Sinfonia n. 8 in si minore "Incompiuta" D. 759


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro moderato (si minore)
  2. Andante con moto (mi maggiore)
  3. Allegro (si minore) e trio (sol maggiore) - Restano solo 128 battute
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Vienna, 15 Marzo - 30 Ottobre 1822
Prima esecuzione: Vienna, 17 Dicembre 1865
Edizione: Spina, Vienna, 1867

Incompiuta, restano solo i primi due movimenti e 128 battute del terzo
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le prime sei Sinfonie di Franz Schubert, composte in tempi brevi tra il 1813 e il 1818, sono opere adolescenziali, che già rivelano una felicissima vena creativa ma non escono da una dimensione scolastica, intesa in una duplice accezione, perché servivano a Schubert come lavori di apprendistato e allo stesso tempo erano destinate (almeno le prime due, mentre non si sa nulla di certo sulle prime esecuzioni delle altre) all'orchestra degli studenti dello Stadtkonvikt di Vienna, di cui Schubert stesso aveva fatto parte.

Nel 1818 il compimento dei ventun'anni d'età segna la fine di quest'esuberante facilità creativa e l'inizio di un rapporto più consapevole e quindi anche più cauto, difficile e tormentato col massimo genere della musica strumentale dell'epoca, elevato da Beethoven a dimensioni monumentali e a significati epici. Inizia allora quella che è stata definita "l'età delle incompiute": nel maggio 1818, tre mesi dopo la conclusione della Sinfonia n. 6, Schubert comincia una Sinfonia in re maggiore, di cui è quasi completo soltanto l'Adagio introduttivo, che lascia presagire una libertà formale molto interessante, contraddetta però dal successivo Allegro, per quel che si può capire dagli abbozzi.

Al 1821 appartengono gli schizzi per i quattro movimenti di un'altra Sinfonia in re maggiore (in questo caso è stato giudicato particolarmente interessante lo Scherzo, che annuncerebbe già il corrispondente movimento della grande Sinfonia in do maggiore del 1828). Allo stesso 1821 risale un altro progetto sinfonico, in mi maggiore, anch'esso incompiuto: ma, sebbene solo le prime centodiecì battute siano orchestrate, i quattro movimenti sono abbozzati per intero, tanto che vari musicologi e compositori hanno potuto tentare di completarlo in modo relativamente attendibile.

Sicuramente quello era per Schubert un periodo di ricerca di nuove e personali soluzioni nel campo della grande forma e anche d'insoddisfazione per i risultati di volta in volta raggiunti. Nel 1822 - esattamente il 30 ottobre, come attesta il manoscritto - inizia a scrivere un'altra Sinfonia destinata a non essere completata e a restare l'Incompiuta per antonomasia. Per decenni se ne ignorò completamente l'esistenza e forse sarebbe andata perduta per sempre, se nel 1865 il direttore d'orchestra Johann Herbeck non ne avesse scoperto il manoscritto autografo in casa di un vecchio amico e compagno di studi di Schubert, Anselm Hüttenbrenner: fu lui a dirigerne la prima esecuzione, il 17 dicembre di quello stesso anno a Vienna.

I primi due movimenti della Sinfonia in si minore "Incompiuta" sono completi in tutti i particolari, mentre del terzo resta l'abbozzo dello Scherzo e delle prime battute del Trio. «È chiaro», ne dedusse Alfred Einstein, «il motivo per cui Schubert smise di lavorare a questa Sinfonia. Egli non avrebbe potuto completarla in nessuno dei significati che attribuiamo a questo termine. Lo Scherzo [...], che per le prime battute è anche orchestrato, suona come un luogo comune dopo l'Andante. Dobbiamo forse immaginare che Schubert non avesse alcuna consapevolezza di questo valore? Egli aveva già scritto troppe opere compiute per potersi accontentare di qualcosa di inferiore o anche solamente di più ovvio». Questa spiegazione è stata accusata di eccessivo idealismo da altri musicologi, propensi piuttosto a credere che Schubert non abbia completato la Sinfonia soltanto per motivi molto più pratici, non vedendo alcuna concreta possibilità che venisse eseguita. Entrambe le ipotesi sono plausibili ma non dimostrabili. Innanzitutto, se non sperava che fosse mai eseguita, non avrebbe dovuto nemmeno iniziarla. A favore di Einstein si può inoltre osservare che in quegli anni Schubert lasciò incompiuti anche Sonate e Quartetti, nonostante non ci fossero problemi insormontabili alla loro esecuzione. Al contrario il fatto che non ci fossero prospettive di un'esecuzione non fu un deterrente al completamento della Sinfonia in do maggiore, ultimo suo impegno in questo campo.

«Chi potrà fare qualcosa di più, dopo Beethoven?», si chiedeva Schubert mestamente. Indubbiamente la Sinfonia in si minore è un tentativo - assolutamente riuscito nonostante la sua incompiutezza - di dare una risposta a tale domanda. Mentre in Beethoven ogni elemento concorre a costruire una possente architettura e soltanto in quella assume il suo pieno valore, Schubert esalta il valore autonomo del potere ammaliante della melodia, degli espressivi coloriti dell'armonia e del fascino suggestivo del timbro. Anche la dinamica è profondamente diversa rispetto alle Sinfonie di Beethoven: i grandi e possenti ma sempre calibrati crescendo di Beethoven culminano in esplosioni di proporzionata forza sonora, mentre in Schubert i passaggi dal piano al forte non fanno parte di un ampio piano architettonico ma vengono raggiunti con un rapido scatto umorale. In Beethoven il materiale tematico è costantemente elaborato per dar vita a un discorso in continuo sviluppo, che procede da un climax all'altro con un senso di assoluta inevitabilità sino alla fine, mentre Schubert fa scomparire le nervature della forma classica, che pure esteriormente conserva, in modo che il suo discorso possa procedere senza il vincolo di funzioni strutturali, fermandosi a ripetere continuamente i due struggenti e fascinosi temi, come incantato in una mesta meditazione senza via d'uscita.

È su una frase pianissimo mormorata da violoncelli e contrabbassi e continuata dai violini che s'apre l'Allegro moderato: questo non è il primo tema in senso tecnico ma soltanto un'introduzione e tuttavia assume il valore di un motto che contrassegna l'intero movimento e che ha funzioni pari a quelle del vero e proprio primo tema, una struggente melodia esposta da oboe e clarinetto, e del tenero e affettuoso secondo tema, un innocente Ländler in sol maggiore introdotto da clarinetti e viole e intonato dai violoncelli. Sarà proprio il motivo dell'introduzione a diventare protagonista dello sviluppo, che tocca laceranti tensioni e drammatiche fratture, sottolineate dagli interventi dei tromboni, e a concludere infine, dopo la regolare ripresa della parte iniziale, il movimento.

L'Andante con moto si aggira nello stesso desolato e pessimistico ambito espressivo del primo movimento, illuminato ora dalla luce solo apparentemente più serena e confortante del mi maggiore. Aperto dal suono del corno e del fagotto, si effonde in un primo tema sostenuto dai violini, che si prolunga in una seconda idea, il cui andamento solenne e la cui spessa orchestrazione evocano un corale. Il secondo tema, preceduto da una breve introduzione dei violini primi, è un sublime dialogo tra oboe e clarinetto al di sopra del tremulo scintillio degli archi, ripetuto con continue e instabili modulazioni, per sfociare infine in un episodio di solenne grandiosità, la cui piena sonorità orchestrale non ha la dialettica e il dinamismo beethoveniani, ma assume una atemporale valenza cosmica. Tutta questa parte viene ripresa con varie modifiche e la Sinfonia termina sulla ripetizione del tema iniziale, in una versione ancora più struggente affidata agli strumenti a fiato.

L'ascoltatore non può immaginare quale proseguimento il genio di Schubert avrebbe potuto dare a questa Sinfonia, ma certamente l'incompiutezza rafforza quel senso di domanda senza risposta e di meditazione serenamente ma irreparabilmente pessimistica che ne fa uno dei documenti più autentici e alti dell'arte di Schubert.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto n. 2 (nota 2)

Sulla genesi del più celebre capolavoro sinfonico di Schubert sono ancora aperti molti interrogativi: l'autografo, datato 30 ottobre 1822, fu dal compositore consegnato all'amico Anselm Hüttenbrenner in quanto esponente dell'Unione Musicale Stiriana, cui l'opera era probabilmente destinata come ringraziamento perché aveva nominato Schubert membro onorario. Non sappiamo perché Schubert non la finì, né perché Hüttenbrenner la tenne nascosta per più di quaranta anni: solo il 17 dicembre 1865 Johann Herbeck ne diresse a Vienna la esecuzione. L'esistenza di estesi abbozzi per uno Scherzo contraddice la suggestiva ipotesi che Schubert considerasse in realtà la sinfonia perfettamente compiuta in due movimenti. L'"Incompiuta" ci conduce al cuore della poetica schubertiana, al suo nucleo di desolazione e confidenza con la morte, tra vagheggiamenti del sogno e della memoria e lo schiudersi improvviso di angosciosi abissi.

Nel primo tempo lo schema classico della forma sonata è rispettato solo come una scorza, come il contenitore di un percorso libero e inquieto, dove i due temi principali appaiono quasi come monadi chiuse nell'incanto, struggente e mestissimo, della bellezza melodica. Prima della loro apparizione violoncelli e contrabbassi propongono otto battute introduttive: non sono semplicemente una introduzione, ma una sorta di motto che conduce l'ascoltatore in un tempo onirico e che fa parte del materiale fondamentale dell'Allegro moderato, divenendo protagonista dello sviluppo che (come già l'esposizione) si apre a gesti laceranti, a drammatiche tensioni e fratture. Il secondo tempo si affianca al primo in un dittico in sé concluso, come se esplorasse sotto una luce diversa una affine condizione desolata. Due ampi episodi sono giustapposti: il primo inizia con accenti quasi pastorali, di mestissima dolcezza, e si prolunga in una idea dal respiro solenne e grave; il secondo appare più oscuro e turbato, si dilata su continue modulazioni e armonie instabili, fino ad approdare a uno straziato gesto in fortissimo. Entrambi gli episodi vengono poi ripetuti e conclude una breve coda.

Guida all'ascolto n. 3 (nota 3)

Non ultimare la propria opera per cause diverse da quelle inevitabili e indilazionabili della morte (come è invece il caso dell'Arte della fuga di Bach, del Requiem d Mozart o della Nona Sinfonia di Bruckner), se da un lato alimenta la legittima curiosità dello studioso, dall'altro investe realtà misteriose e imperscrutabili, di fronte alle quali diventa difficile e sarebbe in ogni caso presuntuoso pretendere di dire una parola definitiva. Perchè Schubert lasciò incompiuta la Sinfonia in si minore? Perchè dopo i due primi movimenti, composti nell'ottobre 1822, dopo aver aggiunte due pagine orchestrate dello "Scherzo" e lasciato altro materiale allo stato di abbozzo, il compositore si fermò, accantonò il lavoro e non lo riprese più, fino alla sua morte? Sono, queste, domande alle quali sono state date cento diverse risposte; ma una sola di esse si avvicina, pur senza coglierla, alla verità: la Sinfonia in se stessa era finita dopo i due primi movimenti, rimanendo formalmente incompiuti ma compositivamente, sostanzialmente compiuta così.

Ottava fatica in campo sinfonico, anteriore soltanto a quell'immenso e conclusivo vertice rappresentato dalla Sinfonia in do maggiore detta "La Grande" (marzo 1828), la Sinfonia in si minore è un punto di arrivo dove il salto rispetto alla produ zione sinfonica precedente di Schubert si fa notevole, quasi abissale: non tanto pe lo stile, sempre individualmente riconoscibile (quando Hanslick la ascoltò per la prima volta - molti anni dopo la morte dell'autore - non esitò a sentenziare: "Schubert! È proprio Schubert!"), quanto per la qualità della scrittura, assai riccca e variata, per la flessibilità ed omogeneità del trattamento tematico, per il modo nuovo di concepire la tonalità, non più mero valore funzionale bensì colore armonico inquietante e discontinuo nei suoi nessi associativi; e infine per l'ampliamento della tavolozza orchestrale che Schubert, memore delle conquiste fatte nella musica da camera, maneggia ora con maestria insuperabile, mettendola al servizio di una concezione formale senza confronti ardita.

Apparentemente differenziati nella fisionomia, l'"Allegro moderato" in si minore e il successivo "Andante con moto" in mi maggiore rivelano in profondità strette relazioni, sia sotto l'aspetto ritmico sia dal punto di vista dell'elaborazione tematica: quasi fossero due volti, opposti ma complementari, di un'identica realtà. La consapevolezza compositiva di Schubert ha raggiunto un tale controllo sulla materia che le metamorfosi (ritmiche, melodiche e armoniche) si nutrono alla fonte dell'unità originaria, nello stesso istante in cui questa unità, sfaccettandosi in infinite sfumature, sembra perdere i propri connotati e addentrarsi in territori illimitati, mai prima esplorati. In questo viaggio verso orizzonti sconosciuti, Schubert ha un solo compagno di strada: Beethoven. E come sottrarsi allora all'interrogativo, retorico certo, che già si era avanzato, solo pochi mesi prima, a proposito della Sonata in do minore op. 111 di Beethoven, anch'essa in due soli tempi: sarebbe stato veramente possibile, dopo aver toccato simili vertiginose altezze, un terzo movimento? Schubert, come Beethoven, si fermò là dove nessuno poteva arrivare, un lontano punto illuminato che noi riusciamo appena a intravvedere e che, con la nostra debole vista, continuamo a chiamare "incompiuto".

Sergio Sablich

Guida all'ascolto n. 4 (nota 4)

Il 17 dicembre 1865 la Società viennese degli Amici della Musica organizza una serata singolare: nel programma, diretto da Johann Herbeck, figura come «novità» una sinfonia composta da Schubert quarant'anni prima e sino ad allora rimasta ineseguita. Nessuno dei presenti può immaginare come quel concerto sia già un evento, o tanto meno è in grado di comprendere appieno il valore di quella musica, ma quella sera, d'improvviso, un'anonima sinfonia in si minore in soli due tempi è già divenuta l'«Incompiuta» di Schubert.

Oggi, rispetto ad allora, sembra dunque incredibile come uno dei capolavori della storia della musica, quello che con maggiore immediatezza conduce alle fibre più profonde dell'arte schubertiana, sia rimasto per tanto tempo celato. Ma così, spesso, si compie il destino: e l'«Incompiuta», la gemma perduta, una volta riscoperta rifulse nel suo splendore agli occhi di tutti.

Schubert aveva donato l'autografo della sua Sinfonia - con firma 30 ottobre 1822 - all'amico Anselm Hüttenbrenner, esponente dell'Unione Musicale Stiriana di Graz in segno di riconoscenza per la nomina a membro onorario. Da Anselm la partitura passò al fratello Joseph che solo molti anni dopo, nel 1860, informò del manoscritto Herbeck, il quale alla fine ne entrò in possesso, ma con una certa difficoltà e solo in seguito a ripetute richieste.

Non abbiamo notizie certe sui motivi per cui il compositore non l'avesse portata a compimento: della Sinfonia conserviamo infatti i due primi movimenti, mentre ci rimangono le misure di apertura di uno Scherzo parzialmente orchestrato e l'abbozzo non strumentato e nella sola versione pianistica dello Scherzo stesso. Se alcune congetture hanno portato a formulare l'ipotesi che la Sinfonia fosse nata volutamente in due tempi sull'esempio dell'ultima sonata per pianoforte di Beethoven, è forse più verosimile che fosse stata interrotta e poi non più ripresa per sopravvenuti altri impegni. Dopo Alfonso ed Estrella Schubert si era fatto attrarre da nuovi lavori per il teatro e da musiche di scena: Die Verschworenen, Fierabras e Rosamunde vedono la luce nel 1823; quando mette mano all'«Incompiuta» è già impegnato nella Messa in la bemolle e soprattutto ha avuto il remunerativo incarico per la Wanderer-Fantasie; ma ancora, nell'autunno del 1823 inizia il ciclo della Bella mugnaia. Un accavallarsi di impegni lo tiene dunque occupato procrastinando il lavoro della Sinfonia, sino a fargli abbandonare il progetto.

Ma qual era il suo stato d'animo, quali erano le sensazioni che provava alla vigilia della stesura dell'«Incompiuta»? Forse più di ogni altra considerazione valgono le toccanti parole tratte dal suo diario del 1822, in quella pagina intitolata «Il mio sogno»: «Per molti anni intonai canzoni. Ma quando volevo cantare l'amore non riuscivo a esprimere che il dolore e quando provavo a intonare il dolore ecco che si trasformava in amore». Un dualismo dunque, uno scontro di sentimenti, un meraviglioso confronto di energie è la forza che si sprigiona dalla Sinfonia.

Lo vediamo sin dall'inizio, nel primo tempo (Allegro moderato), dove un enigmatico, livido motto introduttivo tracciato dai bassi si presenta come un doloroso presagio che dà il via al primo tema; quest'ultimo, sinuoso e avvolgente nella trama agitata dei violini, ha qui il respiro inquieto di oboi e di clarinetti. In seguito la melodia si apre e diviene un fiume in piena, prima di approdare alle movenze tenere di ländler del secondo tema, presentato nell'inattesa tonalità di sol maggiore: in pochi attimi un genuino sentimento di serenità subentra come quiete dopo la tempesta.

Poi, d'improvviso, il motivo si interrompe, spezzato da icastici accenti che fanno fremere e vibrare l'orchestra; ancora per un istante fa capolino il profilo del secondo tema, ma altri intensi accordi lo raggiungono, sopravanzandolo con forza sino a tacitarlo, come se lo spirito drammatico del primo elemento ne avesse preso possesso, trasformandolo. Con l'Epilogo torna ancora il secondo tema: ma attenuato e attutito com'è diventa quasi irriconoscibile e rischiara l'orizzonte come un tenue sole al tramonto.

Nello Sviluppo è il motto introduttivo a dominare il campo: quella che era una triste premonizione diviene ora un lancinante lamento di dolore gridato al mondo. Il suo profilo, espresso pesantemente dai bassi, rende instabile la materia sonora e scatena un vortice di sentimenti; l'orchestra, come un vascello in balia degli elementi, cade in un tormentoso mulinare, disegna saettanti figurazioni e rimbomba cupa, mentre solo nel finale sembra schiudersi un filo di speranza. Al termine della Ripresa si aggiunge una Coda ancora basata sul motto introduttivo; questa volta, però, il conflitto drammatico si stempera e il motivo viene pronunciato sommessamente nell'eco sotterranea di violoncelli e bassi, nel triste canto dei violini, nel richiamo malinconico dell'oboe. La lotta si è compiuta e ha pronunciato il suo inappellabile esito: il motto introduttivo, come un ricordo che va stemperandosi, lentamente si estingue nelle sue stesse ripetizioni, prima dei perentori accordi finali.

Con l'avvio del secondo tempo, l'Andante con moto lo scenario cambia radicalmente. È un gioioso aprirsi alla vita, il sollievo dopo la tempesta, anche se latenti venature scure sollevano il ricordo del dramma che si è compiuto, rammentando la precarietà dell'esistenza umana. In apertura un luminoso primo tema disegna immagini aurorali nel delicato e pacato scambio dialogico tra archi e fiati: si leva come il sorgere di un nuovo giorno, annunciato dal risuonare bucolico dei corni.

Una linea sospensiva quasi eterea dei violini si trasforma nel moto sincopato degli archi; è questo un dolce andamento oscillante che sostiene come in un caldo abbraccio il secondo tema, intonato docilmente dal clarinetto e poi dall'oboe.

La burrascosa sezione di Epilogo, che ci mostra un paesaggio letteralmente scolpito dal fremente ribollire dell'intero corpo orchestrale, interrompe in modo violento questo idillio e confluisce senza soluzione di continuità nello Sviluppo, basato su varianti e incisi del secondo tema. Quando interviene la Ripresa, Schubert propone lo stesso materiale tematico, ma con qualche inaspettata novità: il secondo tema, ad esempio, è presentato in la minore anziché nel do diesis minore dell'Esposizione, mentre l'ordine di entrate degli strumenti è inverso, prima l'oboe e poi il clarinetto. Inoltre, alla fine dell'Epilogo sono aggiunte le figurazioni circolari-ponte della frase secondaria, per quel loro spiccato carattere di congedo. Con il sopraggiungere della Coda il percorso intrapreso dal «viandante» Schubert si compie: esempio di sintesi estrema, la sezione finale racchiude il digradare in pizzicato degli archi, l'aurorale primo tema, l'eterea linea levitante dei violini e le plastiche figurazioni circolari di commiato. È un saluto calmo e sereno che riporta a quel sentimento positivo, a quella quiete dell'animo tanto agognata e finalmente raggiunta.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 28 Aprile 2002
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Orchestra Haydn di Bolzano,
Rovereto, 30 ottobre 1982
(4) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 95 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 20 febbraio 2017