Sonata per pianoforte in do minore, D. 958


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro (do minore)
  2. Adagio (la bemolle maggiore)
  3. Menuetto. Allegro (do minore) con Trio (la bemolle maggiore)
  4. Allegro (do minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 26 Settembre 1828
Prima esecuzione: Vienna, residenza del Dr. Ignaz Menz, 27 Settembre 1828
Edizione: Diabelli, Vienna, 1839
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel settembre del 1828, due mesi prima della morte, Schubert compose il Quintetto per archi e tre Sonate per pianoforte, rispettivamente in do minore, la maggiore e si bemolle maggiore. Il 2 ottobre scrisse all'editore Probst di Lipsia per offrirgli i suoi ultimi lavori: «Ho composto, tra l'altro, tre sonate per pianoforte solo, che mi piacerebbe dedicare a Hummel. Ho pure composto alcune canzoni su testi di Heine di Amburgo, che qui sono piaciute in modo straordinario, ed infine un Quintetto per due violini, una viola e due violoncelli. Ho già eseguito le sonate in alcuni posti, ricevendo molti applausi, ma il Quintetto sarà provato solo prossimamente. Se qualcuna di queste composizioni Le conviene me lo faccia sapere».

Schubert cercava disperatamente di allacciare con gli editori un rapporto costante, che gli permettesse di vivere nella condizione del libero professionista. Ma anche i suoi ultimi tentativi andarono a vuoto, perché Probst non gli acquistò nulla. Né acquistò le Sonate Tobias Haslinger, a cui Ferdinand Schubert, fratello di Franz, le offrì nel dicembre del 1828, chiedendo per ogni pezzo una somma modesta, settanta fiorini. Le tre Sonate furono pubblicate solo nel 1838, dall'editore Diabelli di Vienna; e poiché nel frattempo Hummel era morto, l'editore dedicò le tre Sonate a Schumann, che in quegli anni andava vigorosamente affermando la grandezza di Schubert nella rivista di cui era fondatore e direttore.

Schubert morì il 19 novembre 1828, a trentun'anni d'età, lasciando con le tre ultime Sonate le sue maggiori, più mature e più alte composizioni per pianoforte solo. Tre Sonate molto diverse tra di loro, ma anche complementari, come le tre ultime Sonate di Beethoven, op. 109, 110, e 111: drammatica la prima, in do minore, lirica la terza, in si bemolle maggiore, variamente atteggiata in momenti che vanno dall'elegiaco allo scherzoso al drammatico la seconda, in la maggiore.

La tonalità di do minore è inevitabilmente legata al ricordo della drammaticità mozartiana e, soprattutto, beethoveniana: non solo oggi, ma già nel 1828. Drammatica, e non priva di suggestioni mozartiane e beethoveniane, è la Sonata in do minore di Schubert. La qualità propria del tardo stile schubertiano non manca tuttavia di farsi luce e di fondere in una sintesi nuova gli elementi tratti dalla tradizione beethoveniana.

Si veda il primo tempo. Dopo l'inizio beethoveniano (che ricorda le 32 Variazioni in do minore), il secondo tema, in mi bemolle maggiore, presenta una caratteristica strutturale del tutto insolita. Non è infatti un tema di sonata, ma un tema con variazioni: una melodia di quattordici battute, seguita da due variazioni, la prima in mi bemolle maggiore, la seconda in mi bemolle minore, la prima con densità ritmica prevalente di tre suoni per ogni unità di misura (rispetto ai due suoni del tema), la seconda con densità di quattro suoni. E la conclusione dell'esposizione introduce un nuovo tema, breve ma molto ben caratterizzato, al posto del materiale amorfo o derivato dal primo tema che si usava normalmente per la conclusione. Lo sviluppo inizia su frammenti derivati dal primo tema, ma continua poi con un tema brevissimo, appena lontanamente imparentato con il materiale dell'esposizione, e la cui... parentela non è comunque riconoscibile all'audizione. Schubert riprende quindi un procedimento insolito, sperimentato da Beethoven nella Sonata op, 14 n. 1: la parte centrale del primo tema "ohne das Thema durchzuführen" (senza sviluppare il tema: Beethoven scrive così negli abbozzi). Sono da notare anche l'impiego dell'estremo registro grave dello strumento e la trasformazione del carattere espressivo, quasi un'incombente minaccia, della scala cromatica, tanto spesso usata a scopi ornamentali. Il tema dello sviluppo ritorna in una coda assai ampia, probabilmente non immemore della coda della Sonata K. 457 di Mozart.

L'originalità del primo tempo della Sonata in do minore di Schubert, che abbiamo cercato di mettere in luce con un'analisi, in verità, molto sommaria, è dunque tale che la suggestione indubbiamente esercitata da Beethoven e da Mozart diviene un puro dato di un rapporto di collocazione storica. Rapporto che non abbiamo però trascurato, e che non può essere trascurato, perché nell'ultimo Schubert, come poi nei romantici, la forma-sonata è una forma storicizzata, con la scelta della quale il compositore accetta un legame e un confronto con tutto un passato. Anche il secondo tempo richiama all'inizio Beethoven: il Beethoven del secondo tempo della Sonata op. 10 n. 1 e, in misura minore, del secondo tempo dell'op. 13. Mentre Beethoven non mantiene però il tono drammatico nei suoi secondi tempi, che sono invece meditativi e consolatori, Schubert introduce nel secondo tempo un contrasto drammaticissimo tra i due temi, e per meglio sfruttarlo adotta una forma a cinque episodi (A - B - A - B' - A) invece della usuale forma a tre episodi. Di struttura tradizionale è il malinconico Minuetto con Trio.

Il finale risente forse lontanamente, all'inizio, del finale della Sonata op. 31 n. 3 di Beèthoven. Il secondo tema è invece una delle più sorprendenti - ed entusiasmanti, se si può usare questo aggettivo per un simile autore - intuizioni di Schubert: su un ritmo di tarantella si sviluppa un inciso elementare, drammaticissimo, con uno sfruttamento geniale degli sbalzi di registro, cioè della tecnica dell'incrocio delle mani, veramente stupefacente in un compositore che non era virtuoso del pianoforte. La forma del pezzo è quella del rondò. Il terzo tema, quasi scherzoso, segue però immediatamente il secondo; poi la forma mantiene sino alla fine lo schema della tradizione. Il piano tonale generale della composizione è tuttavia molto insolito:

A - do minore
B - do diesis minore (modulante a mi bemolle maggiore)
C - si maggiore (senza preparazione)
A - do minore
B - si bemolle minore
A - do minore.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata per pianoforte in do minore D. 958 fu composta da Schubert nel settembre 1828 - due mesi prima della morte - insieme alle due sorelle in la maggiore D. 959 e in si bemolle maggiore D. 960; queste tre sonate costituiscono dunque un gruppo omogeneo che dimostra la convinta decisione del maestro di affrontare nuovamente e con precise intenzioni questo genere compositivo (e certo gli abbozzi che ci sono pervenuti testimoniano una particolare cura nella stesura di queste opere).

Può darsi, come sostengono alcuni (Einstein e Paumgartner fra gli altri) che l'intenzione di Schubert, nello scrivere le tre composizioni pianistiche, fosse quella di raccogliere l'eredità di Beethoven (scomparso l'anno precedente). In senso più lato, con le ultime tre Sonate Schubert riaffermò certamente il proprio attaccamento alle radici culturali del classicismo viennese, avvertendo contemporaneamente l'inattualità di una simile posizione in un mondo nel quale la società borghese privilegiava le esibizioni dei grandi virtuosi e le composizioni brevi e disimpegnate rispetto alle grandi forme, oltretutto di tendenza intimistica.

Infatti le Sonate D. 958/60 non presentano sconvolgenti novità formali, né sperimentalismi linguistici, anzi esse si allontanano da certe novità delle sonate composte in precedenza dall'autore dopo il 1825, come già aveva acutamente intuito Schumann nella sua recensione del 1838, recensione peraltro curiosamente circospetta: «(...) queste sonate mi sembrano spiccatamente differenti dalle altre sue, specialmente per una molto più grande semplicità d'invenzione, per una volontaria rinuncia a brillanti novità in cui egli altra volta si compiaceva, per lo sviluppo di certe generali idee musicali, mentre altra volta sovrapponeva periodo su periodo. Come se ciò non potesse aver mai fine, non fosse mai in imbarazzo per proseguire, corre avanti di pagina in pagina sempre musicale e ricco di canto, interrotto qua e là da singoli sentimenti violenti, ma che presto si calmano nuovamente».

Schubert dunque sembra tornare a quella disposizione intimistica che era propria delle sue opere pianistiche precedenti al 1825; egli, tuttavia, compie questo "ritorno" con una esperienza tecnica compositiva decisamente superiore. Giustamente Schumann pone l'accento sulla capacità acquisita da Schubert di sviluppare le idee, e questo anche se gli sviluppi delle tre Sonate, così spesso criticati, non mirano certo a contrapporre dialetticamente le due idee melodiche basilari della forma-sonata, ma a creare degli episodi diversivi e insieme di collegamento fra esposizione e riesposizione del materiale tematico.

Del generoso melodismo, della ricchezza armonica e dell'invenzione ritmica di questo estremo pianismo schubertiano, la Sonata in do minore è un compendio mirabile. Strutturata, come le sorelle, in quattro movimenti, essa si differenzia da quelle per la presenza del Minuetto invece dello Scherzo, per la tonalità minore e per la drammaticità della sua impostazione, emergente già dall'incisiva idea iniziale del primo movimento; peraltro l'abbondanza melodica di questo tempo attenua il contrasto fra tale drammaticità e la pura cantabilità del secondo tema, come anche stempera la componente dialettica dello sviluppo. Segue un Adagio, in la bemolle, la cui concentrazione intimistica viene alternata con un episodio più marcato. Dopo il Minuetto, che, con il suo carattere inquieto, ha una funzione interlocutoria, la tensione esplode nel Finale; questo, che verrebbe fatto di definire una "Tarantella viennese", è una pagina nella quale la scrittura virtuosistica, applicata ad un ritmo incalzante e ad un tema ricorrente dal respiro affannoso, viene impiegata a fini drammatici, ricollegando con coerenza l'ultimo tempo all'impostazione del movimento iniziale.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 aprile 1993
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 dicembre 1985


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 5 aprile 2014