Sonata per pianoforte in re maggiore, op. 53, D. 850


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro vivace (re maggiore)
  2. Con moto (la maggiore)
  3. Scherzo. Allegro vivace (re maggiore). Trio (sol maggiore)
  4. Rondò. Allegro moderato (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: agosto 1825
Edizione: Artaria, Vienna, 1826
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nella primavera del 1825, dopo aver trascorso l'inverno con la famiglia, Schubert aveva trovato da affittare una camera, con vista sulla città e sulla campagna, nell'appartamento di un negoziante di vini situato presso la chiesa di San Carlo. Nella vita di Schubert, che non girò il mondo ma che a Vienna cambiò di residenza innumerevoli volte, l'appartamento del vinaio rappresentò un porto ameno e felice; in cui rimase del resto per poco più di un anno. Poco dopo aver preso possesso della camera, alla fine di maggio del 1825, Schubert partiva per Steyr, dove lo attendeva il cantante Johann Michael Vogl, suo grande amico e, come diremo subito, suo compagno nei concerti che accompagnarono il vagabondaggio nelle piccole stazioni di villeggiatura austriache. Da Steyr il duo Vogl-Schubert passò a Linz e a Kremsmünster, tornò a Steyr, andò a Gmunden, ripassò per Linz, si spostò a Salisburgo e poi a Gastein («una delle più famose stazioni termali», scrisse Schubert ad un amico), tornò a Gmunden e a Steyr; Schubert era di ritorno a Vienna all'inizio di ottobre.

Una tournée di concerti? Sì, in un certo senso: «Il modo di Vogl nel cantare e mio nell'accompagnare, quel nostro parere una persona sola, durante i concerti, rappresenta per questa gente una assoluta novità e una straordinaria esperienza», scrisse Schubert ai genitori; e, in un'altra lettera, parlava delle lodi ottenute come pianista (nel secondo tempo della sua Sonata op. 42). Ma non si trattava certo di una tournée come potevano farne in quegli anni Moscheles o Hummel, che durante le estati toccavano le cittadine in cui soggiornavano i regnanti e i grandi feudatari, che facevano incassi cospicui e che davano lezioni private a prezzi più cospicui ancora.

Vogl e Schubert ricavavano dai loro concerti il piacere di un rapporto con un pubblico molto amante della musica, ospitalità cordiale ed inviti a pranzi e gite. Ma proprio perché non era troppo occupato a contare fiorini e corone, Schubert trovava molto tempo per scrivere, e la serenità di cui godeva favoriva il suo piacere di comporre.

Tra i lavori della felice estate del 1825 sta, oltre alla perduta Sinfonia, detta di Gastein, la luminosa Sonata in re maggiore op. 53. Sullo slancio del successo editoriale ottenuto dall'op. 42, anche l'op. 53 ebbe un editore, un grande editore, Artaria, e sembrò aprire a Schubert una prospettiva che... si chiuse immediatamente.

La Sonata op. 53 è dedicata a Carl Maria von Bocklet, violinista e pianista molto noto a Vienna ed amicissimo di Schubert. Qualche commentatore notò che, se la Sonata op. 42 riflette forse le caratteristiche del pianista Schubert, l'op. 53 dovrebbe riflettere le caratteristiche del pianista Bocklet. Nel primo tempo si notano infatti tratti di agilità virtuoslstica a due mani, e nello Scherzo giochi di masse di suono, che in Schubert non sono frequenti. Non sembra in realtà improbabile che Schubert, alla ricerca del successo, badasse a soddisfare il gusto per il virtuosismo brillante, che andava rapidamente diffondendosi tra il 1820 e il 1830, e che anche il von Bocklet impersonava. E certamente il primo e il terzo tempo, estroversi e trascinanti, contrastano con l'intimismo incantevole del secondo tempo (uno dei più belli di Schubert) e con il sottilissimo umorismo del finale.

Senza che la diversità di impostazione influisse negativamente sul risultato complessivo, che è quello di una grande kermesse popolare, le caratteristiche contrastanti influirono sulla fortuna della Sonata. Il successo di critica, che aveva salutato la Sonata op. 42, non si rinnovò; lo stesso Schumann, grande ammiratore di Schubert, espresse alcuni anni dopo qualche riserva, e anche nel nostro secolo, in piena Schubert-Renaissance, l'op. 53 venne presa in considerazione da pochi interpreti. Oggi non più: anzi, la Sonata op. 53 comincia ad essere tra le più gradite al pubblico.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta nel 1825 durante le tre settimane che Schubert passò a Gastein assieme a Vogl, la Sonata in re maggiore D. 850 è una delle pochissime "sonate" schubertiane per pianoforte solo che siano state pubblicate (a Vienna, da Artaria nel 1826) durante la vita del compositore; dedicata a Carl Maria von Bocklet, amico di Schubert, apprezzato pianista e violinista al Teatro an der Wien, l'opera godette subito di una buona stampa fra i contemporanei e Joseph von Spaun, nel lungo articolo commemorativo scritto nel 1829, la menziona come "la più originale Sonata per pianoforte". Per vari aspetti di stile e di forma la Sonata in re maggiore si apparenta alle ultime e più famose quattro Sonate nate fra il 1826 e il 1828: non avrà di queste ultime l'ampiezza di respiro e lo sguardo dall'alto, ma nemmeno certe parti inerti di puro collegamento che talvolta vi si fanno sentire; senza ardue difficoltà tecniche, più agile e acerba è anche più leggiadra e spiritosa.

Il primo movimento si distingue subito per un cangiantismo tonale, per una avventurosità armonica che appena affermata una tonalità se ne distacca per conquistarne una nuova; proviene di qui, probabilmente, quella impressione di "spavalderia" e di "vitalità che afferra e trascina senza posa" di cui parla Schumann in un articolo del 1834; non abbiamo prove che tale movimento del quadro armonico fosse indotto, come suppone Alfred Einstein, dalla dedica al von Bocklet; e in ogni caso elementi del tutto diversi, di semplice linearità melodica, costituiscono un polo di vivace contrasto e di equilibrio strutturale. La Sonata ha il suo baricentro espressivo nel secondo movimento, Con moto, ma "andante" nella sostanza; incomincia con una idea che è tutta intimismo, articolata su tratti brevi e ripetuti, come spesso nello Schubert dei Lieder; ma ecco che un nuovo episodio sorprende per la solenne eloquenza, per una grandiosità che sulle prime verrebbe voglia di definire come "brahmsiana"; e in effetti le tarde Sonate pianistiche di Schubert sono il modello più vicino alle prime Sonate, op. 1, 2, 5, di Brahms: che guarda a Beethoven per singoli motivi e spunti minori, ma a Schubert per la vasta cornice strutturale in quattro movimenti e per una concezione sonatistica più diffusa e aperta agli indugi e alle disgressioni (le ultime Sonate di Beethoven tendono invece ad essenzializzarsi su una struttura a due movimenti). Un'arte consumata della variazione rende palpitante di fioriture e sospensioni la ripresa del primo tema intimo, ma anche quello eloquente non lascia il campo e si ripropone ancor più solenne. Per Schumann, lo slancio di quepta pagina "quasi non può trovare una fine"; osservaziJne che, in consonanza con le "celestiali lunghezze" esaltate nella Sinfonia Grande, rileva appunto quella lunga lena discorsiva, quell'indugio perenne che distingue lo spirito della sonata romantica del ferreo attivismo beerhoveniano.

Più tradizionale, nella concezione dell'insieme, lo Scherzo; ma a parte la gemma liederistica del trio intermedio, vale la pena di notare come il gruppo ritmico iniziale, generatore di tutto il robusto movimento, trovi modo di sciogliersi in squarci dove la briglia ritmica si allenta: tanto da lasciare il passo al valzer più amabile, alla caratteristica eleganza delle sue voltate. Il finale è un Rondò con il tema principale che ritorna ogni volta variato dopo gli episodi intercalati; bisogna ricordare ancora una volta l'articolo sopra menzionato di Schumann, che in quest'ultimo movimento ravvisava un carattere "burlesco" che "c'entra poco col resto"; questa particolarità veniva riferita a una satira dello stile "berretta da notte" di Pleyel e Vanhal, cioè a quei tardi cascami del Settecento affettuosamente derisi da Schumann anche in Papillons e Carnaval; e metteva in guardia dal prendere il pezzo "sul serio", pena la caduta nel ridicolo. È difficile capire e condividere il parere critico di Schumann, anche perché molti riferimenti, chiari attorno al 1830, oggi sono sepolti sotto alluvioni di musica; certo il paventato ridicolo, la satira tagliente, è diventata per noi il più soave dei sorrisi, evidente e quasi palpabile nel luminoso rallentando finale; Schubert certo ricerca un finale grazioso, spiritoso, diverso dalle tante soluzioni di Beethoven che pareva avere esaurito il campo; carica il suo piccolo congegno, come la pendola della Sinfonia di Haydn, e poi via a passi leggeri, con una fiabesca marzialità che richiama in una umoristica attenuazione la solennità del primo movimento; e quindi riassesta, con il più amabile dei modi, la coerenza di tutta quanta la Sonata.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nei mesi di agosto e settembre del 1825 Schubert colse con entusiasmo la possibilità di accompagnare il cantante Johann Vogl, interprete prediletto di tanti suoi Lieder oltre che amico carissimo, a Gastain, nelle alpi presso Salisburgo. Questo viaggio, del quale ci è rimasta una dettagliata relazione in due lunghe lettere al fratello Ferdinand, non fu solo una piacevole occasione di evasione e di riposo ma vide anche la nascita di due importanti composizioni: una grande sinfonia che l'autore avrebbe offerto un anno dopo alla Società degli Amici della Musica di Vienna (e della quale, nello sterminato archivio di questa istituzione, si è persa ogni traccia) e la Sonata in re maggiore per pianoforte op. 53, pubblicata come «Seconda grande sonata» l'anno successivo dall'editore Artaria e dedicata a tale Carl Maria Bocklet, violinista di professione ma buon dilettante di pianoforte.

Se confrontata con la Sonata in la minore op. 42, composta e pubblicata solo pochi mesi prima, questa Sonata op. 53 ci appare come qualcosa di decisamente nuovo e diverso, sia nell'idea musicale che nel clima espressivo. L'intimo lirismo, tipicamente schubertiano, che pervade tutta l'op. 42 (con quell'Andante con variazioni per il quale il musicista si vantava, eseguendola, di saper trasformare i tasti del pianoforte in voci che cantano) cede il passo a un primo movimento concitato e vigoroso, carattere questo subito evidente nella sbalzata incisività ritmica del primo tema, di chiara ascendenza beethoveniana. Il pianismo di questo Allegro vivace, decisamente virtuosistico, risulta però in qualche modo estraneo alla vera natura musicale e artistica, 'antischubertiano' allo stesso modo dei due movimenti estremi di un'altra grande e ambiziosa opera pianistica quale la Wanderer-Fantasie; e senza dubbio Schubert in questa Sonata in re maggiore, cosi come tre anni prima nella Wanderer, ha inteso creare un'opera volutamente 'importante', adeguandosi per l'occasione anche a un linguaggio pianistico che in cuor suo non amava affatto ma che era pur sempre quello più accreditato nell'ambiente musicale viennese del tempo.

Ma le ragioni musicali autentiche di questa grande opera pianistica, al di là dell'omaggio al virtuosismo del suo tempo (che è in fondo solo un sintomo esteriore di un nuovo ambizioso progetto e di una specifica intenzione sperimentale), sono da ricercare piuttosto nel raggiungimento di una straordinaria coesione unitaria, pur nel rispetto dei quattro distinti movimenti che costituiscono la sonata, attraverso un rigoroso principio di integrazione del materiale tematico. Così, ad esempio, già le quattro battute iniziali contengono le cellule ritmiche che daranno vita non solo all'ampia costruzione di questo Allegro vivace iniziale, ma, attraverso varie derivazioni, all'intera sonata. Ecco allora che le quattro crome ribattute della prima misura riappariranno, metricamente alterate, nel Trio del terzo movimento, mentre, nella loro successiva trasformazione in ritmo puntato operata nel secondo tema del primo movimento, costituiranno l'elemento generatore dello Scherzo e del tema principale del Rondò conclusivo, entrambi costruiti su un ritmo puntato. Nondimeno il movimento di terzine, anch'esso già presente nella terza e quarta misura dell'Allegro vivace, si ritroverà, oltre che lungo tutto il corso del primo movimento, sia nello Scherzo che nel Rondò (anche se come elemento accessorio). Quanto poi al secondo movimento, che porta la semplice e inusuale indicazione «Con moto», esso si apre con un tema di carattere intimo e affettuoso, tutto incentrato su di uno stesso inciso ritmico che richiama vagamente l'episodio «Un poco più lento» del primo movimento, mentre il secondo tema, più vigoroso e solenne (e che sembra anticipare un linguaggio che sarà di Brahms) nel suo complesso ritmo sincopato, sembra volere rievocare la vitalità e lo slancio dell'Allegro vivace.

Una simile concezione musicale (nella quale una solida coesione formale è ricercata e trovata, per cosf dire, al di là della forma stessa) nonché un'accentuata differenziazione delle varie situazioni espressive (evidente soprattutto fra l'impeto del primo movimento e il disarmante candore dell'ultimo), non hanno mancato di suscitare perplessità e divergenti valutazioni. Per Robert Schumann, ad esempio, il Rondò che conclude questa sonata costituiva una specie di enigma, un qualcosa che non risultava in logica conseguenza con i movimenti precedenti e che quindi «non andava preso troppo sul serio». Al contrario, uno studioso del nostro secolo come Alfred Einstein ha visto proprio in questo brano il momento poeticamente piti alto della sonata, rispetto, ad esempio, a certa intenzione retorica che è innegabile nel primo movimento. In realtà, fra i motivi di maggiore efficacia e suggestione di questo capolavoro schubertiano c'è proprio tale progressivo e lento trascolorare di atmosfera poetica, dall'impeto generoso e magniloquente dell'Allegro vivace (carattere già però timidamente contraddetto dal tono dimesso e quasi scherzoso del secondo tema), attraverso l'alternarsi di lirismo e possente slancio del secondo movimento e la baldanza popolaresca dello Scherzo con la pausa assorta e riflessiva del Trio, fino a quella «angelica innocenza» del Rondò che riutilizza, ormai trasfigurati, tutti gli elementi ritmici della Sonata e che si conclude in un delicato incanto, come per un dolce ineluttabile esaurimento delle energie vitali.

Francesco Dilaghi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 aprile 1993
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 maggio 1994
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 21 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 30 marzo 2016