Sonata per pianoforte in sol maggiore, op. 78 "Fantasia", D. 894


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Molto moderato e cantabile (sol maggiore)
  2. Andante (re maggiore)
  3. Menuetto. Allegro moderato (re maggiore). Trio (si maggiore)
  4. Allegretto (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: ottobre 1826
Edizione: Haslinger, Vienna, 1827
Dedica: Josef von Spaun
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sonata in sol maggiore op. 78, composta nell'ottobre del 1826, venne acquistata da uno dei più importanti editori viennesi, Tobias Haslinger, grande amico di Beethoven. La Sonata uscì nel 1827, anno della morte di Beethoven, con dedica all'intimo amico di Schubert, Josef von Spaun. In verità, verrebbe da pensare che Schubert, avendo ormai stabilito buoni rapporti con l'arciduca Rodolfo, dedicatario della Sonata op. 42, e con Tobias Haslinger, potesse subentrare a Beethoven come leader della cultura musicale viennese. Invece, per ragioni che ci sfuggono, Schubert incontrò di nuovo molte difficoltà nel "piazzare" presso gli editori le sue ultime composizioni. Nel 1828, anno della morte, non trovò acquirenti né per i quattro Improvvisi op. 142, né per le tre grandi Sonate in do maggiore, la maggiore e si bemolle maggiore. La pubblicazione degli Improvvisi op. 90 e dei Momenti musicali op. 94 si legava ad un mutamento nel gusto del pubblico, che non gradiva più le Sonate e che si stava invece appassionando alle raccolte di pezzi brevi. Non si trattava di una moda passeggera ma di una profonda evoluzione storica che in breve tempo avrebbe portato al superamento della Sonata come forma maggiore del comporre.

In questa prospettiva di storico mutamento del gusto, l'editore Tobias Haslinger, vecchia volpe del mercato, aggiunse al primo tempo della Sonata op. 78 il titolo Fantaisie (Fantasia), che non figura nell'autografo attualmente conservato a Londra. La composizione fu poi conosciuta come Sonata-Fantasia, titolo che ricordava quello delle Sonate op. 27 di Beethoven. Ma la suggestione del titolo non giovò alla notorietà della composizione, che fu eseguita molto raramente nell'Ottocento e che anche oggi è meno popolare di altre Sonate di Schubert.

La Sonata op. 78 venne nel 1835 commentata con entusiasmo da Schumann, che delle opere di Schubert fu sempre recensore attentissimo. È singolare che Clara Wieck, allora fidanzata e dal 1840 moglie di Schumann, "scoprisse" le Sonate di Schubert solo nel 1854, quando Brahms gliele fece conoscere.

La collocazione nel repertorio di musiche nate per l'esecuzione privata, com'è la Sonata op. 78, pone sempre problemi che talvolta vengono risolti con difficoltà e con enormi ritardi. Sul valore assoluto della Sonata op. 78 non possono sussistere dubbi, e qualunque critico sottoscriverebbe ad occhi chiusi la recensione di Schumann. Le difficoltà di "adattamento" alla sala da concerto sono però molto rilevanti nel quarto tempo, tutto giocato sulle mezze tinte e su contrasti sottili e poco appariscenti, con ritmi uniformi e senza colorature virtuosistiche. E si sa che un finale che non scuota il pubblico mette sempre in sospetto il pianista. In questi casi, Liszt o Henselt o Tausig o Busoni riscrivevano completamente la composizione, adattandola alla sala da concerto mediante un'operazione di radicale "cosmesi"; oggi la soluzione va cercata e trovata nel virtuosismo del colore sonoro.

Il primo tempo, all'opposto del quarto, è tra le composizioni di Schubert più ricche di contrasti dinamici esasperati. La costruzione è quella tradizionale, bitematica e tripartita, ma presenta caratteristiche strutturali insolite. Il primo tema è una vera e propria canzone che improvvisamente, senza alcuna transizione, sbocca nel secondo tema. Questo, a sua volta, è un tema atipico: si tratta di una melodia con andamento di valzer, seguita da una variazione. A conti fatti, Tobias Haslinger non aveva poi tutti i torti ad intitolare Fantasia questo primo tempo, che prosegue con uno sviluppo in cui i due temi principali compaiono alternativamente senza mai perdere la loro fisionomia. Regolarissima è la riesposizione, con un'incantevole coda in cui la musica svanisce in lontananza.

Il secondo tempo della Sonata op. 78 riunisce i caratteri formali della Canzone e del Rondò: Schubert trova sul pianoforte l'equivalente delle capacità espressive della voce in una zona di dinamica tenue, sommessa, che possiamo definire liederistica.

Il terzo tempo fu in passato eseguito spesso come brano staccato. Schubert lo intitola Menuetto, ma non è facile, o è addirittura impossibile cogliervi una differenza di carattere espressivo rispetto a molti Valzer: la "viennesità" ottocentesca prevale certamente di fronte all'arcaismo della danza settecentesca; e ancor più valsant è il Trio, tanto morbido e scivolante quanto rude e balzante era il Menuetto.

L'ultimo tempo è un estesissimo Rondò in cinque episodi: l'episodio centrale, in mi bemolle maggiore, è un "momento musicale", come Schubert ne scriverà poco più tardi, incastonato nella struttura del Rondò. Di fascino straordinariamente suggestivo è la coda, che vaga su tutta la tastiera in un modo che sembra aprirsi verso l'infinito e che si arresta invece su una citazione del primo tema a modo di "motto". «Rimanga lontano dall'ultima parte chi non ha fantasia per scioglierne l'indovinello», scriveva Schumann. Ed il problema, come dicevamo prima, è tanto più grave quando dalla privata lettura si passa all'esecuzione pubblica.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Si dice sempre che Schubert fu per molti anni sottovalutato al di fuori d'un ristretto numero di amici e ammiratori viennesi, ma è anche vero che ad appena ventinove anni d'età ebbe l'onore di leggere sul più autorevole giornale musicale in lingua tedesca, la «Allgemeine musikalische Zeitung» di Lipsia, che la sua Sonata per pianoforte in La minore D. 845 (op. 42) era all'altezza «delle più grandi e più libere sonate di Beethoven. È ricca d'invenzioni melodiche e armoniche veramente originali e altrettanto ricca d'espressione, abile e sicura nella scrittura, particolarmente nella condotta delle voci, e tuttavia è un'autentica musica pianistica». Inoltre l'articolo osservava che «molti pezzi sono oggi intitolati Fantasia [...] unicamente perché questa parola suona bene [...] Qui, al contrario, il pezzo ha il titolo di Sonata ma la fantasia vi ha in modo del tutto evidente la parte più importante e più decisiva».

Questo giudizio era probabilmente presente alla mente dell'editore Haslinger quando di lì a poco pubblicò col titolo di Fantasie oder Sonate la Sonata in Sol maggiore D. 894 (op. 78), scritta nell'ottobre del 1826. I critici viennesi e berlinesi furono unanimi nel ricalcare la chiave di lettura indicata dall'articolo del loro collega di Lipsia e vollero vedere in questa composizione un influsso di Beethoven su Schubert. In effetti le sonate per pianoforte di Schubert - particolarmente le ultime, tra cui sta anche la Sonata in Sol maggiore - hanno molti aspetti in comune con le sonate di Beethoven; ciononostante forse sarebbe più giusto e più utile sottolineare gli elementi che differenziano i due musicisti, piuttosto che andare alla ricerca dei tratti stilistici comuni. Se si spinge lo sguardo appena al di sotto degli aspetti più generali e superficiali, si vede subito infatti come i due compositori hanno una concezione profondamente diversa della sonata: Beethoven applica una serrata tecnica di sviluppo tematico e procede senza divagazioni, lungo una linea da cui non deflette mai, mentre Schubert più che sviluppare linearmente e coerentemente temi brevi e incisivi preferisce soffermarsi su lunghe melodie cantabili, ripetendole più e più volte con minime varianti, vagando attraverso tonalità lontane e imprevedibili.

Schumann definì «celestiali lungaggini» queste splendide divagazioni schubertiane, che apparentemente ci portano fuori strada e ci fanno girovagare senza una meta precisa. Proprio nella Sonata in sol maggiore la sezione di sviluppo del primo movimento è splendidamente costruita su un lungo tema cantabile. Il movimento è indicato come Fantasia - Molto moderato cantabile (anche in questo caso il titolo fu probabilmente aggiunto dall'editore) e inizia con un motivo estremamente semplice, che sembra nascere da un'idea timbrica piuttosto che tematica. Il motivo viene ripetuto più volte, finché comincia a dissolversi in leggere e veloci figurazioni, cedendo il passo a una secondo tema, più pregnante sul piano armonico. È il primo tema che viene utilizzato per la sezione centrale del movimento, che lo sviluppa anche con passaggi contrappuntistici, creando un contrasto fra tratti eroici e drammatici e momenti lirici. Un istante di silenzio carico d'attesa precede la ripresa.

Il secondo movimento è un Andante in 3/8, in Re maggiore. Alla dolce e affascinante melodia iniziale s'oppone, con un contrasto di notevole effetto, un secondo tema di grande forza: su questi due temi ruota l'intero Andante, fino a una coda piena d'intima e delicata poesia, che costituisce il magnifico epilogo di questo movimento. Nel Minuetto (Allegro moderato) sembra di sentire un'eco amplificata della raccolta dei Valses nobles del 1825, nessuno dei quali ha però la felicità inventiva di questa pagina, che rapiva e deliziava gli ascoltatori già al tempo di Schubert. Il momento più affascinante è forse il Trio centrale, che alla impalpabile ombra di malinconia, stesa dal Si minore sulle due sezioni esterne, sostituisce un più leggero e luminoso Si maggiore.

Schumann, che recensì la Sonata in Sol maggiore insieme a quelle op. 42 e 53, la giudicò «la più perfetta nella forma e nello spirito», aggiungendo: «chi non ha la fantasia sufficiente per risolvere l'enigma dell'ultimo movimento, tralasci di eseguirlo». La forma del finale (Allegretto) non rientra in nessuno schema, ma la si può definire un rondò, al cui centro torna due volte un refrain dal carattere di danza (secondo Einstein, Schubert vi avrebbe riutilizzato con vari adattamenti un precedente rondò in ritmo di polacca). Esso sembra quasi un pezzo a sé, per le dimensioni e la compiutezza formale, nello stesso tempo però adempie perfettamente alla funzione di condurre prima alla sezione centrale e quindi alla ripresa della sezione iniziale, con la quale si conclude l'Allegretto.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

All'inizio dell'Ottocento una nuova, montante clientela di dilettanti pianisti determinava il sorgere di una letteratura che, con alterne vicende e a vari livelli, interesserà tutto il secolo: quella dei brevi pezzi caratteristici. Vi si inserisce anche una parte della produzione di Schubert, naturalmente. Nuove forme, nuovi generi, nuove sonorità su nuovi strumenti. Ma l'epoca classica che si sta chiudendo è stata anche l'epoca della sonata, il cui prestigio è tenuto tuttora, nel primo quarto di secolo, da Beethoven. È comunque una tentazione formale ed espressiva troppo forte perché Schubert vi si sottragga. Malgrado i notevoli problemi che comportava: dominio di una forma complessa, ma anche necessità di un linguaggio espressivo adeguato ai tempi, e in continua evoluzione; che inoltre legasse con le possibilità timbriche dei nuovi strumenti, anch'essi in continua evoluzione. Solo in parte troviamo soluzioni apparentemente definitive nell'opera di Beethoven, pur nell'estrema varietà della sua intransigente speculazione artistica. E l'ombra di Beethoven aleggiava inesorabilmente su chiunque si accingesse a scrivere sonate.

Schubert aveva esplorato nel Lied vari aspetti di una tipica sensibilità romantica, che però stentavano a trovare piena realizzazione nelle prime opere sonatistiche. Vi riuscì poi ricorrendo ad alcune innovazioni formali, quali la riduzione a tre dei quattro tempi della sonata classica (cosa già fatta dai grandi della tradizione classica), e soprattutto - in un secondo tempo - amplificando le dimensioni di ogni singolo movimento per costringerlo a esprimere uno stato d'animo, prima di una compiuta bellezza formale. La problematica di questo travaglio si riflette eloquentemente nell'alto numero di opere lasciate incompiute dal musicista.

Egli trovò poi finalmente la strada giusta quando negli ultimi anni si decise per la forma a quattro movimenti, conferendo a essi l'ampiezza contemplativa che conosciamo: tali le Sonate in la minore (D 845, op. 42), in re maggiore (D 850, op. 53), in sol maggiore (D 894, op. 78), oltre alle tre sonate postume.

La Sonata in sol maggiore, di cui una recente pubblicazione ci ha fatto conoscere il manoscritto, giacente alla British Library, è del 1826. L'editore Haslinger cercò di contrabbandare meglio l'amplissima composizione col titolo di «Sonata-fantasia»; la forma non lo giustifica certo; la fantasia non si può comunque disgiungere da un ancora più accentuato senso di misteriosa serenità, di intimità, che emana da questa sonata, più che dalla precedente in la minore e perfino dall'ultima in si bemolle. Il colore morbido e profondo, dato da una timbrica non ancora usuale per l'epoca, legata alle possibilità dei nuovi pianoforti (eloquente la destinazione originaria: fürs Pianoforte allein), conferisce prima ancora di quanto non facciano le logiche tematiche e motiviche quella unità che fece definire la sonata stessa da Schumann «la sua opera più perfetta di forma e di spirito». Nessuna composizione, nella ricca letteratura del pianoforte, riveste con tanto fascino coloristico la tonalità di sol maggiore, se non quel Lied, Im Fruhling, scritto da Schubert nella stessa epoca, in cui troviamo la chiave stessa di lettura della Sonata op. 78.

Riccardo Risaliti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 18 marzo 2005
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 ottobre 1998
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 28 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 15 aprile 2016