Concerto in la minore per violoncello e orchestra, op. 129


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Nicht zu schnell (la minore - la maggiore)
  2. Langsam (fa maggiore)
  3. Etwas lebhafter. Sehr lebhaft (la minore - la maggiore)
Organico: violoncello solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Düsseldorf, 10 - 24 ottobre 1850
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 9 giugno 1860
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1854
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La composizione del Concerto per violoncello e orchestra coincide con il periodo di tempo in cui Schumann assunse, su proposta di Killer, il posto di direttore dei concerti e della società corale di Düsseldorf con un emolumento annuo di 700 talleri. Furono quasi quattro anni - dal 1° settembre del 1850 sino alla stagione 1854-'55, quando dovette cedere il posto a Julius Tausch (1827-1895) - di intensa e febbrile attività non solo dal punto di vista creativo, ma anche per quanto riguardava il lavoro direttoriale e organizzativo, teso ad accrescere il prestigio e la fama di questa antica istituzione musicale tedesca. Fu a Düsseldorf che egli scrisse fra l'altro, la Sinfonia in mi bemolle maggiore detta "Renana", le ouvertures della Fidanzata di Messina, del Giulio Cesare e di Ermanno e Dorotea, i tre Phantasiestücke per pianoforte op. 111, la Messa per coro a 4 voci e orchestra op. 147 e il Requiem op. 148: lavori questi due ultimi di notevole impegno artistico, anche se non inseriti nella produzione più popolare del musicista.

Non si può dire che Schumann come direttore d'orchestra raccogliesse i più entusiastici consensi da parte del Comitato dei concerti della città, che lo considerava un musicista troppo riservato, chiuso in se stesso e lontano da ogni virtuosismo della bacchetta, una qualità questa che anche in passato ha avuto un peso determinante nella quotazione degli interpreti. In tal modo si stabilì un rapporto di particolare tensione e di profonda incomprensione tra l'artista e il Comitato, tanto che ad un certo momento Schumann fu invitato a lasciare il posto che, era scritto nella lettera di licenziamento, «reggeva con mediocre rendimento». Soltanto l'affettuoso interessamento di amici e l'intervento di alcune autorità cittadine, che conoscevano il valore e la forte personalità del compositore, determinò una soluzione di compromesso, con la proposta di far dirigere a Schumann esclusivamente le proprie musiche e di lasciare le maggiori responsabilità dell'incarico al maestro sostituto Tausch. Una situazione abbastanza umiliante per il musicista che ne risentì nel suo sistema nervoso, già indebolito dal superlavoro intellettuale e dai fenomeni morbosi e psichici che lo fiaccavano ogni giorno di più. Infatti in questo periodo ricompaiono in forma preoccupante e allarmante la depressione, l'angoscia, l'apatia, accompagnati a volte da eccessi di misticismo, da allucinazioni auditive persistenti e di straordinaria vivacità e da ossessiva fiducia nei fenomeni e nelle sedute di spiritismo.

Ma di questo sconvolgimento intellettuale non c'è ancora alcuna traccia nel Concerto per violoncello e orchestra, che Schumann cominciò a scrivere il 10 ottobre 1850; la bozza fu pronta in sei giorni e l'intera orchestrazione fu completata dopo altri otto giorni. Sembra che il musicista tenesse molto a questo lavoro, tanto che, secondo una testimonianza della stessa moglie Clara, egli fece delle correzioni a tale composizione qualche anno più tardi, quando già soffriva in maniera acuta dei disturbi mentali che lo avrebbero portato alla follia e alla morte a soli 46 anni. Più che di un concerto per violoncello e orchestra si può dire che si tratti di un concerto per violoncello con accompagnamento di orchestra, in quanto lo strumento solista assurge a ruolo di protagonista e afferma le sue prerogative in modo preponderante su un'orchestra dalle sonorità plasticamente morbide e soffuse di delicata malinconia, che si ritroveranno poi anche in Brahms, il più fedele continuatore del sinfonismo schumanniano.

La composizione, formata da vari movimenti dispiegantisi senza soluzione di continuità, si apre con un accordo dolce e cullante nella tonalità di la minore affidato al timbro dei fiati e subito appare il tema cantabile e di inconfondibile linea romantica dello strumento solista, che torna più volte ad affiorare con figurazioni armoniche diverse nel corso del concerto. La melodia calda e intensamente piena del violoncello, si snoda con varietà e ricchezza di accenti, sorretta da un suono orchestrale timbricamente omogeneo e particolarmente adatto ad esprimere il sentimento intimistico della musica schumanniana. Nel movimento Adagio centrale il concerto tocca il momento di più elevato lirismo, realizzato attraverso un originale recitativo tra la frase melodica del solista e gli accordi degli strumenti a fiato, su un accompagnamento sostenuto dai violini. Sopraggiunge successivamente il Rondò, pagina tanto difficile tecnicamente per il solista quanto brillante ed estrosa esteticamente e tale da ricordare lo Schumann fantasioso e sognatore delle composizioni pianistiche e anche certi slanci improvvisi della Seconda Sinfonia. Il violoncello non perde mai d'impeto e rivendica quasi con forza i suoi diritti, specie nella cadenza non contrassegnata da un carattere virtuosistico fine a se stesso e che, accompagnata dagli accordi sussurrati dell'orchestra conclude in maniera fresca e gioiosa il concerto, al quale pensò certamente Saint-Saëns quando scrisse l'opera 33 (1873) dedicata all'orchestra e allo stesso strumento solista e nella stessa poetica tonalità di la minore.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Durante i primi mesi del 1850 Robert Schumann è a Dresda; sin da aprile riceve lo stipendio da Düsseldorf per il posto che assumerà però ufficialmente soltanto in settembre. A ottobre è a Düsseldorf dove, nel giro di una sola settimana, compone il suo Concerto per violoncello op. 129; questa meravigliosa pagina (un «pezzo sereno», come afferma lo stesso Schumann in una lettera a Breitkopf & Hàrtel del 3 novembre 1853) non fa trasparire le condizioni mentali di Schumann, che di lì a poco sarebbero precipitate irrimediabilmente. Assorbito dal suo incarico di direttore musicale a Düsseldorf e totalmente immerso nella composizione della Sinfonia Renana, Schumann non trova un solista all'altezza del suo concerto e cominciano a sorgere in lui alcuni dubbi sul reale valore dell'opera, che viene rivista in alcuni punti. Solo nel novembre del 1852 l'autore scrive al suo editore comunicandogli che il Concerto è pronto per essere dato alle stampe, cosa che avverrà solo nel febbraio del 1854. Il 27 dello stesso mese Schumann tenterà di suicidarsi gettandosi nel Reno. La prima esecuzione pubblica di cui si abbia notizia avverrà, postuma, il 9 giugno del 1860 nel corso delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della sua nascita.

Il Concerto si articola nei canonici tre movimenti; il primo, Nicht zu schnell (Non troppo allegro), viene introdotto da un delicato "sipario" di quattro battute affidato alle armonie dei legni e al "pizzicato" degli archi: la voce del violoncello, calda e intensa, espone poi il primo tema in la minore, appassionato e romantico, come l'anima musicale del miglior Schumann. L'orchestra, che aveva mancato il tradizionale "tutti" introduttivo, si lancia ora in una transizione che porta a do maggiore, tonalità nella quale appare il secondo tema del violoncello, brillante e solare. Il discorso musicale viene condotto essenzialmente dal solista: l'orchestra si limita ad accompagnare, a sottolineare, a riprendere gli spunti motivici che nascono dalle sue corde. La sezione di sviluppo si basa su un nervoso motivo in terzine di crome, che circola in orchestra, mentre il solista prosegue il suo canto appassionato, fatto di rimembranze del primo tema e di slanci melodici ascendenti. L'ultima sezione dello sviluppo, che porta alla ripresa del tema principale, è costituita da un dialogo fra solista e orchestra basato su un energico spunto motivico discendente. Alla ripresa del tema principale fa seguito la transizione orchestrale, che conduce ora a la maggiore, tonalità nella quale riappare il secondo tema.

Manca la tradizionale cadenza del solista e allora, senza soluzione di continuità, si sfocia nel secondo movimento, Langsam (Adagio), in fa maggiore, una delle pagine più struggenti e romantiche dell'intera produzione schumanniana. Protagonista assoluto è il violoncello solista, il cui canto intenso viene delicatamente sostenuto dall'orchestra; verso la fine i fiati alludono al tema principale del primo movimento che subito riaccende la passione focosa nel violoncello che, in un breve passaggio solistico, porta direttamente all'ultimo movimento, Sehr lebhaft (Molto vivace). L'energia e la vitalità di questa pagina si manifestano subito fin dal tema principale, costituito dalla doppia ripetizione di due secchi accordi orchestrali seguiti da un guizzo melodico ascendente del violoncello. L'episodio che segue è condotto dal violoncello in agili e virtuosistiche figurazioni che richiamano il guizzo del primo tema, la cui figura ritmica si trasforma in vari modi, assumendo infine un aspetto più lirico con l'approdo al secondo tema. La sezione di sviluppo è lineare e scorrevole, regolare la ripresa che culmina in una cadenza del solista ampia e articolata, alla quale non mance il sostegno ritmico dell'orchestra, cosa che sconcertò non poco i primi esecutori scontenti per l'anticonvenzionalità delle cadenza che appariva probabilmente a loro occhi poco "gratificante". La breve coda conclusiva, Schneller, riprende per l'ultima volta lo spunto motivico iniziale del tema principale.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il 1850 è un anno di estrema importanza nella biografia schumanniana. In esso si colloca infatti il trasferimento da Dresda a Düsseldorf dove Robert aveva accettato il posto di direttore dei concerti della città offertogli in riconoscimento della sua fama di compositore, scrittore e critico. Schumann vide in tal modo realizzarsi un suo antico desiderio, quello di avere a disposizione un'orchestra e un coro di prim'ordine per portare avanti il suo discorso musicale. Tutto sembrava dunque definitivamente risolto; sembrava soprattutto che il maestro avesse trovato quelle condizioni artistiche e quella posizione sociale in grado di consentirgli di superare gli squilibri nervosi che già da qualche anno minavano il suo spirito e la sua salute. In questa estrema parentesi di serenità, destinata peraltro a durare assai poco, addensandosi già sul suo capo le nubi della follia, Schumann non solo tenne fede con alacrità ai suoi numerosi impegni pubblici ma lavorò e compose con una rapidità straordinaria, tanto da terminare in soli tre mesi la «Terza Sinfonia» (Renana) e questo Concerto per violoncello e orchestra, al centro di una attività compositiva che conta anche le «Scene dal Faust di Goethe» op. 97 e le serie di «Lieder» opp. 77, 83, 87, 89, 90 e 96.

Ma se la «Terza Sinfonia» passò con facilità l'esame del «critico» Schumann, lo stesso non avvenne per il «Concerto per violoncello e orchestra» che venne più volte corretto e modificato e viene pubblicato soltanto nell'agosto del 1854 come op. 129; non si sa neppure se l'opera abbia mai avuto una esecuzione pubblica durante la vita del compositore.

In contrasto con il concerto classico i movimenti di questa pagina si seguono senza soluzione di continuità secondo un piano strutturale già elaborato da Mendelsshon nei «Concerti» per pianoforte in sol minore e re minore e praticato dallo stesso Schumann nella «Sinfonia in re minore». Si tratta insomma del tentativo di superare uno schema compositivo del passato in nome di una maggiore libertà espressiva, romantico non meno dell'irruzione immediata in primo piano dello strumento solista con la soppressione rispetto allo schema consolidato dell'esposizione tematica dell'orchestra. Dove però più affiorano i tratti peculiari di Schumann con maggior limpidezza è nel rifiuto totale di ogni trattamento virtuosistico della scrittura violoncellistica. «Sembra quasi che il tormento del compositore — citiamo un breve scritto di Giorgio Pestelli — quello di puntare i piedi contro la piena inventiva delle opere della prima giovinezza, di inquadrare nella forma il dono dell'invenzione sentito ora quasi con colpa, abbia voluto creare alla calda e fluente voce del violoncello un'antagonista nell'orchestra; questa è infatti trattata con tutta la dignità sinfonica in modo da disturbare più che accompagnare la voce del solista. Ma d'altra parte in questo avvolgente, fitto e difficile discorso sta una delle maggiori attrattive di quest'opera unica nella letteratura concertistica».

Gian Filippo De Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 25 aprile 1987
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 295 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 10 marzo 1978


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Ultimo aggiornamento 30 gennaio 2019