Sonata per pianoforte in fa minore, D. 625


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro (fa minore)
    Frammento incompiuto
  2. Scherzo. Allegretto (mi maggiore). Trio (la maggiore)
    Frammento incompiuto
  3. Allegro (fa minore)
Organico: pianoforte
Composizione: settembre 1818
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897

In origine il tempo lento era costituito dall'Adagio D 505
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La incompiuta Sonata in fa minore D. 625 fu iniziata da Schubert nel settembre del 1818. Il primo tempo si arresta alla battuta n. 117, nel momento in cui, presumibilmente, avrebbe dovuto iniziare la riesposizione; lo Scherzo è praticamente completo; nel Finale non sono complete settanta battute (dalla battuta n. 201 alla battuta n. 270 compresa), nelle quali Schubert indicò soltanto la melodia.

I lavori musicali incompleti possono facilmente essere conosciuti attraverso la stampa e la privata lettura degli esperti, ma la loro diffusione attraverso l'esecuzione - e basti ripensare alla Chovanscina di Musorgskij o alla Turandot di Puccini - pone sempre problemi molto gravi.

Nella Sonata D. 625 il problema maggiore concerne il primo tempo. Walter Rehberg e Paul Badura Skoda lo completarono in due modi diversi, scrivendo la riesposizione sulla falsariga della esposizione ma dovendo necessariamente "inventare" la sezione conclusiva. Ora, il problema dei completamenti musicali può essere paragonato al problema della ricostruzione di statue mutile: sebbene sia possibile capire la struttura e le forme originarie, le ricostruzioni e i completamenti finiscono inevitabilmente per introdurre nell'opera elementi stilistici contrastanti, che rappresentano una turbativa più che un aiuto alla conoscenza. Lo stesso può dirsi per i completamenti della musica che richiedano un sia pur piccolo intervento creativo, che vadano oltre il semplice restauro; sembra perciò preferibile limitare l'esecuzione alla parte scritta da Schubert.

Nello Scherzo manca il basso di due battute: il completamento è, in questo caso, fuori d'ogni possibile dubbio, e quindi non esistono problemi di intervento che rischino di fraintendere le intenzioni di Schubert. Le settanta battute incomplete del Finale sono state in realtà indicate da Schubert stenograficamente, in quanto esattamente corrispondenti, in una diversa tonalità, all'analogo episodio dell'esposizione: anche in questo caso non esistono né problemi né dubbi per il completamento.

La Sonata D. 625 presenta ancora un altro, e più grosso problema testuale: il tempo lento. Il manoscritto andò perduto, e la prima edizione (1897) fu preparata su una copia di mano ignota, in cui figurano primo tempo, Scherzo e Finale. Erich Otto Deutsch ritrovò verso il 1930 un catalogo di Ferdinand Schubert, fratello del compositore, in cui la Sonata in fa minore era indicata come in quattro tempi; il secondo tempo era l'Adagio in re bemolle maggiore D. 505 che, in versione abbreviata e trasportato in mi maggiore, era stato pubblicato verso il 1847 dall'editore Diabelli di Vienna come introduzione al Rondò D. 506, con il titolo complessivo Adagio e Rondò e con il numero d'opera 145.

È possibile, o perlomeno probabile, che l'editore riunisse insieme l'Adagio e il Rondò per avere un pezzo strutturato secondo la moda del momento (si pensi al Rondò capriccioso di Mendelssohn), così come è ipotizzabile, se bene meno probabile, che fosse stato Schubert a riutilizzare come Adagio e Rondò due tempi di sonate incomplete. Paul Badura Skoda mise anche in dubbio che l'Adagio fosse da collocare proprio come secondo tempo della Sonata D. 625, esprimendo l'opinione che la miglior disposizione sia quella con l'Adagio dopo lo Scherzo, come nella coeva Sonata D. 574 per violino e pianoforte.

Infine, sebbene si debba prestar fede all'asserzione del Deutsch, non si può né attribuire un valore assoluto al catalogo di Ferdinand Schubert, né escludere, in ipotesi, che Schubert avesse scritto una sonata senza tempo lento (per citare un esempio, la Sonata quasi una fantasia op. 20 di Jan Vorisek, composta a Vienna verso il 1824, è in tre tempi, con uno Scherzo come tempo centrale). Alcuni interpreti decisero dunque di non includere l'Adagio in questa Sonata. E questa soluzione pare a noi, per ragioni più di gusto che filologiche, preferibile.

È stato più volte notato il carattere beethoveniano della Sonata in fa minore, che il Brown definisce «la Sonata Appassionata di Schubert». Il carattere beethoveniano, in apparenza innegabile, si limita però ai temi iniziali del primo e dell'ultimo tempo perché né le forme né lo stile sono rapportabili a Beethoven. Anzi, a noi pare che il riferimento a Beethoven sia più apparente che reale, e sia dovuto forse alla suggestione della tonalità di fa minore, comune a questa Sonata ed alla beethoveniana Appassionata.

Il tema iniziale del primo tempo può essere definito beethoveniano nel senso che segue la costruzione del primo tema dell'Appassionata. Beethoven aveva esposto il tema prima in fa minore e subito dopo, senza transizione, in sol bemolle maggiore. Questa idea, di enorme forza drammatica, viene per così dire analizzata e commentata da Schubert, che passa da fa minore a sol bemolle maggiore discendendo per terze: fa minore, re bemolle maggiore, si bemolle minore, sol bemolle maggiore. Il potente scorcio beethoveniano viene aperto da Schubert, che intende servirsi di una cellula tematica fondamentale per costruire poi una melodia. Dopo aver esposto la cellula, Schubert presenta infatti la melodia, e nel corso dell'esposizione non le contrappone un secondo tema, ma continua a sviluppare la cellula tematica fondamentale.

Non la dialettica beethoveniana, dunque, ma una specie di monodramma, che si arresta alla fine dello sviluppo perché, forse, la semplice riesposizione sarebbe risultata scontata e banale. Nella incompiutezza del primo tempo si riscontra dunque, a parer nostro, una logica: la logica non tanto di una forma non compiuta, quanto piuttosto di un problema formale non risolto.

Lo Scherzo è costituito, insolitamente, con là prima ripetizione (il ritornello) variata, e senza la seconda ripetizione. Tradizionale è invece la struttura del Trio; ma basta la singolarità dello Scherzo a rendere del tutto nuova, e affascinante, la forma complessiva.

L'inizio del finale, a moto perpetuo, ricorda il finale dell'Appassionata: l'analogia è però momentanea e appena allusiva, perché Schubert arresta ben presto la corsa vorticosa del moto perpetuo, variando anzi più volte la densità ritmica. L'Adagio D. 505 è in forma di canzone (primo tema, secondo tema, primo tema variato, coda), con una parte centrale che sembra pensata per orchestra più che per pianoforte. Sebbene la qualità estetica del brano sia elevata, il contrasto stilistico con gli altri tempi giustifica a parer nostro i dubbi sulla collocazione di questo Adagio nella Sonata, in fa minore.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo la fioritura di sonate del 1817 Schubert compose, nel 1818, due sonate; un abbozzo di Sonata in do maggiore D. 613, in aprile, e la Sonata in fa minore D. 625, scritta a Zselig, in Ungheria, nella residenza estiva del conte Esterhàzy, presso la cui famiglia il compositore esercitava le funzioni di maestro di musica. La Sonata D. 625 pone numerosi problemi testuali; è pervenuta in una copia che comprende solo tre movimenti (due Allegri in forma-sonata che incorniciano uno Scherzo), che oltretutto non sono completi; manca infatti del tutto la riesposizione del primo movimento (che è stata reintegrata da alcuni studiosi: ma con soluzioni ovviamente arbitrarie rispetto alla coda), mentre alcuni passaggi mancanti negli altri due tempi sono facilmente integrabili. Inoltre un catalogo esaminato nel 1930 da Otto Erich Deutsch ha rivelato che della Sonata faceva parte verosimilmente anche un tempo lento, pervenutoci separatamente come Adagio D. 505. Ma non tutti gli studiosi sono concordi sull'opportunità di inserire questo tempo. Né se la sua corretta collocazione sia quella di secondo o di terzo movimento.

L'intonazione della Sonata è altamente drammatica, beethoveniana, è stato detto; ma proprio nell'ispirarsi al tematismo della celebre "Appassionata" (la tonalità di fa minore è la medesima) Schubert mostra in realtà quelle che sono le reali divergenze rispetto al suo modello. Del tutto singolare è l'Allegro iniziale, aperto da una cellula estremamente incisiva, da cui si dipana poi una melodia più distesa; ma, come ha osservato Gabriele Cervone, «l'intero movimento si dispiega poi come una variazione, una fantasia su un solo nucleo», vale a dire l'esatto antipodo della dialettica beethoveniana; il nucleo di base viene illuminato sempre diversamente, attraverso i continui e imprevedibili slittamenti tonali, la varietà delle scelte timbriche, attraverso i mutamenti di registro e le figurazioni di accompagnamento. L'incompiutezza del movimento è dovuta forse proprio all'indecisione sull'opportunità di un preciso "ritorno", in un tempo che è fatto di sole trasformazioni. Lo Scherzo è fra i più singolari fra quelli di Schubert; si apre con degli aggressivi accordi ribattuti, poi subito fioriti nella ripetizione; non mancano, anche nel Trio, le divagazioni tonali. Il finale, Allegro, si apre con un moto perpetuo, come il finale dell' "Appassionata"; ma abbiamo qui invece una antitesi di ombre e luci, con un secondo tema ad accordi che assumono poi anche una configurazione eroica. Un perfetto pendent, insomma, al tempo iniziale, che sigilla con logica stringente la Sonata.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 20 maggio 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 giugno 1995


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Ultimo aggiornamento 10 novembre 2014