Schwanengesang, D. 957

Ciclo di 14 Lieder per voce e pianoforte

Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
Libro I
  1. Liebesbotschaft: Rauschendes Bächlein, so silbern - Ziemlich langsam (sol maggiore)
    Testo: Ludwig Rellstab
  2. Kriegers Ahnung: In tiefer Ruh liegt um mich her - Nicht zu langsam (do minore)
    Testo: Ludwig Rellstab
  3. Frühlingssehnsucht: Säuselnde Lüfte wehend so mild - Geschwind (si bemolle maggiore)
    Testo: Ludwig Rellstab
  4. Ständchen: Leise flehen meine Lieder - Mässig (re minore)
    Testo: Ludwig Rellstab
  5. Aufenthalt: Rauschender Strom, brausender Wald - Micht zu geschwind, doch kräftig (mi minore)
    Testo: Ludwig Rellstab
  6. In der Ferne: Wehe dem Fliehenden - Ziemlich langsam (si minore)
    Testo: Ludwig Rellstab
Libro II
  1. Abschied: Ade! du muntre, du fröhliche Stadt - Mässig geschwind (mi bemolle maggiore)
    Testo: Ludwig Rellstab
  2. Der Atlas: Ich unglückselger Atlas - Etwas geschwind (sol minore)
    Testo: Heinrich Heine
  3. Ihr Bild: Ich stand in dunkeln Träumen - Langsam (si bemolle minore)
    Testo: Heinrich Heine
  4. Das Fischermädchen: Du schönes Fischermädchen - Etwas geschwind (la bemolle maggiore)
    Testo: Heinrich Heine
  5. Die Stadt: Am fernen Horizonte - Mässig geschwind (do minore)
    Testo: Heinrich Heine
  6. Am Meer: Das Meer erglänzte weit hinaus - Sehr langsam (do maggiore)
    Testo: Heinrich Heine
  7. Der Doppelganger: Still ist die Nacht - Sehr langsam (si minore)
    Testo: Heinrich Heine
  8. Die Taubenpost: Ich hab' eine Brieftaub - Ziemlich langsam (sol maggiore)
    Testo: Johann Gabriel Seidl
    Composizione: ottobre 1828
    In precedenza catalogato come D 965A
Organico: voce, pianoforte
Composizione: agosto 1828 tranne il n. 14 che è di ottobre
Edizione: Haslinger, Vienna, 1829
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel gennaio 1828 Schubert ascolta per la prima volta, a casa dell'amico Schober, una lettura dei Reisebilder di Heine, che, pubblicati nel 1826, sono introdotti dalle poesie del ciclo Die Heimkehr. L'aneddoto di lui che si porta a casa il libro e poi se lo tiene è una costante nelle biografie dei compositori di Lieder. Molti amici di compositori, durante tutto l'Ottocento, hanno atteso invano la restituzione dei libri prestati, ma spesso è il mondo ad aver incassato gli interessi di quel prestito sotto forma di bellissimi Lieder. Brahms, ad esempio, trovò regolare ispirazione nei libri della biblioteca di Schumann, e ancor più nella persona stessa della padrona di casa. Meno frequentemente accade che un poeta contemporaneo appena scoperto venga messo in musica a livelli così alti. Ma qui il compositore è Schubert, che apre il suo ultimo libro di poesie, e il poeta è il suo coetaneo Heine, che non può mancare di entusiasmare colui che ha riscritto in musica la storia della nuova poesia tedesca da Klopstock in poi.

I Lieder, composti di getto, vengono eseguiti nella solita cerchia amicale e "piacciono molto", ma purtroppo resta inesaudita la richiesta di Schubert all'editore Probst di pubblicare il piccolo gruppo. La lettera del 2 ottobre, in cui viene sollecitata anche la stampa del Trio op. 100, denota una certa presaga urgenza (Schubert morirà nel mese successivo), ma soprattutto ci ricorda che la volontà del compositore era di pubblicare i sei Lieder come raccolta (non ciclo) a sé stante di Heine-Lieder, anche se in un primo tempo aveva forse pensato altrimenti. Nulla a che vedere con il ciclo a cui ormai siamo affezionati, lo Schwanengesang (Canto del cigno), che nella sua commistione di poeti (Rellstab e Heine) e stili non ha però l'imprimatur del compositore. Per "ciclo" (vedi Die schöne Mullerin e Winterreise) egli intendeva una successione di Lieder con unità poetica e tematica, di tempo e di luogo, anche se magari di percorso delle emozioni si trattava. Questo ciclo così com'è, lo ricordiamo, sarà pubblicato postumo da Haslinger nell'aprile 1829, e da allora ha comunque, in quanto tale, emozionato milioni di ascoltatori.

La storia dell'arte procede spesso per malintesi, e qui i malintesi sono due, e fecondi. Il primo, appunto, è di creare un ciclo là dove non c'è, mettendo semplicemente insieme gli ultimi Lieder dì un grande Maestro: ma da qui nacque la prassi (anche commerciale) delle "raccolte" di Lieder su vari poeti, in cui eccelse Brahms, e da qui prese forse ispirazione Schumann per i suoi Mirti, che confezionano un bouquet misto. Il secondo malinteso è quello di chiamare "cigno" colui che invece cantò per una vita intera. Il cigno di questo antico luogo comune è il cigno muto, che canterebbe la sua canzone solo in punto di morte. Già Platone aveva irriso questa credenza, ma a Schubert si adatta ancor meno l'idea di un ultimo grande canto levato da un artista in declino. Non è neppure certo che egli scrisse questi Lieder dopo quelli del secondo libro di Winterreise: ma di certo non v'è traccia di declino, a meno di non intendere il generale peggioramento di una salute ormai minata, probabilmente dalla sifìlide allo stadio terziario, con insorgere di nuove, fatali patologie. Ma anche questo secondo malinteso prende pieghe inaspettate, e da allora molti cigni musicali snodano la loro via per il corso della storia della musica: non sfuggono al loro destino terreno, ma le battute del loro canto, da Wagner a Grieg a Saint-Saëns, valgono bene la battuta di caccia.

Lo stesso Schubert aveva composto nel 1822 un Lied intitolato Schwanengesang: un canto veramente già trasfigurato, modellato su quello che viene definito il "Ritmo di morte": una lunga, due brevi (o dattilo). Ma a causa dell'apocrifa omonimia con il ciclo, quel Lied è condannato a rimanere un brutto anatroccolo.

Il volo spiegato del cigno D. 957 inizia nel segno di uno dei ruscelli più vitali mai scaturiti dalla sorgente bianca e nera della tastiera schubertiana: Liebesbotschaft (Messaggio d'amore) è il primo dei Lieder su poesie di Rellstab, e qui il "ruscelletto scrosciante" sfida veramente le leggi della fisica, oltre che la tecnica del pianista, nel suo salire su e giù per rapide cascatelle. Il piano, nel preludio e nel postludio, è come i piani delle visioni paradossali di Escher, e risale la corrente del sentimento amoroso trasformandosi come sempre in latore di un messaggio. La voce, nonostante risuoni cristallina, è preservata nella bottiglia affidata alle acque; è pur vero che, all'ingresso del canto, il pianoforte placa i suoi flutti, e la mano sinistra, nel rispondere alla melodia e alle parole, sembra aggiustare gentilmente il timone di poppa - ma talvolta gli ampi intervalli della voce sembrano proprio affrontare una rapida improvvisa. Altrove fa capolino un ritmo noto: un sasso rimbalza e disegna sull'acqua il ritmo del destino di Beethoven.

Si dice che Schubert abbia ereditato questi testi proprio dalle carte dell'appena defunto Maestro; se ciò è vero, allora l'omaggio risuona ben più solenne nella memoria eroica del secondo Lied, Kriegers Ahnung (Presentimento di soldato). L'affresco goyesco del bivacco militare la cui oscurità è rischiarata da fuochi sinistri, laddove il buio del cuore del soldato che presagisce la fine si rischiara nei lampi della memoria dell'amata, è una vera e propria scena liederistica; la voce ha il suo bel da fare nel cangiare di registri e nel passare dalla declamazione ritmica allo struggente cantabile; scenografìa, luci e regia sono affidate al pianoforte, e anche i figuranti in armi agiscono in quanto figure di accompagnamento in continua metamorfosi. Bisognerà attendere Mahler per sentire ancora una tale sintesi di marcia funebre militare e accenti di canto nostalgico, ma forse mai più a questi livelli.

Il soldato sa che "presto riposerà", ma la fantasia di Schubert non riposa, e proprio l'accompagnamento pianistico a quel verso diventa la pulsione costante di Früihlingssehnsucht (Nostalgia di primavera), un canto dalla leggerezza quasi immateriale, proprio come le brezze, i ruscelli e i fiori che descrive. Ma, in corrispondenza delle domande forti che il poeta si pone - "Dove?", "Perché?", "E tu?" - Schubert ferma la voce e il pianoforte in un madrigalistico connubio di lamento e armonie dubbiose. Il tono minore su cui inizia l'ultima strofa, con l'accenno boschivo delle cosiddette "quinte dei corni" al pianoforte, prefigura già il luogo del Lied successivo, forse il più celebre tra tutti i Lieder di ogni tempo.

Eppure una Ständchen (Serenata) nella tonalità drammatica di re minore, piena di accenni a traditori e nemici, pericoli e alberi affusolati sinistramente ondeggianti, non sembrerebbe avere le carte in regola per diventare universalmente celebre. Ma poi, non appena sentiamo il basso rassicurante del pianoforte, il delicato (e trascendentale) pizzicar di corde percosse della mano destra, le curve sinuose e seducenti del canto, comprendiamo le ragioni di un tale successo. Oltretutto, le famose "risposte" pianistiche agli incisi che concludono ogni volta le frasi cantate hanno una qualità per così dire mediterranea, come se Schubert e Bellini si fossero incontrati idealmente nella terra fatata del Lied. Altrove è l'anima boema a risuonare, come nel canto per terze dell'interludio pianistico, ma, come si sa, la grande vena popolare europea irrora di sangue rosso scuro, senza pregiudizi di nazionalità, anche i più delicati capillari della musica colta e nobile; di sangue blu non si parla neppure in musica. Non da ultimo, spiega il fascino imperituro di questa serenata sui generis la sua concessione alla vocalità melodrammatica sui versi dell'invocazione finale, che chiedono soddisfazione all'amata e la regalano ai melomani.

La contemporaneità con Winterreise si manifesta nel Lied successivo, Aufenthalt (Fermata), dove a scorrere tra fiumi impetuosi e boschi fruscianti sono soprattutto le lacrime del poeta. Il paesaggio è impervio: il ciclo diventa ciclocross e il ruscello richiede doti da rafting. Il canto che esce da queste gole rocciose è spigoloso; taglienti e granitici sono i ritmi e gli intervalli del pianoforte. Il ribattuto della mano destra è una tipica immagine schubertiana di frenesia: un Si al basso e poi al discanto viene ripetuto ossessivamente, mentre la voce o le altre dita toccano suoni diversi, consonanti e dissonanti: così Schubert realizza il senso del verso "eternamente uguale rimane il mio dolore". Sul punto culminante del Lied ha scritto parole illuminanti Eric Sams: «il grande clamore su "Fels" (roccia) rappresenta lo sfogo dei sentimenti del compositore invece di evocare quelli del poeta; la roccia ci appare non solo nella sua ripida pendenza, ma anche minacciosamente opprimente, Sisifo e Damocle insieme». La voluta finale del canto sembra infine già un ricordo smarrito nella notte dei tempi: le fa eco il pianoforte, come è normale che succeda tra quelle rocce. In sintesi, il luogo di questo Lied si potrebbe definire usando l'indicazione di Goethe per l'ultima scena del Faust: "Gole montane. Bosco, rupi, solitudine".

Nel successivo capolavoro, il grande Lied In der Ferne (Nella lontananza), la poesia stessa sembra improvvisare sul metro del coro finale del Faust: così, forse per caso, i due Lieder formano un dittico a sé. Le prime due strofe sono introdotte da un grande lamento (o monito) di tre note del pianoforte, sottolineato gestualmente da gelide folate al basso; sembrano strofe uguali, ma le armonie e gli incisi mutano seguendo come una cartina tornasole le inflessioni un po' pretenziose dei versi, dove il biasimo del poeta è rivolto a se stesso. Ma il sole non torna, il poeta misantropo e il cantante sprofondano su una nota grave di disperazione, il lamento si leva ancora una volta. Da questi abissi emerge però una brezza che sembra salvifica, anche per Schubert. Nell'incedere sempre mutevole delle figurazioni pianistiche v'è il ricordo del Lied giovanile su poesia di Goethe Rastlose Liebe (Amore senza requie); la fuga da sé e dall'amata spietata, e l'ironico saluto a lei, vengono condotti su questa superficie increspata, tra armonie maggiori, minori, diminuite e napoletane, in un'incertezza di sensazioni cui dà una brusca risposta il drammatico accordo conclusivo.

In un repentino cambio d'umore che in Winterreise (dove si descrive ugualmente una fuga dalla realtà) sarebbe impensabile, ecco che l'addio (Abschied) prende le sembianze musicali di una cavalcata stilizzata, che va su e giù per la tastiera proprio come il ruscello del primo Lied; la mano sinistra dà delicati colpi di sperone e il canto, tra un "ade" (addio) e l'altro su lunghe note piene di sereno rimpianto, si conforma piacevolmente al ritmo e alla curva delle parole, allentando talvolta la briglia in frasi più distese nel magico cangiare d'armonie in cui Schubert è maestro sempre più consumato.

A questo punto il cosiddetto ciclo compie il suo sprint più sconvolgente: dall'addio sereno di un giramondo a un Atlante disperato che il peso del mondo lo sente in un altro senso; dal modesto Rellstab al gigante Heine; da un pianismo di ritmi e accordi mutevoli, ma definiti, a un magma di tremoli e ottave insinuanti e aggressive. Finita o quasi l'età di Goethe, ecco l'età di Heine del Lied che comincia con il suo climax. Se non fosse stato per Schumann i Lieder che seguono (e soprattutto Am Meer, Die Stadt e Der Doppelgänger) sarebbero indiscutibilmente i più grandi tra le migliaia di quelli composti su poesie di Heine (e a detta di molti lo sono in ogni caso). Di certo sono quelli che esplorano più a fondo l'abisso della parola di Heine, molto spesso lasciata galleggiare sulla superficie di gradevoli romanze, come se egli fosse il poeta di un'elementare spontaneità amorosa, al limite incline all'ironia e a una soggettiva disperazione adolescenziale.

La "ferita Heine" di cui scrisse in termini memorabili Adorno, è invece una profonda lacerazione nella coscienza culturale tedesca e poi europea. Da quelle profondità emergono intricati arbusti: decadentismo, psicanalisi, antisemitismo. Un dispaccio di Goebbels autorizza nei primi anni '40 l'esecuzione dei Lieder di Schubert (quelli ascoltati stasera) su testi del "poeta ebreo" Heine (tacendone il nome), ultimo atto di quel terribile paradosso che già nell'Ottocento vuole Heine poeta prediletto dai lettori tedeschi ma costretto all'esilio (o alla censura postuma) per motivi razziali o politici.

Prima che tutto ciò avvenisse, uno dei primi grandi intellettuali liberali europei, Franz Schubert, aveva già compreso l'universalità della poesia di Heine, e il suo tratto di modernismo. Egli affronta Heine dopo aver esaltato la componente musicale delle poesie di Wilhelm Müller, cui lo stesso Heine non faceva segreto di ispirarsi, e quindi la sua non è una scelta naif, o, peggio ancora, casuale. L'immediata comprensione che Schubert dimostra per la poesia di Heine non è solo frutto del suo infallibile istinto letterario, ma ci ricorda fino a qual punto l'evoluzione dei suoi Lieder attiene anche alle vicende della storia della letteratura tedesca. La scelta dei sei Lieder da Die Heimkehr sembra tuttavia scaturire da una lettura solo parziale del ciclo poetico; l'elemento ciclico resta inesplorato (e ciò andrà a vantaggio di Schumann, cui toccherà dar forma più organica alle sue selezioni da Heine), e ciascun Lied è un mondo a sé; i Lieder diventano un modello irraggiungibile sino al Novecento avanzato, e quelle poesie, pur musicate altre centinaia di volte, resteranno per sempre monopolio di Schubert. Un dato costante vuole del resto che ciascuna poesia di Heine (a differenza di ciò che accade con Goethe) abbia una sola grande versione musicale possibile, almeno fino ad oggi e a meno di non voler pregiudizialmente esaltare le versioni misconosciute, subito scomparse dal repertorio. Un dato stupefacente, se consideriamo appunto il numero abnorme di versioni liederistiche delle più famose poesie di Heine (ciò vale anche per Schumann: il suo Du bist wie eine Blume fa dimenticare le altre 400 versioni), e se consideriamo che certe poesie avrebbero potuto senz'altro ispirare anche altri grandi compositori: Die Stadt, ad esempio, sarebbe stata una scelta d'obbligo per l'amburghese Brahms, e il Doppelgänger con tutti i suoi possibili spunti psicoanalitici avrebbe potuto risvegliare negli espressionisti l'attrazione musicale verso Heine. Nell'ispirare tanto timore reverenziale, insomma, questi Lieder assurgono a "popolarità" diffusa pur essendo quanto di più distante dall'idea di popolare. A Schubert era del resto estranea quell'idea dominante sino a Nietzsche che la vera anima del Lied tedesco fosse rintracciabile nel patrimonio popolare arcaico. E la scelta delle sei poesie di Heine, con tutta la sua apparente parzialità sembra muovere in tutt'altra direzione: paesaggio ed alienazione della nuova realtà industriale sono così prossimi, nei versi sulla città di Amburgo, da far ritenere probabile che l'evoluzione di Schubert negli anni '30 avrebbe condotto la forma Lied ad una sua dimensione realista; un passaggio che il Lied non conobbe mai.

Eppure questa superba raccolta si apre con un tuffo nella mitologia forse un po' posticcia di Heine, che non tocca qui le vette raggiunte con (e da) la sua Loreley. Nonostante l'alleanza di Atlante (Der Atlas) col padre di Zeus, a questo punto del ciclo il problema non è Crono ma sono gli ostacoli. La tessitura si abbassa, l'estensione aumenta, il tremolo pianistico è già sinfonico; l'armonia, quando il povero gigante si guarda in petto, diventa ancor più cupa, alla fine di un faticoso sollevamento pesi del pianoforte in ottave (da cui prenderà le mosse la sfida del Prometeo di Wolf). Nella seconda parte quest'autoflagellazione si fa percussiva, severa, la commiserazione di sé diventa meno patetica, più gestuale; il pianoforte sembra evocare piuttosto la fucina di Efesto. Solo sulla parola "infinitamente" (felice o misero) il valore della nota cantata è lungo. "Ora sei misero!", dice il poeta, e la musica torna al tremore iniziale, per ripetere il concetto della prima strofa con il valore aggiunto di due acuti teatrali. Un poderoso accordo ìn ff chiude il Lied; quello successivo si apre con una sola nota, suonata su un'ottava in pp. Poi una pausa, poi ancora la nota. La solitudine di Ihr Bild (La sua immagine) non ha bisogno di metafore mitologiche per raccontare se stessa, ma l'analogia musicale delle "note sole" ci aiuta a visualizzarla. Così, quando da quell'oscurità l'immagine della donna amata si leva e prende vita, da quello scarno filo musicale si dipana il tessuto d'un corale a quattro e poi a sei voci. È come se Schubert, con il suo delicato ritmo puntato, desse per noi gli ultimi ritocchi a questo ritratto a punto croce, in una calda armonia di colori pastello e di bemolli, con tanto di abbellimento per gli occhi belli e brillanti. Ma quel sorriso si spegne, le lacrime non son più quelle che danno fulgore agli occhi di lei, ma quelle che scorrono sulle guance di lui, brucianti di solitudine come prima i bui sogni. Lo stesso corale che prima aveva acceso l'immagine dell'amata si trasforma ora nell'incredula ridda di pensieri (e quindi di voci) che assilla il poeta: "non posso credere d'averti perduta!".

Dopo tanta amarezza, precipitato dai monti dell'Atlante alla camera oscura dei sogni, Schubert si (e ci) concede una necessaria distrazione con la bella Pescatrice (Das Fischermadchen). È uno dei tanti Lieder del tardo Schubert in cui la teoria di inflessioni melodiche e armoniche è sostenuta da un tappeto ritmico unitario, in questo caso una cullante barcarola. Proprio quest'apparente banalità ha dato il destro alle solite critiche sulla presunta superficialità della musica schubertiana rispetto al contenuto d'erotismo sublimato nei versi di Heine. A ben vedere, invece, è proprio il carattere un po' didascalico dell'accompagnamento a mo' di romanza a permettere al tema di ergersi con il suo piglio virile. La poesia di Heine espone per due strofe un gesto di bonaria seduzione che nella terza si fa più accattivante; alla musica di Schubert basta il comune schema ABA per cantare il suo ABC dei sentimenti in musica: allegoria, brio, canzone.

Se le perle che giacciono nel generoso cuore del poeta rappresentano Eros, i remi che sentiamo fendere le torbide acque all'inizio del Lied successivo, Die Stadt (La città), sono di nuovo quelli di Thanatos (o Caronte). Ma l'inferno di Heine, in una visione premonitrice o forse già realistica, è quello della città moderna: nebbia e corso d'acqua grigio, tra polveri sottili di biscrome. Ecco la prima barcarola post-rivoluzione industriale, dove una figurazione ripetuta sempre uguale per 17 volte rappresenta già la moderna alienazione. Ma per due volte un ritmo di marcia si impone: la prima volta, visto sulla carta, sembra disegnare la skyline della città "con le sue torri"; la seconda volta rappresenta l'incedere ineluttabile di questa lugubre gondola del Nord verso il luogo dove il destino si è già consumato, là dove il poeta ha perso l'amata e dove ora, come ci dice l'ultima nota singola al grave, egli è proprio solo.

Un po' come l'accordo di Tristano, anche quello che apre il Lied Am Meer (Al mare) è un accordo unico nella storia della musica (Mahler lo citerà nella Sesta Sinfonia). Dalle brume della sera di quell'accordo emerge poi un tema della memoria bello e struggente come il paesaggio marino e il momento ricordati da Heine. Ma è, come sempre, un'illusione: d'improvviso, nel tremore del tremolo pianistico, la nebbia si alza, i gabbiani si levano in volo; al diradarsi di quel brivido in un quieto corale vediamo lacrime che scendono, e sono lacrime avvelenate: memore forse di amari dialoghi con Clara ad Amburgo, Brahms citerà la chiusa di questo Lied nel suo Sapphische Ode.

Non ci sorprende che, dopo tanti traumi, il poeta reagisca con uno sdoppiamento: il Doppelgänger fa qui il suo ingresso nella grande poesia. Lo ritroveremo ben presto, ammesso che sia lui, come Jekyll o Hyde o Dorian Gray. Ma in musica rimarrà per sempre in cura sul lettino di Schubert, in preda a ossessioni e fors'anche a mania religiosa, visto che il tema ostinato del basso pianistico è preso in prestito dall'Agnus Dei della Messa in mi bemolle, pressoché contemporanea. Sorretto da quell'idea fìssa, il memorabile crescendo delle frasi del canto è come uno sfogo sotto ipnosi: «al verso "meine eigne Gestalt" (le mie stesse sembianze) il compositore contempla la sua stessa persona con un senso baudelaireano di repulsione che va persino oltre Heine» (Eric Sams). Poi sulla scena di questo monologo (la stessa città del Lied precedente) torna l'oscurità della notte e dei peccati del mondo.

Erik Battaglia

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composti da Schubert nel 1828, anno della sua morte, i 14 Lieder pubblicati sotto il titolo di Schwanengesang (Il canto del cigno), differentemente dalle altre due raccolte Die schöne Müllerin (1823) e Winterreise (1827) su testi di W. Müller, non costituiscono un vero e proprio ciclo con unità di soggetto, tanto che le liriche appartengono a tre diversi autori. Nei primi sette Lieder della raccolta vi sono infatti testi di H. F. Ludwig Rellstab, nei quali il contenuto più ricorrente, unitamente ai richiami alla natura, sembra essere quello della nostalgia: nostalgia nei confronti della donna amata lontana, della primavera che deve venire, degli amici e degli affetti che sono stati abbandonati, tutti sentimenti dei quali Schubert sa delineare di volta in volta con estrema sensibilità il diverso carattere e le diverse sfumature. Nelle poesie di Heinrich Heine (Lieder dall'8 al 13), vi sono invece accenti più intensamente drammatici, non più lo struggimento per l'amore lontano, bensì il dolore per l'amore definitivamente perduto, che diviene paradigma di tutte le sofferenze umane; nascono così alcune delle pagine più intensamente espressive della liederistica schubertiana come: Der Atlas, Die Stadt, Der Dopperlgänger. Schwanengesang si conclude quindi con il vivace Die Taubenpost, unico Lied della raccolta su parole di Johann Gabriel Seidl.

Nel primo Lied dello Schwanengesang, Liebesbotschaft, il poeta si rivolge a un ruscello affinché, nella sua rapida corsa a valle, porti un messaggio affettuoso e consolatorio all'amata lontana; nell'introduzione strumentale Schubert presenta quindi un rapido e ondeggiante movimento della mano destra a accordi spezzati che richiama il mormorio dell'acqua che scorre. Tale disegno pianistico, nel quale si possono apprezzare alcuni brevissimi e delicati controcanti del basso (mano sinistra), si prolunga per l'intera durata del pezzo, divenendo così elemento di coesione tra i quattro episodi, tutti diversi tra loro sia per melodia che per tonalità (scrittura in durchkomponiert), che si succedono senza soluzione di continuità secondo lo schema «A-B-C-D-A» (viene ripetuto il solo episodio A, in coda e con testo differente).

Se il brano precedente, pur essendo scritto in durchkomponiert, ha mantenuto uno svolgimento sostanzialmente unitario, Kriegers Ahnung si compone invece di parti nettamente distinte con tempi e agogiche differenti disposti secondo lo schema «A-B-C-C-A». Tale alternanza di situazioni contrastanti, che è presente anche all'interno degli episodi stessi, sottolinea il vagare dei pensieri notturni di un guerriero tra l'angoscia per l'imminente battaglia e il ricordo dell'amata, mentre nella parte conclusiva vi è il richiamo alla calma e al riposo notturno.

È invece di forma strofica Frühlingssehnsucht, un canto rivolto alla primavera, della quale vengono rievocate con nostalgia le suggestive bellezze. Sostenuto da un incalzante accompagnamento a terzine il Lied presenta quattro strofe di testo che si alternano sopra una medesima struttura musicale, formata a sua volta da quattro periodi melodici (strutture compiute di circa otto battute), che si susseguono con splendido equilibrio; al termine di ogni episodio vi è inoltre un momentaneo arrestarsi del fluire ritmico in corrispondenza delle frasi interrogative del testo presenti al termine di ogni strofa. La quinta e ultima strofa cambia, in concomitanza con il diverso carattere del testo, iniziando con una diversa tonalità in modo minore (omonima minore), per poi ritornare nel tono originale lasciando infine spazio a una breve coda strumentale.

Costruito su due strofe con l'aggiunta di un episodio conclusivo, Ständchen mette in musica una malinconica serenata notturna ambientata in un bosco, per la quale Schubert sceglie un accompagnamento in tessitura medio-bassa sommesso e vagamente sinistro. Nella prima parte della strofa il canto si dispiega con frasi arrotondate dalla presenza di terzine, alle quali fa eco il pianoforte; nella seconda parte la melodia diviene leggermente più frastagliata, per poi trascolorare dal modo minore al modo maggiore e concludersi con un forte perentorio e un breve epigono strumentale. Al termine della seconda strofa l'epigono strumentale viene invece sostituito da un breve e concitato episodio, un elemento di novità, che subito si ricompone nella coda conclusiva.

Composto in maniera simmetica secondo la forma «A-B-C-B-A» (nella quale la ripetizione di «A» avviene con il medesimo testo iniziale), Aufenthalt è l'unico dei Lied su testo di Rellstab che contenga un accento sconsolato di disperazione. Esso si apre declamando la forza degli elementi naturali attraverso un canto deciso e virile, sotteso da un accompagnamento a terzine di accordi ribattuti. Il carattere della melodia si addolcisce quindi momentaneamente nell'episodio centrale («C»), nel quale il compositore passa alla tonalità relativa maggiore, con un accompagnamento nel quale la mano sinistra raddoppia la melodia. La ripresa invertita («B-A») dei due episodi iniziali culmina infine su un acuto fortissimo che si stempera in una mesta coda conclusiva.

In der Ferne presenta nella prima parte due strofe (con alcune differenze melodiche tra di loro), inframmezzate dal ricorrere dell'introduzione strumentale nelle quali la melodia si snoda lentamente, sostenuta da un mesto accompagnamento accordale: è la constatazione della tristezza e della nostalgia che affliggono chi fugge abbandonando la terra natia, gli affetti e gli amici. La terza strofa del testo viene quindi illuminata dal pensiero dell'amata, con la richiesta al vento e alle onde del mare di portare a lei un saluto. La musica viene vivacizzata da un accompagnamento più mosso e dal momentaneo passaggio al modo maggiore; il testo della terza strofa viene infine ripetuto con una sorta di sviluppo della precedente melodia (per la precisione della sua seconda metà con cui viene completata la composizione.

Abschied presenta invece un carattere brillante e spiritoso messo subito in luce dall'introduzione pianistica, che, oltre a contenere la formula d'accompagnamento con cui è sostenuta l'intera composizione, è l'anello di collegamento modulante tra le prime cinque strofe. Queste infatti si alternano su due diverse strutture musicali: la prima nella tonalità di base, mi bemolle maggiore, la seconda nella tonalità di la bemolle maggiore, con una melodia modificata rispetto alla prima sebbene a essa sostanzialmente affine. Caratteristiche principali di queste strofe sono: le quattro declamazioni, presenti in ognuna di esse, della parola Ade! (Addio!), con nota lunga sulla seconda sillaba, e il delizioso andamento a rapidi balzi, quasi singhiozzante, della linea melodica (soprattutto nelle strofe in mi bemolle). Al termine della quinta strofa vi è un diminuendo che sottolinea il passaggio a una nuova e inattesa tonalità (do bemolle maggiore) da cui parte la sesta e conclusiva strofa, la quale, gradualmente, si riporta nella tonalità originale, per lasciar poi la conclusione a un ulteriore riproposizione dello stacco strumentale.

Strutturato in una forma di tipo «A-B-A», Der Atlas, presenta nella sua prima parte («A») il dramma di Atlante, costretto a sorreggere tutte le pene del mondo, espresso attraverso un declamato, il cui stampo operistico è evidenziato dai tremoli dell'accompagnamento, così come dal suggestivo crescendo dell'ultima frase. Nell'episodio centrale («B»), nel quale Atlante si rivolge al proprio cuore rimproverandolo per avergli fatto desiderare la felicità, il carattere melodrammatico viene mantenuto, sebbene mitigato nella sua forza dal passaggio al modo maggiore e da un diverso accompagnamento. Il Lied è completato da una parziale ripresa della prima parte («A»), culminante su un acuto fortissimo che si dissolve sui sommessi tremoli conclusivi del pianoforte.

Avvolto in un'atmosfera onirica nella quale viene evocata l'immagine del volto dell'amata perduta, Ihr Bild è anch'esso costruito, come il Lied precedente, secondo la forma «A-B-A». La prima parte («A») è a sua volta formata da una prima frase in tonalità minore il cui unico accompagnamento è costituito da uno scarno e asciutto raddoppio all'unisono (all'ottava) del pianoforte, e da una seconda frase che viene addolcita dal passaggio al modo maggiore e dal formarsi dell'armonia nella trama dell'accompagnamento. L'episodio centrale («B») modula a tonalità vicine, pur mantenendo il medesimo carattere del precedente, il quale, a sua volta, viene ripetuto integralmente con una seconda strofa di testo e completato da una breve cadenza conclusiva.

L'unico momento di serenità che si trova nelle liriche di Heine dello Schwanengesang è Das Fischermädchen, un gentile e spiritoso canto d'amore rivolto a una giovane pescatrice, che presenta una deliziosa melodia, mossa con un danzante ritmo in tempo di 6/8 subito evidenziato dalla introduzione strumentale. Anche in questo caso troviamo tre strofe di testo, che tuttavia si sviluppano su uno stesso episodio musicale ripetuto tre volte, ma con una trasposizione in una diversa tonalità nella seconda ripetizione.

In Die Stadt ritorna ancora una volta il tema dell'amata perduta: il poeta, su una barca in mare, scorge infatti nella luce del crepuscolo le torri della città nella quale il suo amore si è infranto. Un'ottava spezzata, su cui si va a sovrapporre un rapido arpeggio di settima diminuita, introduce la scena, lasciando poi spazio al primo episodio («A»), nel quale il canto viene scandito lento e solenne sopra un mesto accompagnamento accordale perfettamente aderente al testo. Ritorna lo stacco strumentale, non più come semplice introduzione ma come accompagnamento, sostenendo a mo' di pedale ostinato la scarna melodia del secondo episodio («B»), e descrivendo al tempo stesso, con i rapidi arpeggi di settima diminuita, gli umidi rèfoli di vento che increspano il mare su cui lenta incede la barca. Con la ripresa del primo episodio si completa quindi la forma «A-B-A» alla quale si aggiunge un' ulteriore riproposizione dell'introduzione strumentale in funzione di coda.

Scena d'amore, immaginata anche in questo caso al mare, Am Meer parla di due innamorati seduti presso la capanna di un pescatore. Inizialmente vi è un pacato episodio che descrive lo scintillare sull'acqua degli ultimi raggi di sole al tramonto, ma al calare della nebbia e all'incresparsi delle onde il canto si fa più drammatico, mentre il pianoforte commenta con fitti tremoli in crescendo. Tutto infine si placa nuovamente nella descrizione del pianto dell'amata. Questi tre brevi episodi si succedono nuovamente con una seconda strofa di testo, per poi concludersi con una breve cadenza accordale.

Lied tra i più famosi della produzione schubertiana, Der Doppelgänger, dà veste musicale alla spettrale e inquietante lirica di Heine con una estrema sobrietà di elementi melodici e pianistici, ricercando l'intensità drammatica nell'asciutta potenza espressiva della voce, mossa attraverso un lento declamato simile a un recitativo. Si snoda cosi la lenta scansione del primo episodio nel quale il poeta immagina di spiare in una notte tranquilla la casa che, in un tempo lontano, fu della donna amata. Nel secondo episodio il poeta scopre con orrore, sottolineato da due lenti crescendo che accompagnano la salita verso l'acuto della melodia, un uomo con il suo medesimo volto, la cui visione gli riporta alla mente il dramma da lui vissuto in quella casa. Nel terzo e ultimo episodio, nel quale il poeta invoca il suo sinistro sosia, la melodia giunge, dopo una breve modulazione, a uno sconsolato acuto, per poi spegnersi seguita da una mesta coda accordale.

In Die Taubenpost, l'ultimo Lied scritto da Schubert nella sua vita, il poeta racconta del suo piccione viaggiatore con cui invia messaggi alla propria amata. Strutturato in forma «A-B-A-C» il Lied che conclude lo Schwannengesang, è sostenuto per tutta la durata del pezzo da un vivace e palpitante accompagnamento sincopato del pianoforte che sostiene l'intera composizione. Nel primo episodio («A») si succedono due eleganti periodi melodici condotti nella tonalità principale, mentre nel secondo episodio («B») troviamo altri due periodi modulanti ad altre tonalità. Il primo episodio viene quindi ripreso con un nuova strofa, seguito da un terzo episodio che, ripetuto con alcune varianti conclude il Lied.

Carlo Franceschi De Marchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 maggio 2010
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 81 della rivista Amadeus


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 19 febbraio 2017