Sonata per pianoforte in si bemolle maggiore, D. 960


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Molto moderato (si bemolle maggiore)
  2. Andantino sostenuto (do diesis minore)
  3. Scherzo. Allegro vivace (si bemolle maggiore). Trio (si bemolle minore)
  4. Allegro ma non troppo (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 26 Settembre 1828
Prima esecuzione: Vienna, residenza del Dr. Ignaz Menz, 27 Settembre 1828
Edizione: Diabelli, Vienna, 1839
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nato e cresciuto a Vienna - la città di Haydn, Mozart e Beethoven - Franz Schubert sente ancor più forte, rispetto a Chopin, Schumann, Mendelssohn e Liszt che stanno per esplodere sulla scena musicale europea, il peso schiacciante di quella tradizione musicale. Pur essendo di quasi trent'anni più giovane rispetto a Beethoven gli sopravvive di appena un anno e mezzo, morendo nel 1828 a soli trentun anni. Eppure, nonostante questa vicinanza geografica e cronologica (o forse proprio anche grazie ad essa), fin da giovanissimo Schubert dimostra una totale autonomia stilistica rispetto al modello beethoveniano. Oltretutto Schubert, a differenza di Beethoven, ma anche dei quattro grandi romantici e perfino di Mozart, non è un pianista concertista, non usa il pianoforte e le sue proprie composizioni pianistiche per affermarsi nei salotti e nelle sale da concerto, come dimostra anche il fatto che egli non compone alcun Concerto per pianoforte e orchestra, genere che dall'epoca di Mozart a quella del giovane Chopin è stato il genere per antonomasia del pianista-compositore. Schubert invece si esibisce al pianoforte prevalentemente per accompagnare le sue centinaia di Lieder e anche se abbiamo diverse testimonianze della grande espressività del suo tocco, la sua tecnica non è paragonabile a quella della generazione di virtuosi che si va affermando in Europa intorno alla metà degli anni Venti.

Comunque non si deve pensare che questo Schubert non-pianista abbia avuto con la Sonata per pianoforte un rapporto sporadico: sono almeno una ventina le Sonate cui lavora nei quattordici anni compresi tra il 1815 e il 1828, anche se alcune, proprio come avviene anche nelle sue Sinfonie e nei suoi Quartetti per archi, restano solo allo stadio di frammento. Ma nella Vienna di Beethoven, Schubert fatica ad affermarsi, se non parzialmente come autore di Lieder, e le sue Sonate per pianoforte vanno incontro a un clamoroso insuccesso editoriale: durante la sua breve vita riesce a pubblicarne solamente tre, mentre Beethoven ne scrive trentadue e le pubblica tutte. Quando nella primavera del 1825 propone la Sonata in la minore D. 845 all'editore Hüther, questi gli offre di pubblicarla al «prezzo più basso possibile» perché opera di un «principiante»; in realtà quel «principiante» ha scritto già circa ottocento composizioni pubblicandone una quarantina, ma in effetti non lo conosce quasi nessuno.

Nel settembre del 1828, due mesi prima della morte, in un unico slancio creativo paragonabile a quello con cui Mozart nell'estate del 1788 ha dato vita alle sue ultime tre Sinfonie, Schubert porta a termine tre grandi Sonate per pianoforte: la Sonata in do minore D. 958, la Sonata in la maggiore D. 959 e la Sonata in si bemolle maggiore D. 960, accomunate dalle ampie dimensioni, dalla struttura in quattro movimenti, dalla totale rinuncia a ogni tratto esteriore e magniloquente in favore di un frequente ricorso a toni liederistici, dall'intenso sfruttamento del registro medio-grave della tastiera, dalla completa emancipazione dal modello beethoveniano.

La Sonata in si bemolle maggiore D. 960, ultima della triade e dell'intera produzione schubertiana, viene terminata il 26 settembre del 1828 ed eseguita in pubblico per la prima volta già il giorno dopo, nel corso di una straordinaria serata musicale in casa del dottor Ignaz Menz in cui Schubert probabilmente esegue per gli amici anche le altre due Sonate gemelle e accompagna il barone von Schönstein in alcuni Lieder tratti dalla Winterreise. Cinque giorni dopo, scrive all'editore Probst per offrirgli le sue opere più recenti: «Ho composto, tra l'altro, tre Sonate per pianoforte solo, che mi piacerebbe dedicare a Hummel. Ho pure composto alcune canzoni su testi di Heine di Amburgo, che qui sono piaciute in modo straordinario, ed infine un Quintetto per due violini, una viola e due violoncelli. Ho già eseguito le Sonate in alcuni posti, ricevendo molti applausi, ma il Quintetto sarà provato solo prossimamente. Se qualcuna di queste composizioni Le conviene me lo faccia sapere». Evidentemente nessuno di quei lavori conviene a Probst, così come in quello stesso periodo all'editore Schott di Magonza non convengono né il Quintetto in do maggiore, né i 4 Impromptus D. 935, giudicati «troppo difficili per essere delle bagatelle». Le parole con cui si conclude la lettera di Schott dimostrano che l'esperto editore riconosce il talento di Schubert, ma individua perfettamente i motivi che in quel momento non rendono vendibile la sua musica: «Se le capita di comporre qualcosa di meno difficile e nello stesso tempo brillante, possibilmente in una tonalità più facile, la prego vivamente di volermela inviare senz'altro».

Poco più di un mese dopo aver scritto a Probst, il 19 novembre del 1828, Schubert muore, appena trentunenne; qualche giorno dopo suo fratello Ferdinand offre le tre Sonate per pianoforte a Tobias Haslinger per settanta fiorini l'una, una somma molto bassa per lavori di quel genere, ma senza successo. Bisogna attendere il 1838 perché vengano infine pubblicate dall'editore Diabelli che decide di dedicarle, essendo Hummel nel frattempo morto da un anno, a Robert Schumann, da sempre entusiasta assertore della genialità di Schubert sulle pagine della sua rivista. Poco tempo dopo, sulla «Neue Zeitschrift für Musik», appare la recensione di Schumann, come sempre acutissima, che definisce le tre ultime Sonate di Schubert «notevoli, ma in un senso diverso dalle altre». Particolarmente illuminanti le parole scritte proprio a proposito della Sonata in si bemolle maggiore: «mentre in genere egli chiede tanto allo strumento, qui rinuncia volontariamente ad ogni novità brillante ed arriva ad una semplicità di invenzione ben più grande: altrove egli intreccia nuovi legami di episodio in episodio, qui invece distende e dipana alcune idee musicali generali. Così la composizione scorre mormorando di pagina in pagina, sempre lirica, senza mai pensiero per ciò che verrà, come se non dovesse mai arrivare alla fine, interrotta soltanto qua e là da fremiti più violenti che tuttavia si spengono rapidamente».

Il primo tempo della Sonata in si bemolle maggiore (Molto moderato) è per l'appunto una di quelle straordinarie pagine schubertiane in cui si perde completamente la nozione dello scorrere del tempo per entrare in una dimensione al di là e al di sopra del concreto e del tangibile. La stringente logica beethoveniana, la necessità quasi ineluttabile di ogni gesto musicale del maestro di Bonn vengono ancora una volta totalmente negate da Schubert in favore di un procedere fantastico e libero che asseconda i moti dell'animo, generando sorprese continue a livello tematico, armonico, timbrico. Il movimento si apre sommessamente in un'ineffabile atmosfera di sogno con un dolcissimo tema dal tono parlante interrotto per un attimo da un cupo trillo di sol bemolle nel registro grave, che tornerà a farsi sentire minacciosamente nel corso del movimento. Sul piano tonale il primo movimento rispetta apparentemente il tradizionale rapporto tonica-dominante (si bemolle-fa maggiore) che Schubert però, come è sua abitudine, arricchisce enormemente dando vita a una serie ininterrotta di peregrinazioni armoniche che conferiscono al brano un fascino emozionante: il cantabilissimo secondo tema viene esposto a sorpresa in fa diesis minore (che richiama enarmonicamente il sol bemolle del cupo trillo di poco prima) la prima volta, e in si minore nella ripresa; lo sviluppo si apre nella tonalità assai lontana di do diesis minore che sarà poi la tonalità d'impianto del secondo movimento.

L'Andante sostenuto è attraversato dalla stessa fantastica atmosfera di sogno in cui si è aperto il primo movimento e come quello è una pagina «di sconvolgente bellezza che sfida ogni descrizione», secondo le parole di Harry Halbreich. Gli ingredienti, ancora una volta, sono apparentemente semplicissimi: una melodia triste e meditativa affidata alla mano destra si leva lentamente sull'ostinato scampanio della sinistra su tre ottave, dando vita a una desolata pagina dall'effetto quasi ipnotico e dagli avveniristici colori; segue una parte centrale in la maggiore dal tono più sereno e ottimistico che porta alla ripresa della prima parte, resa ancora più cupa da nuovi borbottii alla mano sinistra: anche qui Schubert aggiunge fascino e mistero a una pagina già straordinaria, facendo cambiare i colori delle armonie in modo imprevedibile: sol diesis minore, do maggiore, do diesis maggiore...

Dopo circa mezz'ora di vertigine ad altezze siderali, segue un breve e leggero Scherzo (Allegro vivace con delicatezza) in si bemolìe maggiore, la cui spensieratezza non viene intaccata dai toni più pensosi del Trio in si bemolle minore, caratterizzato dalle frasi irregolari di dieci battute e dagli accenti spostati. La stessa spensieratezza a tratti disarmante anima anche l'Allegro ma non troppo conclusivo, un sereno rondò in cui uno degli episodi intermedi cita quasi letteralmente il motivo di tarantella dell'ultimo tempo della Sonata in do minore D. 958. La maggior leggerezza degli ultimi due movimenti rende finalmente più respirabile l'atmosfera, a lungo così irrealmente rarefatta da far rischiare spesso l'anossia, di questa straordinaria Sonata alla quale si attaglia perfettamente la definizione data qualche anno prima da Ferdinand Hiller del modo di suonare di Schubert: «era come se la musica non avesse bisogno di suoni materiali, come se le melodie, simili a visioni, si rivelassero a orecchie spiritualizzate».

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Vastissime sono le dimensioni della Sonata in si bemolle maggiore D. 960, l'ultima delle Sonate di Schubert, quella considerata in genere come l'approdo più alto del pianismo dell'autore. Troviamo infatti in questa Sonata un compendio di tutto ciò che viene considerato come peculiare di questo pianismo, tutte le conquiste faticosamente acquisite negli anni giovanili, ma presenti qui secondo una organizzazione perfettamente organica e compiuta. Basterebbe l'inizio del Molto moderato iniziale, dove la strumentazione sfrutta tutte le risorse del registro medio della tastiera; abbiamo una dolcissima cantilena per gradi congiunti, che viene rinforzata all'ottava, sulle figurazioni insistite e variate della mano sinistra. Una definizione atmosferica magistrale. Ma sorprendenti sono poi le vicende che questo tema subisce. Non c'è una vera e propria elaborazione tematica, ma l'iterazione discorsiva del tema attraverso illuminazioni sempre diverse, dovute allo slittamento del piano tonale come alle soluzioni sempre rinnovate della strumentazione. La seconda idea si pone in perfetta consequenzialità con la prima; e le lunghe peregrinazioni che scaturiscono spontaneamente l'una dall'altra sfociano in un terzo tema in terzine e poi terminano con un lungo trillo al grave, che segna la fine della esposizione e riappare sempre in funzione strutturale. Non dissimile lo sviluppo, che non accumula la tensione, ma anzi la stempera, alternando i temi principali in modo paratattico e giocando sulle variazioni coloristiche. E tutto il movimento si presenta come una continua, plastica divagazione che illumina diversamente le idee di base sempre però mantenendo una logica rigorosa.

Stessi principi alla base dei tempi seguenti, con sfumature diverse. Nuovamente il gioco timbrico è all'inizio del tempo lento. In questo Andante sostenuto la melodia è affidata alla destra: ancora una cantilena per gradi congiunti, secondo una densa catena di intervalli di terza. La mano sinistra, invece, tocca i diversi registri della tastiera, creando effetti timbrici illusionistici. A questa ambientazione, che apre e conclude il movimento, fa da contrasto la sezione centrale, dove una melodia più intensa viene sottolineata da un accompagnamento ribattuto. Lo Scherzo, Allegro vivace con delicatezza, si basa sul continuo scambio di ruoli (melodia e accompagnamento) fra le mani e su un Trio dagli accenti spostati. Il finale è un rondò che si riallaccia, per le dimensioni, al movimento iniziale. L'intonazione è insieme malinconica e giocosa; i diversi episodi seguono ancora la netta giustapposizione di situazioni diverse ma complementari: canto affannoso e slanci eroici, che cedono infine a una conclusione brillantissima e quasi liberatoria dopo la tensione espressiva, la densità concettuale che segnano questa ultima Sonata di Franz Schubert.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Composta il 26 settembre 1828 e quindi neanche due mesi prima della morte del suo autore, la «Sonata in si bemolle maggiore» suol essere indicata come una sorta di testamento spirituale di Schubert. In effetti questa «Sonata», insieme con le due che la precedono, quelle «in do minore» e «in la maggiore», tutte composte nel settembre 1828, rivela una tale purezza lìrica da far pensare ad un certo rassegnato distacco dal mondo. Lo stesso Schumann, scrivendo dieci anni più tardi su queste «Sonate», notava: «S'egli le abbia scritte nel suo letto di malato o no, non son riuscito a sapere: dalla musica stessa sembra di poter concludere per la prima ipotesi, perché con la triste parola 'ultimissime' la fantasia è tutta riempita dal pensiero della vicina dipartita».

Al di là di questo, però, probabilmente ha ragione Einstein quando sostiene che il vero problema affrontato da Schubert nel comporre queste «Sonate» era l'esempio delle analoghe composizioni di Beethoven al quale era difficile sottrarsi. Schubert quindi sviluppa questi suoi ultimi lavori, da un lato tornando, come notava anche Schumann, ad «una più grande semplicità d'invenzione», dall'altro allo spirito del lied che caratterizzava le sue opere giovanili. È in questo lirismo integrale che pervade tutta la «Sonata in si bemolle maggiore» che possiamo ravvisare il vero carattere distintivo del romanticismo schubertiano; rinunciando agli effetti brillanti, il primo movimento, «Molto moderato» è fondato su un ampio tema cantabile che si sviluppa lungamente con lentezze e languori che a qualcuno sono apparsi come la dimostrazione di una presunta difficoltà del compositore a ritrovarsi nelle strutture classiche con quella pregnanza e concisione che distinguono Beethoven. Non si è riflettuto invece abbastanza sul fatto che proprio quelle lentezze, quel lungo sviluppo dei soggetti melodici, sono appunto le peculiari caratteristiche del linguaggio schubertiano, conseguenza del resto di una concezione del mondo certamente più intimistica e borghese rispetto a quella di Beethoven tutta intrisa dei grandi ideali umanitari del Secolo dei Lumi.

Il lirismo senza fine che caratterizza la «Sonata» trova nell'atmosfera purissima dell'«Andante sostenuto» una delle sue espressioni più alte, sostenuta da un'estrema semplicità di mezzi formali, mentre anche il successivo «Scherzo» rivela una delicatezza davvero irreale, sottolineata per contrasto da una certa asprezza del Trio. L'«Allegro ma non troppo» conclusivo, infine, pur nelle sue reminiscenze vagamente beethoveniane sviluppa abbastanza a lungo in forma di un «Rondò» estremamente libero un tema di grande vivezza, la cui sostanziale serenità viene appena incrinata da interiezioni che forse rappresentano momenti di turbamento o presagi della fine imminente.

Mario Sperenzi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 1 dicembre 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 giugno 1995
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 12 giugno 1977


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Ultimo aggiornamento 31 marzo 2019