Davidsbündlertänze, op. 6

Diciotto pezzi caratteristici per pianoforte

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Lebhaft (sol maggiore)
  2. Innig (si minore)
  3. Mit humor. Etwas hahnbuchen. Schneller (sol maggiore)
  4. Ungeduldig (si minore)
  5. Einfach (re maggiore)
  6. Sehr rasch und in sich hinein (re minore)
  7. Nicht schnell. Mis ausserst starker Empfindung (sol minore)
  8. Frisch (do minore)
  9. Lebhaft (do maggiore)
  10. Balladenmassig. Sehr rash (re minore)
  11. Einfach (si minore)
  12. Mit humor (mi minore)
  13. Wild und lustig (si minore)
  14. Zart und singend (mi bemolle maggiore)
  15. Frisch (sol minore)
  16. Mit gutem Humor (sol maggiore)
  17. Wie aus der Ferne (si maggiore)
  18. Nicht schnell (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1837
Edizione: Friese, Lipsia, 1838
Dedica: Johann Wolfgang von Goethe
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Davidsbündlertänze costituiscono, fra i numerosi cicli di miniature, quello che ha forse il carattere più apertamente polemico e provocatorio, e che non a caso prende spunto dalla stessa attività di critico e di scrittore del compositore. Messo alla porta del 1831 dalla "Allgemeine Musikalische Zeitung" per un articolo inneggiante a Chopin, Schumann aveva fondato nel 1834 la "Neue Zeitschrift fur Musik" per contrastare l'influenza di coloro che, con cattivo gusto e malafede, operavano e giudicavano in campo musicale, esaltando le banalità quotidiane e gettando fango sulla vera arte; in una parola: i "filistei", contro i quali il compositore riunisce la "Lega dei compagni di David". Personaggi di questa Lega compaiono sulla rivista sotto pseudonimi, e lo stesso Schumann scinde la propria personalità sotto le differenti firme del focoso e appassionato Florestano e del mite, sognante Eusebio.

Le Davidsbündlertänze sono appunto le danze dei compagni di David; "danze dei morti, delle Grazie, dei folletti", suggerisce l'autore; partendo dalla lega contro i filistei Schumann evita le crociate trionfalistiche contro i nemici della musica e dell'arte, e preferisce definire un itinerario intimissimo e privato, animato da quella dicotomia fra le due parti contrastanti della sua personalità che si presta anche a una lettura psicoanalitica. Non a caso ciascuno di questi diciotto piccoli "pezzi caratteristici" reca in calce la lettera F o la lettera E (o anche tutte e due le lettere), a suggerirne, tramite la personalità di Florestano e Eusebio, l'ambientazione espressiva. E poiché per Schumann "in ogni tempo si mescolano Gioia e Dolore" (come recita l'antico detto riportato all'inizio dello spartito), ecco che l'intera composizione è emotivamente scissa fra queste due sensazioni. A garantire la concezione unitaria dello spartito c'è innanzitutto il movimento di danza che lo percorre internamente da capo a fondo - privilegiato è il Valzer, ma si trovano anche due Landler (nn. 2 e 14) e una Polka (n. 12) - poi l'esuberanza della scrittura pianistica, imprevedibile nel fraseggio, ricca di soluzioni impreviste - anche se va osservato che nel sottoporre lo spartito a revisione, Schumann ne edulcorò in parte i tratti più anticonformisti; oltre a mutarne il nome in "Davidsbündler" ("Compagni di David").

Altrettanto e più importante è la logica secondo la quale queste danze vengono allineate fra loro, logica che suggerisce interne divisioni e corrispondenze. La prima danza si apre subito con il "motto" di Clara Wieck, alla mano sinistra (tratto dall'op. 6 n. 5 della compositrice); un esordio che è allusione e cripto citazione. Importanza particolare assume poi la successione tonale delle danze. La composizione infatti si chiude in una tonalità diversa (do maggiore) da quella in cui inizia (sol maggiore); viene meno così la logica circolare propria dello stile classico; per riprendere le parole di Piero Rattalino «il cerchio diventa spirale, e su tutta la composizione si sviluppa la dinamica psicologica del movimento, del cammino verso l'infinito»; ma anche la nona danza termina in do maggiore, e stabilisce una cesura centrale parallela a quella della diciottesima. D'altra parte prima e ultima danza non sono altro che un prologo e un epilogo alla vera composizione; seconda e diciassettesima danza sono infatti nella stessa tonalità di si minore (prevalente nel corso dell'intero brano), e al termine della diciassettesima riappare, come trasfigurato, il motivo di Ländler della seconda; si tratta di un gioco della memoria, una rimembranza che segna la conclusione dell'itinerario delle danze, dopo la quale può seguire un postludio che non "chiude" ma anzi rimanda verso nuovi orizzonti, riaffermando il significato privato e personalissimo dell'intera composizione.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Negli anni trenta, Berlioz e Schumann introducono nella musica romantica il manifesto: con notevole anticipo Berlioz, ma Schumann risolvendo integralmente in musica assoluta quanto nel collega francese restava di letteratura, di programma, in una parola di didascalia e velleitarismo. Obbedendo perfettamente alla regola romantica, accogliendo lo schermo ironico, Schumann, a differenza di Berlioz, non si affida a un solo personaggio, l'artista della Symphonie fantastìque, e di Lélio che la continua come un romanzo di Dumas. Da anni, egli ha definito in diversi personaggi gli impulsi contrastanti, che diverranno poi contraddittori e infine ne lacereranno l'unità. Sono voci musicali indicanti talvolta persone del suo Kreis: fin dalla prima giovinezza, Schumann pensa a fondare un ordine quasi cavalieresco, un Graal senza Monsalvato, dai programmi rivoluzionari che, ad evidenza, sarà piuttosto da dire rivoltosi o ribelli.

Il modello è ovviamente Jean Paul, la coppia dei fratelli Walt e Vult. Essi divengono, in Schumann, le maschere del Carnaval e di altri lavori: il sognatore Eusebio, l'ardente impulsivo Florestano (disceso dal Fidelio),il saggio Maestro Raro, Julius, Serpentino, cui s'accodano fra i viventi Paganini e Chopin, fra le amiche del cuore Chiarina ed Estrella, e infine, in geniale fraintendimento, le maschere della commedia italiana.

«E' il giucco del "doppio", è l'uomo che si sforza di scoprire se stesso oltre la maschera, il giuoco fascinoso e complesso dell'ironia, di quella costante necessità romantica di autoanalisi cioè, risolta in un processo dialettico di sintesi degli opposti, dove il non-io è signoreggiato dall'io che lo crea » (Ida Porena-Cappelli).

Presenti già nel Carnaval op. 9, i personaggi-emblema ritornano, a firmare i singoli brani dei Davidsbündlertanze.

Il ciclo, forse la massima attuazione di Schumann pianista, è del 1837, ed è stato edito in Lipsia dal Friese l'anno seguente; è tuttavia posteriore al Carnaval, composto nel 1834-35 e pubblicato nel '37.

Sono diciotto frammenti, assolutamente autonomi per quanto riguarda la struttura musicale, e privi di unità tematica. Dedicati all'amico Walther von Göthe, sono la celebrazione di una «lega di Davide», che radunando tutte quelle forze innovatrici avrebbe dovuto opporsi a qualsiasi forma di conservatorismo, alla platitude del Biedermeier, allo spirito mercantile, ravvisato per eccellenza nella gran baracca dell'opera italiana.

Un motto costituisce la prefazione minima al testo musicale: all'incirca: «Finché i mortali vivranno gioia e dolore si mescolano; siate sereni nella gioia e affrontate coraggiosamente il dolore».

I due personaggi si alternano, in un altalenare perpetuo fra la magia moderna della fantasticheria, e l'impegno all'affermazione dell'ideale. Talvolta le due metà tentano di superare la schizofrenia latente, e si rifondono in una sintesi sempre più turbata. Alla fine dell'opera, vi è una sorta di post-scriptum: «Ganz zum überfluss meinte Eusebius noch folgendes; dabei sprach aber viel Seligkeit aus seinen Augen»; Eusebio pensava che ormai non vi era più nulla da aggiungere: dai suoi occhi parlava tanta beatitudine.

In precisa fedeltà agli assunti poetici, Schumann elimina ogni riferimento alle forme tradizionali, anche nella modificazione schubertiana. La tecnica dello sviluppo cede a una registrazione di momenti irrelati, di piena sufficienza ed autonomia: solo dal loro succedersi, è deducibile la carica emotiva nella sua interezza. Si tratta, insomma, di un primo saggio, in cui la giovane Romantik accenna aisuoi esiti tardi, l'istantaneismo musicale che verrà attribuito a Debussy.

A tal fine, Schumann adotta un linguaggio di schiacciante prevalenza armonica: la melodia generandosi, ove occorra, dalla mera successione degli accordi, e anche più dalla contrapposizione dei registri, secondo una maniera strumentale, oltreché musicale, che gli è propria fin dai primi saggi. Nel numero dieci, ad esempio, il melos si rapprende dall'urto fra gli accordi dissolti della destra, e le ottave della sinistra, su ritmo diverso: tre contro due. Ma nel numero precedente, dove «Florestano conclude, mentre le labbra gli si contraggono dolorosamente», la melodia sorge dalla serie dei disegni tempestosi senza svincolarsi da essi. Altra volta, come nel n. 7, la «più alta espressione» è il colore degli accordi placcati, e aspiranti a una sicura indipendenza. «Con l'uso appropriato delle alterazioni Schumann introduce accordi completamente estranei alla tonalità di base, mentre il discorso si frantuma in melodie appena accennate e spesso da un movimento ne nasce un altro come per germinazione spontanea», scrive ancora Ida. «Si pretende dall'esecutore un nuovo atteggiamento: la tecnica non è mai appariscente o fine a se stessa, il ritmo è preciso, ma richiede un massimo di elasticità da parte del pianista il quale dovrà, dominata fino in fondo la novità del fatto tecnico, dimenticarla e "pensare" in musica, seguendo il filo fantastico che lega i frammenti poetici l'uno all'altro. Si esige insomma una vera e propria lettura poetica».

L'unità essenziale con la poesia tedesca è affermata superbamente: quanto era implicito in Schubert, nella sua lettura musicale di Goethe, Hölderlin o Heine, qui diviene codice morale. E regola pedagogica: ai giovani musicisti il maestro consigliava, quando fossero stanchi del pianoforte, o della carta pentagrammata, di leggere i poeti contemporanei. Era certo che la loro comunicazione non fosse incrinata da scissioni. Non vi è scisma nella Romantik, moderno stilnovo.

Mario Bortolotto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 febbraio 1998
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 13 maggio 1971


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Ultimo aggiornamento 6 giugno 2013