentano il tema con lievissime modifiche. La seconda parte della variazione non è scritta con il segno di ritornello: la frase iniziale prosegue il disegno di semicrome che era iniziato nella prima parte, poi la pulsazione ritmica subisce un rallentamento, che porta a una conclusione identica a quella del tema iniziale. Uno spostamento di tutti gli strumenti in una zona più acuta segna l'inizio della coda, dominata dal ritmo dattilico del tema.

Con lo Scherzo si ritorna alla tonalità d'impianto del Quartetto, re minore. La sezione iniziale è fortemente caratterizzata dal tema sincopato esposto dai violini in ottava, sopra un elemento motivico discendente a suoni lunghi di viola e violoncello. Un motivo secondario più capriccioso, presentato dal violino primo, è poi ripreso dai quattro strumenti in ottava e conclude la prima sezione. La seconda parte è una sorta di elaborazione: il tema principale e il motivo discendente a note lunghe vengono scambiati tra le coppie di strumenti, non senza che abbia fatto di nuovo capolino nei violini il «capriccioso» motivo discendente. Tutt'altro clima nel Trio: il modo maggiore, il salto di sesta iniziale, la semplicità della linea melodica e la scomparsa delle irregolarità ritmiche (leggi sincopi) che avevano caratterizzato lo Scherzo determinano un'atmosfera di tranquilla serenità, forse unica in tutto il Quartetto. Il brano non è scritto con i consueti ritornelli, ma per esteso, dato che ognuna delle sezioni che lo compongono viene riproposta variata. Il violino primo, dopo aver presentato il materiale tematico, ne lascia la riesposizione a viola e violoncello, al di sopra dei quali sembra quasi spiccare il volo. La situazione si ripete nella seconda sezione, con il secondo violino che si sostituisce alla viola nella ripresentazione. Viene quindi ripreso lo Scherzo. Un'ultima annotazione: tanto il tema principale dello Scherzo quanto quello del Trio sono imparentati con il motivo principale del primo movimento.

Nel vorticoso movimento conclusivo (Presto) Schubert fonde le caratteristiche formali della sonata con quelle del rondò in maniera molto personale, senza rifarsi se non indirettamente alle strutture del rondò-sonata tipiche dello stile classico. Il tema principale, che domina l'intero brano con il suo ritmo di velocissima e un po' spettrale tarantella, quasi una danza macabra, viene esposto in due sezioni che determinano uno schema A-BA; sia la prima che la seconda sezione vengono ripetute. La sezione B non è in realtà costruita su elementi contrastanti, ma su una diversa combinazione degli elementi motivici che formano il tema principale. La transizione, costruita sull'ultima cellula motivica del tema, conduce verso la tonalità del relativo maggiore (fa), nella quale è solidamente impiantato il secondo tema. I valori di durata più larghi che lo caratterizzano, e che gli conferiscono una maestosa imponenza, sono inframmezzati da una cellula motivica a noi ormai ben nota: quella del motivo-terzina del primo movimento. Anche questo secondo tema è presentato in forma tripartita: nella sezione centrale il tema è contrappuntato da un ostinato in crome del primo violino, che si riallaccia al primo tema, e scandito da improvvise fermate di tutti i quattro strumenti su blocchi accordali, a volte in sincope. Nella terza sezione, basata sul medesimo materiale, è diversa la distribuzione strumentale, con una versione modificata del tema affidata al violino primo, mentre il secondo riprende l'ostinato in crome. Una inattesa modulazione conduce il discorso armonico alla tonalità della dominante minore (la), nella quale si svolge l'episodio conclusivo dell'esposizione, basato ancora sugli elementi motivici del primo tema. Ancora grande spicco è riservato al motivo-terzina. Nella codetta la concitazione delle sezioni precedenti si placa, un effetto rafforzato dallo spostamento al modo maggiore, forse una reminiscenza del tema del secondo movimento?

Non c'è vero e proprio sviluppo: una breve riconduzione, basata sugli elementi del primo tema, porta rapidamente alla ripresa. La novità è rappresentata dall'inserimento, subito dopo il primo tema, di un nuovo episodio a carattere elaborativo, il cui doloroso cromatismo porta a nuovi mondi armonici, in una drammatica alternanza di piani sonori. Viene quindi completata la ripresa, in cui il secondo tema conserva il suo luminoso modo maggiore, questa volta la tonalità è si bemolle. La parte conclusiva della ripresa si collega alla riproposta integrale del tema principale - è questo, insieme alla collocazione atipica della sezione elaborativa, l'elemento che più fa pensare alla forma del rondò - che apre la coda.

Un'improvvisa accelerazione (Prestissimo) segna uno spostamento al modo maggiore, prima che un piano repentino, seguito da un rapido crescendo riporti definitivamente al re minore d'impianto, con una conclusione di icastica tragicità.

Paolo Rossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Schubert scrisse quindici Quartetti per archi, oltre a vari tempi staccati, tra il 1812 e il 1826. Soltanto uno, quello in la minore D. 804, venne pubblicato quando era ancora vivente l'autore. Degli altri quattordici, nove furono fatti conoscere prima de 1870 dall'editore lipsiense Peters e i restanti apparvero stampati nel 1890 con l'edizione completa delle opere pubblicata in quaranta volumi da Breitkopf e Haertel tra il 1884 e il 1897. Secondo i più autorevoli studiosi dell'arte schubertiana i primi nove quartetti, composti dal 1812 al 1815, non avrebbero una particolare originalità tematica e risentirebbero troppo di certe influenze formali classiche, specialmente mozartiane. Solamente nel Quartetto in mi maggiore D. 353 e nel Quartetto in do minore D. 703, di cui risulta ultimato l'unico primo tempo, un Allegro assai di pregevole fattura e di appassionata cantabiltà, si intravede uno Schubert accentuatamente romantico e inventore di giochi armonici, quasi premonitori della maniera mendelssohniana e addirittura brahmsiana. Lo stile schubertiano pieno e completo, con la sua ricchezza melodica e i suoi struggenti accenti crepuscolari, si ritrova negli ultimi tre quartetti, e precisamente nel Quartetto in la minore D. 804, caratterizzato fra l'altro dalla cullante cantilena esposta nel primo tempo dal primo violino e dal travolgente Allegro moderato finale risonante di vivaci ritmi ungheresi che riflettono sentimentalmente il soggiorno del musicista nella dimora magiara degli Esterhàzy, il Quartetto in sol maggiore D. 887, e il Quartetto in re minore D. 810.

Il Quartetto in re minore fu composto tra il marzo del 1824 e l'inizio del 1826, ma non si esclude che già nel 1825 l'opera fosse già elaborata nelle sue linee essenziali. Insieme al celebre Quintetto "della trota" (Forellen Quintet D. 667) è certamente uno dei lavori cameristici più perfetti del musicista austriaco e Walter Dahms lo giudica il più diretto anello di congiunzione fra Beethoven e Brahms; infatti la genialità del disegno armonico, l'equilibrio delle sonorità e la varietà dello svolgimento tematico lo pongono molto al di sopra della precedente produzione quartettistica schubertiana. Questo Quartetto ha goduto sempre e giustamente di grande popolarità, soprattutto per il secondo tempo, il mirabile Andante con variazioni sul tema liederistico già utilizzato nel febbraio del 1817, su testo del poeta tedesco Matthias Claudius (1740-1815), in Der Tod una das Mädchen, (La morte e la fanciulla), che ha dato poi il titolo all'intera composizione. Un pensiero di rassegnata tristezza grava sul tema principale della variazione, indicato da Schubert con queste parole pronunciate dal personaggio simbolico della morte, consolatrice di ogni umano affanno: «Non aver paura, non ti faccio male. Riposerai dolcemente sulle mie braccia». Un lirismo di straordinaria purezza avvolge le cinque variazioni, proiettate verso quel superiore clima spirituale che l'estetica romantica definisce l'approdo dell'espressione redentrice della musica; la terza e la quinta variazione hanno un tono più teso e agitato, come a sottolineare un senso di ribellione contro la dolorosa realtà della vita.

L'Allegro iniziale è basato sul conflitto tra due temi di carattere opposto, quasi ad indicare l'ambiente psicologico in cui si muove il Quartetto: cupo ed energico l'uno, grazioso e affettuoso l'altro. Nella coda il contrasto si attutisce e si scioglie in accordi ombrosamente sfumati e delicati. Spigliato e giovanile si presenta lo Scherzo, il cui ritmo tagliente e scandito verrà ripreso da Wagner per la scena della fucina nel primo atto del Siegfried, Prima della ripresa del tema principale si snoda un trio molto cantabile. Di taglio un po' beethoveniano il Presto finale, pieno di dinamismo vigoroso e di colori smaglianti, è formato da due temi: il primo vivace e brillante in tempo 6/8 e il secondo più disteso e cantabile. Einstein lo definisce «la tarantella della morte, in una combinazione di rondò e di forma sonata» che si conclude con un vigoroso e drammatico Prestissimo.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

«In fatto di Lieder non ho scritto gran che di nuovo, ma in compenso mi sono esercitato in numerosi lavori strumentali: ho scritto due quartetti [...] e un ottetto, e ho in mente di scrivere un altro quartetto». Con queste parole, inviate a Leopold Kupelwieser il 31 marzo del 1824, Franz Schubert esprimeva l'intenzione di completare un ciclo quartettistico appena iniziato; i tre quartetti citati - in la minore D. 804, in re minore D. 810, in sol maggiore D. 887; quest'ultimo posteriore di un paio di anni - sarebbero stati gli ultimi scritti dal compositore. Il primo giunse alla pubblicazione nell'autunno dello stesso 1824 come opera 29 n. 1, mentre il Quartetto in re minore ("La Morte e la fanciulla") fu pubblicato postumo nel 1831, e l'ultimo della serie dovette aspettare il 1850 per essere dato alle stampe come opera 161.

Divisi dunque dalle vicende editoriali, i tre quartetti costituiscono tre differenti espressioni di un comune momento creativo, l'estremo e più maturo lascito schubertiano nel campo del quartetto per archi. Emancipato dall'influenza dell'ammirato esempio beethoveniano, Schubert diede libero corso alla propria sensibilità creativa; nei quartetti più che in altri generi compositivi, infatti, il compositore aveva sentito l'influenza di Beethoven. La considerazione del quartetto per archi come il genere più complesso e raffinato fra quelli portati a perfezione da Haydn, Mozart e Beethoven, imponeva un particolare impegno al giovane autore, teso a ricalcare nelle sue prime esperienze la scrittura obbligata e concertante, la tecnica di elaborazione tematica dei modelli. Negli ultimi quartetti Schubert non viene meno al principio classico della ferrea logica della costruzione; tuttavia l'imitazione della rigida tecnica elaborativa lascia il campo alla propensione verso il canto puro. Altri esiti vengono dunque attribuiti alla scrittura quartettistica; l'aspirazione del compositore verso l'età aurea del classicismo si stempera in ricordo nostalgico, si converte in un rimpianto non esente da risvolti drammatici.

Di tutte queste peculiarità offre una dimostrazione assiomatica il Quartetto in re minore, il più celebre del gruppo. L'intera partitura viene costruita prendendo come spunto il Lied «Der Tod und das Mädchen» («La morte e la fanciulla») D. 531, scritto su testo di Matthias Claudius nel 1817, Lied che viene assunto come base del secondo movimento. Già questa scelta liederistica, comune a molte opere della tarda produzione schubertiana, è indicativa della propensione lirica dell'autore. Il Lied in questione poi, come già indica il suo titolo, canta il dialogo fra la Morte - simbolizzata dall'inesorabile ritmo dattilico - e una fanciulla. Due fattori distintivi del Lied, la tonalità e il ritmo, vengono assunti da Schubert come fattori "costruttivi" dell'intera partitura. La tonalità minore si impone alla base di tutti i movimenti (con due momenti in cui il maggiore si afferma con intenti assai significativi, la conclusione del secondo tempo e il Trio dello Scherzo). Il ritmo dattilico invece viene trasformato in frammenti ritmici simili ed estremamente incisivi in ciascuno dei movimenti. La coerenza e il rigore della partitura, e con essi la drammaticità incombente, sono dunque assicurati in una unità ciclica.

L'Allegro iniziale adotta, come di consueto, lo schema della forma sonata, ed espone immediatamente la drammaticità del contenuto; al tema "aperto" ed icastico (per l'incisiva terzina) che apre il movimento, viene contrapposto un secondo tema dal carattere esitante (con un ritmo "puntato"). Non manca l'elaborazione tematica, ma questa viene assunta soprattutto come una tecnica per garantire continue variazioni coloristiche, e quindi peregrinazioni espressive, al conflitto fra i due ritmi fondamentali (la terzina e quello "puntato"). Nella sezione dello sviluppo i temi modificano la loro funzione; il primo perde la propria tensione, assunta invece dal secondo.

L'Andante con moto ha la funzione di pausa riflessiva ed è anche il fulcro dell'intera composizione. Si tratta di un tema (appunto basato sul Lied citato) con cinque variazioni. Il tema ha una struttura ternaria (8 + 8 + 8 battute). Le variazioni rispettano sostanzialmente questo schema; esse si dipanano seguendo un progressivo processo di sublimazione, fino alla riapparizione conclusiva del tema nel modo maggiore, segno di una interpretazione della morte come desiderio e trasfigurazione. Lo Scherzo, agitato dal ritmo sincopato, ha la funzione di ponte verso il Finale (nonostante il contrastante carattere di Ländler del Trio), di raccordo fra la riflessione delle variazioni e l'esito nuovamente drammatico del Presto conclusivo. Il vigore del tema iniziale, assicurato dalla propulsione ritmica e dall'unisono di tutti gli strumenti, viene frenato nel corso del movimento da elementi diversivi, ma prevale nella stretta finale. Al di là delle interpretazioni che sono state offerte di questo movimento, occorre notare come la sua scrittura, tesa verso sonorità orchestrali, si discosti sensibilmente dalla tradizionale scrittura classica, e prefiguri piuttosto talune soluzioni del sinfonismo tardoromantico.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Schubert è entrato nell'ultimo periodo della sua esistenza. Dal «Quartetto in re minore», che segue da vicino il precedente, fino alle ultime tre sonate per pianoforte del settembre 1828, ne abbiamo una continua conferma. Il pensiero della morte, sentito ora in modo tragico, ora rassegnato, domina ormai interamente le sue opere più significative.

Fra queste il «Quartetto in re minore» occupa senz'altro un posto di primo piano, non solo per l'elevatezza del risultato estetico, ma anche per le sue ampie proporzioni e per i problemi di linguaggio affrontati e risolti da Schubert nel corso del suo svolgimento. Pur essendo nello spirito assai lontano dai classici, il Quartetto si caratterizza per una solida unità strutturale data questa volta non solo dalla coerenza della sostanza lirica, ma anche dalla qualità dell'elaborazione formale grazie alla quale, non a caso, il Dahms lo giudica come il più diretto anello di congiunzione fra Beethoven e Brahms.

È infatti questo aspetto, oltre alla grande bellezza dei temi, che colpisce immediatamente all'ascolto di questo Quartetto: sarebbe sufficiente osservare il rigore delle variazioni del secondo movimento o la complessità del finale per capire quanto sia impropria la tradizionale affermazione che Schubert sarebbe stato costantemente impacciato dalle forme classiche.

Fin dall'introduzione, un tema perentorio e cupo dà il tono generale del lavoro, sviluppandosi però in netto contrasto, durante tutto il primo movimento, con un secondo tema di carattere più grazioso e cantabile, quasi a voler affermare una estrema rivendicazione dì sostanza vitale rispetto alla marcia ineluttabile della morte che infine prevale.

L'Andante, come il Minuetto nel «Quartetto in la minore», è il momento in cui il grande lirismo schubertiano si manifesta in tutta la sua bellezza nel quadro di un'elaborazione formale di straordinaria ricchezza. Il tema del Lied «La morte e la fanciulla», composto da Schubert nel 1817 sul testo di Matthias Claudius, è la base dell'intero movimento e si sviluppa con una serie di splendide variazioni che ne sottolineano all'estremo tutto il valore simbolico di ineluttabilità della fine, ma anche di rassegnata consolazione. Il breve Scherzo con il suo rapido tema iniziale (che sarà ripreso da Wagner nel «Sigfrido») pur cercando di restaurare un'atmosfera più vitale, non può sottrarsi nel Trio alla sinistra sensazione di morte che pervade poi interamente, quasi in una danza dai toni spettrali, il Presto finale svolto sul ritmo di tarantella nella forma di un rondò-sonata assai complesso, con armonie crude e passaggi bruschi di tonalità, a sottolineare il turbamento dell'animo e l'impossibilità ormai di sottrarsi al proprio destino.

Mario Sperenzi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 69 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 novembre 1990
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 aprile 1993
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 5 ottobre 1977


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Ultimo aggiornamento 9 gennaio 2019