Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore, D.125


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Largo (si bemolle maggiore). Allegro vivace
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto: Allegro vivace (mi bemolle maggiore). Trio
  4. Presto vivace (si bemolle maggiore)
Organico: flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 10 dicembre 1814 - 24 marzo 1815
Prima esecuzione: 24 marzo 1877
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1884
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Delle tredici Sinfonie di cui si ha notizia, Schubert ne completò solo sette. Ciò ha creato una certa confusione nella numerazione anche perché nel corso degli anni sono cambiati i criteri di valutazione (ad esempio la famosa Incompiuta, anche se incompleta perché mancante di due movimenti, va considerata un'opera compiuta e quindi con un suo preciso numero d'opus nel catalogo schubertìano). Nelle prime tre Sinfonie l'autore si rifa ai modelli haydniani e del primo Beethoven, e se certi temi o il loro trattamento orchestrale appaiono ingenui, non bisogna dimenticare che si tratta di composizioni scritte tra i sedici e i diciotto anni, dunque opere di apprendistato. Quello che invece stupisce proprio in un compositore così giovane e legato ai modelli dei coevi è la notevole intraprendenza nel campo armonico: qui Schubert segna subito i propri confini scegliendo percorsi tonali originali ed autonomi rispetto alla tradizione del classicismo.

Le Sinfonie del primo periodo (fino alla quarta del 1816) adottano uno schema formale standard con un Adagio introduttìvo seguito da un Allegro in forma-sonata dai temi veloci e graziosi, ripresi poi nella sezione centrale (sviluppo) in modo sempre originale. Segue poi un tempo lento nel quale Schubert scopre le sue doti di orchestratore puntando l'attenzione, in particolare, sugli strumenti a fiato. Il terzo tempo è un Minuetto ancora molto legato alle movenze settecentesche, mentre nell'ultimo tempo si scatenano veloci figurazioni melodiche, trattate con grande gusto coloristico dall'orchestra, impegnata a sottolineare le profonde differenze dinamiche.

Schubert compose la Sinfonia n. 2 in un periodo di grande attività creatività, tra dicembre 1814 e marzo 1815, alla giovane età di 17 anni. Nel Largo che segna l'inizio della composizione, ci vengono presentati gli strumenti per blocchi (fiati e archi), un vero e proprio preludio che, oltre ad aumentare l'effetto dell'Allegro vivace, serve a mettere in campo i protagonisti. Il primo tema sorprende per la speciale esuberanza e facilità espressiva che trovano la spiegazione in un semplice espediente ritmico (cioè spostamento dell'accento dal primo al secondo tempo della battuta che ha lo scopo di imprimere una costante spinta centrifuga). Nel secondo tema, invece, entra in scena quella speciale cantabilità schùbertiana che unisce delicatezza e spontaneità melodica con originalità armonica e sapienza dell'orchestrazione.

Nel secondo movimento troviamo un Tema con variazioni ed è interessante notare come il tema sia un omaggio dichiarato ad Haydn, che era uno dei punti di riferimento del giovane Schubert. Le variazioni (sei in tutto) ricalcanti modelli tradizionali, puntando l'attenzione sulla fìoritura della melodia più che su variazioni strutturali; nella quarta, però, quella in tonalità minore, è possibile sentire tutta la potenza e la fantasia del romanticismo.

Il Minuetto ha un carattere curiosamente severo e marziale accentuato dalla tonalità (do minore). In netto contrasto è il Trio (al relativo maggiore), che mette in primo piano l'oboe (e poi il clarinetto) in una melodia molto simile al Minuetto ma trattata con una grazia completamente diversa.

Come già nel primo movimento, anche nel Finale si respira un'energia vitale straordinaria che il compositore traduce in una geniale e trascinante idea musicale con tratti di sereno umorismo in cui si notano ancora le tracce di Haydn. Forti contrasti dinamici (dal pianissimo al fortissimo) segnano continuamente la partitura mentre continui forzando provocano persistenti sfasamenti metrici che ci fanno sentire l'energia di una struttura primigenia che stenta ad essere racchiusa tra le battute.

Oltre la tendenza all'estensione della forma, specie nel primo movimento, la caratteristica più evidente offerta da questa Sinfonia è la presa di distanza di Schubert dalle "semplici" strutture classiche per esplorare il terreno armonico delle modulazioni a distanza di terza che diverrà prassi abituale nelle opere della maturità.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La «Seconda Sinfonia» in si bemolle maggiore fu cominciata da Schubert all'età di diciassette anni, il 10 dicembre 1814, e terminata due mesi dopo. Come tutte le composizioni sinfoniche di Schubert, anche questa non conobbe alcuna esecuzione pubblica vivente l'autore. Essa entrò, probabilmente, a far parte del repertorio dell'orchestra di dilettanti che Otto Hatwig prima e Anton Pettenkofer poi diressero in case private viennesi fra il 1815 e il 1820: sembrerebbero provarlo le numerose parti d'orchestra che sono state ritrovate. Per vedere la sua prima esecuzione pubblica la sinfonia dovrà attendere quasi cinquantanni dopo la morte del musicista, e precisamente il 20 ottobre 1877, quando sotto la direzione di August Manns fu presentata al Crystal Paiace di Londra.

Il primo tempo, di singolare estensione, fu forse originariamente concepito come una ouverture indipendente e solo successivamente adottato come parte di sinfonia. Esso consiste in un «Largo» introduttivo, che richiama l'analogo della «Sinfonia» in mi bemolle maggiore di Mozart per l'alternanza fra gli accordi ribattuti dei fiati e i disegni discendenti degli archi, e in un «Allegro vivace», che invece ricorda andamenti beethoveniani, segnatamente della «Seconda Sinfonia», del «Triplo Concerto» e dell'ouverture del «Prometeo». Restano cosi chiaramente indicati i modelli sinfonici a cui il giovanissimo Schubert si ispira. E tuttavia, la lunghezza stessa di questo primo tempo già denota il carattere poetico tipicamente schubertiano, lontano sia dalla stringatezza mozartiana, sia dalla serrata dialettica beethoveniana, e derivante dal lirico isolamento dell'immagine per entro la sconfinatezza del discorso musicale, il quale dilata i limiti della forma sonata anche in virtù di un'invenzione armonica di ineffabile ricchezza. Brahms vide appunto nella dimensione della composizione schubertiana, e proprio a proposito di questa «Seconda Sinfonia», «la testimonianza della freschezza e dell'immediatezza con cui egli programmava e scriveva le sue opere».

Cosi, se a Haydn può essere riportata la melodia del secondo tempo («Andante»), schubertiane al cento per cento suonano le cinque variazioni e la coda che seguono, per i miracolosi riflessi armonici e timbrici che il tema vi acquista e per l'abbandono contemplativo con cui si offre ogni volta. Né meno personale è il «Trio» che inframmezza il vigoroso «Minuetto» (terzo tempo), con la deliziosa melodìa dell'oboe imitata dal clarinetto. Mentre il finale («Presto vivace») il suo potere incantatorio lo esercita per via del modulo ritmico che vi domina da capo a fondo, insistito sino ad additare, di là dalla forma che lo costringe, più liberi sviluppi.

Piero Santi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 maggio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 20 marzo 1976


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Ultimo aggiornamento 16 aprile 2019