Kinderszenen (Scene infantili), op. 15

Tredici pezzi per pianoforte

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Von fremden Ländern und Meuschen (Da genti e paesi lontani) - (sol maggiore)
  2. Curiose Keschichte (Storia curiosa) - (re maggiore)
  3. Hasche-Mann (A rincorrersi) - (si minore)
  4. Bittendes Kind (Fanciullo che prega) - (re maggiore)
  5. Glückes genug (Abbastanza felice) - (re maggiore)
  6. Wichtige Begebenheit (Avvenimento importante) - (la maggiore)
  7. Traumerei (Visione) - (fa maggiore)
  8. Am Camin (Al camino) - (fa maggiore)
  9. Ritter vom Steckenpferd (Sul cavallo di legno) - (do maggiore)
  10. Fast zu ernst (Quasi troppo serio) - (sol diesis minore)
  11. Fürchtenmachen (Bau-bau) - (sol maggiore)
  12. Kind im Einschlummern (Il bimbo si addormenta) - (mi minore)
  13. Der Dichter spricht (Parla il poeta) - (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1838
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1839
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Intorno al 1838 Schumann compose una serie di trenta pezzi «caratteristici», piccole schegge del suo immenso mondo poetico: tredici di questi brani divennero le Kinderszenen op. 15, piccole scene di vita familiare, ricordi indimenticabili di un bambino sensibile filtrati dalla mano delicatissima di un poeta. È opportuno anzitutto chiarire che queste pagine non furono concepite da Schumann per pianisti dalle piccole mani; se è vero che la scrittura pianistica non presenta grandi difficoltà esecutive (cosa che induceva Schumann all'autoironia: «Mi piacciono molto le Kinderszenen, quando le suono faccio molta impressione, soprattutto a me stesso»), è anche vero che la destinazione della raccolta non è didattica, come avverrà invece per l'Album für die Jugend concepito nel 1848.

Lo stesso Schumann ne chiarisce la portata e la destinazione in una lettera a Clara dell'11 febbraio 1838: «Se è lecito rinvenire un'eco di quanto una volta mi dicesti circa il fatto che talora assomiglierei a un fanciullo, ebbene essa va trovata in una trentina di piccoli pezzi bizzarri, dodici dei quali [i brani divennero poi tredici] ho chiamato Kinderszenen. Ti divertiranno ma dovrai ovviamente dimenticare di essere una "virtuosa". Essi si spiegano tutti, da sé e nel modo più elementare possibile».

Va infatti ricordato che Clara fu pianista dalle straordinarie doti tecniche, prima eseciitrice di molte opere del marito, suo personale «banco di prova» dal momento che Robert, a causa di esercizi tecnici sbagliati alla tastiera, si era totalmente compromesso la capacità di suonare il pianoforte già dal 1829.

La semplicità è dunque la chiave di lettura per questo capolavoro: semplici e immediate le melodie, elementari ma mai scontate le successioni armoniche, sempre evidenti e ben marcati gli snodi strutturali dei tredici brani. Questa semplicità non deve però far dimenticare la profonda unità d'ispirazione delle Kinderszenen, i cui temi derivano tutti, secondo una famosa analisi di Rudolf Reti, da tre sole cellule fondamentali la cui combinazione dà vita ad atteggiamenti espressivi profondamente diversificati.

La raccolta si apre con una tema dolcissimo, il «c'era una volta...» delle fiabe: Da genti e paesi lontani cui fa seguito il piccolo rondò di Storia curiosa, nel quale si alternano due principi melodici di carattere opposto: il primo energico e affermativo, il secondo più delicato e reclinante.

A rincorrersi è il brano più impegnativo dal punto di vista esecutivo: il gioco festante delle scalette di sedicesimi della mano destra deve essere reso con precisione e uguaglianza. Dopo il gioco e la corsa sfrenata viene la riflessione e la preghiera: Fanciullo che prega è una parentesi di patetico raccoglimento che mette in luce il raffinato gusto armonico di Schumann; la pagina si apre infatti con una delicata nona di dominante e si conclude con un'interrogativa settima di dominante: due accordi instabili, pieni di incertezza e di aspettativa. Anche Abbastanza felice presenta preziose sottigliezze armoniche, come l'incerto ed esitante sol diesis d'apertura o l'ambigua modulazione a fa maggiore conclusiva.

Avvenimento importante, con le sue sgargianti sonorità, rappresenta il giorno di festa e conelude non senza enfasi la prima parte della raccolta, dominata dalle tonalità coi diesis. Con Visione, che è in fa maggiore e rappresenta il momento più intenso delle Kinderszenen, compaiono le morbidezze delle tonalità coi bemolli. Gioia, malinconia, dolore, poesia, sogno: ognuno trovi quello che sente, in questa celebre e ispirata reverie.

Al camino, ancora nella tonalità del sogno, fa maggiore, ci restituisce la tenerezza del focolare domestico; Sul cavallo cavallo di legno il bambino gioca e scherza prima di ripiegare improvvisamente su se stesso in Quasi troppo serio, caratterizzato musicalmente dal continuo spostamento degli accenti. Con Bau-bau si apre il momento dei primi timori, dei fantasmi impossibili; nel tema principale si osservi il controcanto della mano sinistra costituito da un sofferto movimento cromatico discendente. Il primo brivido arriva con la tonalità minore e la linea melodica serpeggiante e ritmicamente decisa della mano sinistra; gli accenti spostati e gli sbalzi tonali del terzo episodio rappresentano forse l'anima agitata del fanciullo.

Poi tutto tace e Il bimbo si addormenta sul ritmo di una dolce ninna-nanna: ecco infine la voce di Schumann (Parla il poeta), che con un linguaggio armonico semplice e immediato arriva diretto al cuore: le sue parole ci giungono come da un ricordo lontano, sbiadito e proprio per questo ancor più delicato e commovente.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Assieme all'Album per la gioventù op. 68 e ai Pezzi per pianoforte a quattro mani op. 85 "per bambini grandi e piccoli", le Scene infantili op. 15 sono il testo capitale di quella esplorazione del mondo dell'infanzia, nelle sue connotazioni psicologiche più profonde, intrapreso da Schumann con la coscienza di penetrare in una regione della sensibilità umana ancora sconosciuta alla musica; Schumann non poteva avventurarvisi senza condividere quel mondo, senza sentirlo dentro di sé come categoria eterna del sentimento, svincolata da ogni condizionamento anagrafico; non molti potranno seguirlo su questa strada, non sapendo più scoprire un paese di meraviglia che però è semplice e serio come un tesoro di memorie; ma quelli che lo seguiranno ne riconosceranno intatta l'autorità di maestro, maestro nella materia meno pedante che si possa immaginare: Musorgskij e Cajkovskij e più vicino a noi Ravel e Britten.

Il gusto rappresentativo, la propensione al quadro o al quadretto, è una delle correnti più diffuse nella musica strumentale dell'età romantica; e non solo della musica strumentale, come insegna la fortuna tedesca del Liederspiel, con scenari domestici per piccole storie, e non solo della musica in genere: basta pensare alla genesi dei Pickwick Papers di un Dickens, nati di volta in volta come scene collegate a disegni e vignette. "Scena" è termine famigliare allo Schumann pianistico, dal Carnaval op. 9 ("piccole scene su quattro note") alle Scene del bosco op. 82; anche dove il titolo non compare esplicito, la più gran parte della sua produzione pianistica, e la più tìpica, tende a una forte attitudine rappresentativa; attento alle immagini dei frontespizi, sensibile ai titoli delle composizioni (talvolta pronunciati a bassa voce prima di ogni brano, secondo la testimonianza del pittore Adam Ludwig Richter), Schumann attribuiva alla "scena" un potere evocatore e suggestivo, limitandone tuttavia la portata al momento esecutivo, pubblico, senza interferenze eccessive con la sfera privata della prima intuizione ed elaborazione compositiva.

Le Scene infantili, composte nel 1838 alla vigilia del suo matrimonio con Clara, si snodano come un'amabile suite in tredici istantanee, scritte "per i piccoli fanciulli da un fanciullo grande"; contemporanee alla folgorante estrosità di Kreisleriana, se ne allontanano per la semplicità tecnica, come un'oasi famigliare tutta pace dell'anima. Il musicista si fa osservatore e narratore: il mistero dell'infanzia, la meraviglia per paesi e uomini lontani, è fissata con pochi tratti nel brano d'apertura, seguito dalla "storia curiosa", dal gioco capriccioso, dalla richiesta ingenua di qualcosa di piccolo e di immenso allo stesso tempo, dal quadro della felicità perfetta e della seria e marziale solennità del "grande avvenimento"; al cuore della serie i l'immortale Träumerei, il sogno ineffabile di un'età dell'oro stemperata in canto, e Am Camin, simbolo di una "Haus-Musik" celebrata vicino al focolare. Il "grande fanciullo" condivide ancora la giornata del suo piccolo amico seguendolo sui sussulti del cavallo a dondolo, assecondandolo nelle sue sospensioni "troppo serie", in racconti che fanno spavento, e finendo con l'accompagnarlo fino alla soglia del sonno di un cherubino; alla fine, Il poeta parla: il musicista esce ironicamente dal quadro e parla solo di sé, o meglio sogna, in una tenerezza meditativa che dà forma all'interiorità pura, al sentimento che qualunque parola precisa limiterebbe nella sua libera espansione.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le Kinderszenen op. 15 occupano, nella fitta produzione pianistica schumanniana, un posto di particolare rilievo, sia per l'adesione all'anima candida e fantasiosa di Eusebio più che a quella estroversa e brillante di Florestano, sia per la sconcertante semplicità di scrittura che contrasta fortemente con la passione e il demonismo della Kreisleriana, scritta nello stesso anno, il 1838. Sembra quasi un ritorno all'infanzia, uno dei tanti del compositore, che si traduce in una serenità ritrovata.

Se l'idea letteraria è spesso presente nel processo creativo di Schumann e lo stesso sdoppiamento in Eusebio e Florestano è di derivazione jeanpauliana, qui è più semplicemente il mondo infantile che lo conquista: quello delle favole, dei giochi, delle piccole emozioni, dei sogni, senza le implicazioni naturalistiche che troveremo dieci anni dopo nelle Waldszenen.

La raccolta si apre con un pezzo incantevole nella sua semplicità: "Von fremden Ländern und Menschen" (Dove si parla di paesi e di uomini sconosciuti). Allo spirito fiabesco di questo brano si contrappone l'ironia sottile della "Kuriose Geschichte" (Una storiella curiosa), seguita dai guizzi vivacissimi di "Hasche-Mann" (A mosca-cieca). Si ritorna al candore e all'intimismo, sia pure di diversa natura, in "Bittendes Kind" (Fanciullo che prega), per sfociare in un momento di gioia e di calore familiare in "Glückes genug" (Felicità completa). L'elemento serioso e vagamente comico (dato dalla rigida quadratura e dalle ottave della sinistra) caratterizza "Wichtige Begebenheit" (Un avvenimento importante), che lascia il posto al più famoso dei pezzi, "Träumerei" (Sogni), la cui popolarità non deve ingannare l'ascoltatore smaliziato. In effetti si tratta di una pagina straordinaria e non a caso Alban Berg ne darà un'analisi minuziosa vedendo qui l'essenza della musica schumanniana, unica nel pensiero romantico. Il pezzo che segue, "Am Kamin" (Presso il camino), ci riporta ad un aspetto infantile meno vago, quello del fuoco che il piccolo Robert aveva visto nella sua casa di Zwickau; "Ritter vom Steckenpferd" (Sul cavallo di legno) con il suo gioco di sincopi ricrea il passatempo casalingo di tempi passati. Più enigmatico, e venato di malinconia è il decimo pezzo, "Fast zu ernst" (Quasi troppo serio); un ritorno al gioco, ma più mutevole, si avverte in "Fürch-tenmachen" (Bau-bau), lasciando poi che il bimbo si addormenti, su un movimento regolare delicato, in "Kind im Einschlummern". Per il congedo bastano alcune battute intensissime, sognanti, del poeta che parla ("Der Dichter spricht") con un filo di voce, allontanandosi poco a poco fino a scomparire.

Renato Chiesa

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nei primi dieci anni della sua attività di compositore Robert Schumann scrisse quasi esclusivamente per il pianoforte. Delle non molte pagine con diversa destinazione, buona parte è anteriore al 1830, e dunque da ascriversi a quel tempo di vigilia che vide Schumann adolescente esitare a lungo fra la musica e la letteratura. Si era poi risolto in favore della prima, dopo lo choc determinante dell'ascolto di Paganini a Francoforte, il giorno di Pasqua del '30: del luglio di quello stesso anno è la lettera che annuncia alla madre l'irrevocabile decisione di essere musicista. Che si concretò nel giovane Schumann appunto in una veemente vocazione pianistica, che pareva quasi tradurre il virtuosismo trascendentale del violino di Paganini nel più ampio rapporto con quello che da Beethoven in poi fu lo strumento principe della confessione individuale come della ricerca linguistica e formale per ogni compositore di musica strumentale. Completo in quanto strumento naturalmente polifonico, il pianoforte offriva al musicista romantico anche l'invidiabile maneggevolezza di una tastiera dove pareva riassunto, senza perderci troppo, il potenziale immenso dell'orchestra ottocentesca, liberato da quel peso che la scrittura per un numero così grande di strumenti sembrava imporre; meno ricco di colori, ovviamente, rispetto all'orchestra, il pianoforte tuttavia suppliva a questo handicap con lo straordinario sbalzo ritmico di cui è capace nella sua natura di strumento percussivo. Così il pianoforte seppe a un tempo essere la voce dell'individualismo e della riflessione intima come il veicolo delle grandi ambizioni: fino a stabilire un rapporto quasi fisico con il compositore, naturalmente attirato a essere anche esecutore. Tanto avvenne anche per Schumann, che infatti tentò egli pure la carriera del virtuoso: ma le sue aspirazioni di concertista, furono frustrate proprio dall'impegno ostinato con il quale cercò di prepararsi alla carriera del pianista, inventando un marchingegno per rinforzare il quarto dito, con l'unico risultato di rovinarsi irrimediabilmente una mano.

Di questa pressoché totale dedizione al pianoforte è testimonianza il catalogo dell'opera di Schumann. I primi ventitre numeri d'opus contrassegnano altrettante composizioni per pianoforte, dalle Variazioni Abegg ai quattro Nachtstücke, coprendo l'arco di circa dieci anni (1829-39). E il pianoforte é per Schumann anche il tramite dei primi contatti (se non si conta il precedente di una Sinfonia in sol minore del '32, rimasta inedita) con il grande organico sinfonico, avvenuti sotto la forma dì ripetuti tentativi di comporre un Concerto per pianoforte e orchestra, destinati a trovare esito concreto soltanto nel 1841-45 con il Concerto op. 54. Dunque il pianoforte si propone come il naturale compagno di un'esperienza artistica contrassegnata dalla felice effusione di un'inventiva fantastica e di un'urgenza espressiva senza precedenti, ambedue nutrite abbondantemente di letteratura, quale fu quella della giovinezza di Schumann; orientandosi spontaneamente verso una speciale dimensione costruttiva, che riprendendo dall'esempio di Beethoven il principio della variazione integrale, si traduceva nella creazione, anziché di grandi forme sonatistiche, di serie di piccoli pezzi, legati l'uno all'altro dall'unità strutturale determinata appunto dal libero impiego della variazione, applicata ai parametri melodici, armonici e ritmici dei motivi di base, e dell'organicità di assunti poetici diversi ma complementari. Dietro a ciò, v'era la naturale insofferenza di ogni compositore dell'età romantica verso gli obblighi di una costruzione secondo le regole della classicità. E anche l'aspirazione, essa pure romantica tipicamente, all'unità delle arti, intese come forme diverse di una medesima manifestazione dello spirito: donde l'ispirazione poetico-letterària di quasi tutte le composizioni del giovane Schumann, espressa nel filo suggestivo dei tìtoli apposti ai vari pezzi di una medesima opera, a legarli insieme in una rete di allusioni e significati altrettanto complessa di quella determinata dalle stesse relazioni tematiche. Così come, in naturale e irrefrenabile simbiosi fra arte e vita, tra fantasia e realtà, l'opera di Schumann critico aveva per protagonisti, al pari di tante composizioni musicali, le tre figure nelle quali lui amava scomporre, con gesto jeanpauliano, la sua stessa personalità: Eusebio, timido, malinconico, gentile, lirico; Florestano, ardente, entusiasta, impetuoso, drammatico; e il Maestro raro, il saggio capace di ricondurre quelle istanze poetiche nella perfezione della dottrina.

Parallelamente, già nelle opere del decennio pianistico, accanto alla sfilata delle maschere di Cornaval, alle Danze dei fratelli di David scatenati contro i «Filistei», alle suggestioni hoffmanniane dei Kreisleriana, si fa però strada, a poco a poco, il tentativo di recuperare più composte dimensioni formali. Per cui sarà logico, una volta esaurita la spinta propulsiva degli ardori pianistici, e consumato un concreto confronto fra musica e poesia con l'esperienza incredibile degli oltre centocinquanta Lieder del prodigioso 1840 (che sarà infatti detto «l'anno dei Lieder»), che Schumann si dia decisamente, negli anni successivi, alla ricognizione della grande forma. Anzitutto con l'orchestra, con la Prima sinfonia e la versione originale della futura Quarta, e con il Concerto in la minore; ma anche nella musica da camera, con la riesumazione del genere gloriosissimo del Quartetto per archi. E tutto con faticosa ma decisa, più o meno felici che potessero esserne gli sbocchi, ambizione a nuova solidità costruttiva. Lungo la linea che porterà a questa svolta, non poche e non poco importanti sono anche le tappe coperte entro lo stesso decennio pianistico. A partire, soprattutto, dalle prime versioni di quell'opera gigantesca che sono i dodici Studi sinfonici (1834) e della Sonata in fa minore (1835), cui le preoccupazioni commerciali dì un editore affibbiarono lo strampalato titolo di Concerto senza Orchestra; e con il punto di massima tensione nell'esplicito omaggio beethoveniano della Fantasia (quasi una Sonata, in realtà), composta nel '36 e pubblicata come op. 17. Tutte esperienze formali, queste, che in qualche misura si riverberano sulle più tarde composizioni strutturate sullo schema di suite di pezzi brevi, che via via continuavano a sgranarsi nell'irrefrenabile fecondità di Schumann, compresi i Pezzi fantastici del '37 e i Kreisleriana del '38.

Appunto dopo la Fantasia, e quasi contemporaneamente ai Kreisleriana, nacque un'opera che al pari di questi si articolava in una serie di quadri a un tempo autonomi e l'uno all'altro complementari; ma calata in una dimensione poetica affatto particolare. In una lettera del marzo 1838 a Clara Wieck, non ancora sua moglie, cosi Schumann ne annunciava la creazione: «Ho scoperto che niente eccita la fantasia quanto l'attendere o sperare ardentemente qualcosa, e questo è ciò che mi è accaduto nei giorni scorsi. Ho tanto atteso la tua lettera, che ho riempito volumi interi di cose sorprendenti! ... Sarà forse un'eco di quel che mi dicesti un giorno, 'qualche volta mi fai l'effetto di un bambino'? Comunque mi pare che questa frase mi abbia fatto spuntare le ali: ho scritto di gran lena una trentina di piccoli pezzi, raccogliendone una dozzina sotto il titolo Scene infantili [Kinderscenen]. Farai tanto d'occhi quando li leggerai, anche se, da virtuoso della tastiera, non li troverai troppo interessanti. Hanno titoli come Presso al camino, Storiella curiosa, A mosca cieca e via dicendo; comunque si spiegano da sé, e sono assai facili». Proprio questa «facilità» d'esecuzione, che andrebbe meglio intesa come «semplicità», ha fatto sì che le Scene infantili, al pari del più tardo Album per la gioventù, siano entrate stabilmente nel repertorio di studio degli aspiranti pianisti. Ma mentre l'Album per la gioventù, pur conseguendo esiti artistici rispettabilissimi e risultando opera perfettamente godibile e ammirabile anche dall'ascoltatore adulto, è concepito con chiaro fine didattico, le Scene infantili sono, al contrario, anzitutto creazione poetica: la loro semplicità strumentale dovendosi interpretare come riflesso dello specifico carattere espressivo della composizione, più che come concessione a ipotetici esecutori inesperti. Non manca di accorgersene, divenuto grande, chi nell'apprendistato pianistico degli anni verdi sia stato indotto a farne scempio per scusabile goffaggine delle dita e dell'immaginazione: ma è peccato dal quale forse nessun pianista, dilettante o professionale, può vantarsi esente.

Viceversa, la poesia delle Kinderscenen è tanto profonda e significativa quanto è lieve e trasparente, nell'esile e delicatissima costanza musicale dei tredici piccoli pezzi. Sostanza che peraltro appare manipolata con somma cura anche sul piano compositivo: risultando i diversi pezzi strettamente imparentati fra loro dal punto di vista del materiale tematico, ristretto a tre o quattro spunti comuni; e apparendo assai ricercato il tessuto armonico, pur sfumato da una scrittura raffinata all'estremo. Le Scene infantili, lo diceva Schumann, «si spiegano da sé»: i tìtoli dei pezzi bastano da soli a proporre il quadretto che la musica si incarica di commentare; e sia che Schumann li abbia pensati come «programmi» sui quali costruirete piccole composizioni, sìa che li abbia magari messi a cose fatte, come era successo per Carnaval, è certo che ciascuno di essi si sposa a perfezione con il carattere del pezzo cui si riferisce. Così il primo numero, dove si parla di paesi e uomini sconosciuti, scorre con un tono narrativo alonato di quella placida e serena meraviglia con la quale si sta a sentire una fiaba. E quelli che lo seguono piegano ora a un garbato umorismo, ora a modi sottilmente contemplativi. Tutto si svolge nell'universo in miniatura - ma anche capace di infinitezza - di un'infanzia rivissuta con nostalgia di paradisi perduti. Ma niente sarebbe sbagliato che intendere le Kinderscenen soltanto come affettuosa e distaccata rievocazione; quale può compiere un adulto che guardi all'infanzia attraverso il cannocchiale rovesciato del tempo trascorso e della conseguita maturità. Perché in realtà esse mirano a trasferire in una dimensione spirituale ingenua e incorrotta, riducendone a minuscole proporzioni l'espressione concreta, tutti i temi poetici della sensibilità romantica. Nelle Scene infantili parla lo stesso artista che ha creato le prospettive infuocate e fantastiche di Carnaval e dei Kreisleriana; e che adesso si rivolge alle fonti più pure e immediate del sentimento, sapendo di non dover fare i conti con la ragione, e sospendendosi beatamente in un infinito che non si è obbligati a cercar di conoscere e di spiegare. E si compiace, certo, anche di tratteggiare bozzetti di grazia impareggiabile, riposando l'immaginazione in atmosfere fresche e incontaminate. Ma non per questo si astiene dal proiettarla, come nell'impalpabile e celestiale Träumerei, in ampiezza sconfinata di visioni poetiche e liriche. E quando alla fine di questo viaggio nel mondo dei sentimenti infantili il «Poeta» adulto parla in prima persona, par quasi che perfino il saggio «Maestro raro» abbia trovato, nella camera dei bambini, qualcosa da imparare. Scoprendo, a modo suo, che conoscere significa anche ricordare.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 111 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 6 maggio 1994
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 febbraio 19924
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 1 giugno 1983


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Ultimo aggiornamento 18 maggio 2016