Zwölf Gedichte, op. 35

per voce e pianoforte

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
Testo: Justinus Kerner
  1. Lust der Sturmnacht - Kraftig leidenschaftlich (do minore)
  2. Stirb, Lieb' und Freud'! - Langsam (la bemolle maggiore)
  3. Wanderlust - Sehr lebhaft (si bemolle maggiore)
  4. Erstes Grün - Einfach (sol minore)
  5. Sehnsucht nach der Waldgegend - Innig, phantastisch (sol minore)
  6. Auf das Trinkglas eines verstorbenen Freundes - Ernst, ziemlich langsam (mi bemolle maggiore)
  7. Wanderung - Frisch, die Begleitung leicht und zart (si bemolle maggiore)
  8. Stille Liebe - Innig (mi bemolle maggiore)
  9. Frage - Langsam, innig (mi bemolle maggiore)
  10. Stille Tränen - Sehr langsam (do maggiore)
  11. Wer machte dich so krank? - Langsam, leise (la bemolle maggiore)
  12. Alte Laute - Noch langsamer und leiser (la bemolle maggiore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1840
Edizione: Klemm, Lipsia, 1841
Dedica: Friedrich Weber
Guida all'ascolto (nota 1)

Seppur non così importante come quella di Schubert, la produzione liederistica di Schumann illumina un tratto caratteristico della sua arte e rappresenta un punto di passaggio obbligato nell'evoluzione del genere. Da semplice quadretto descrittvo di forma rigorosamente strofica, espressione di una sensibilità popolare, più spesso popolareggiante, il Lied era stato elevato al rango di forma d'arte e immesso nella tradizione colta da Mozart e da Beethoven; fino a conoscere, con Schubert, sviluppi imprevedibili, e diventare il mezzo eletto per suscitare l'eco di risonanze profonde, interiori, trasfigurate in una unione ideale di poesia e musica: capace, dunque, come nel caso degli ultimi cicli schubertiani, di dare voce alle più intime e segrete introspezioni dell'anima.

Così facendo il Lied si aprì lo sbocco verso la piena inarrestabile del Romanticismo, che ne avrebbe rappresentato al massimo grado le esigenze accentuandone ancor più i toni soggettivi e quelli di una dolorosa, sovente tragica confessione lirica. Non meraviglia dunque che Schumann si accostasse al genere assai presto, con tutta l'ansia intrepida della sua gioventù e con il carico della sua accesa, trascinante fantasia: nessuno meglio di lui avrebbe potuto raccogliere l'eredità di Schubert e portare a maturazione il frutto prezioso, così rigogliosamente sbocciato. Non fu però così. Non almeno subito, in quel primo slancio tanto generoso quanto incontrollato.

Schumann compose i suoi primi Lieder nel 1827, l'anno della morte di Beethoven, e continuò a produrne, con maggiore frequenza, nel 1828, l'anno della morte di Schubert: dunque fra i diciassette e i diciotto anni. A diciassette anni, nel 1814, Schubert aveva composto quel Gretchen am Spinnard (Margherita all'arcolaio, da Goethe) che con la sua caratterizzazione psicologica e non soltanto musicale era destinato a segnare, oltre che la data di nascita del Lied moderno, una pietra miliare nella fusione di musica e parole. Al confronto, il primo degli undici Lieder op. 2 di Schumann (Sensucht, parola magica e intraducibile, caleidoscopio di suggestioni tipicamente romantiche: nostalgia, anelito, rimpianto...) è soltanto un promettente inizio, lontanissimo però dal mondo poetico e musicale schubertiano: acerbo e quasi velleitario. Lo stesso potremmo dire per il primo dei Lieder di Schumann su testo di Goethe, Der Fischer (Il pescatore), soprattutto se lo mettessimo accanto agli esordi di Schubert, per esempio a Erlkönig (Il re degli Elfi). Componendo i sui primi Lieder Schumann dovette accorgersi che la sua ambizione non veniva ancora sorretta dalla necessaria esperienza. Se Schubert era il Lied, imitarlo era impossibile, oltre che inopportuno. All'ombra incombente e minacciosa di Beethoven nelle grandi forme si sovrappose, nel caso specifico, quella del grande, semplice, metafisico Schubert. E Schumann, il quale neppure a diciott'anni era quell'entusiasta irriflessivo che appariva a molti, si comportò di conseguenza: tacque. Tacque e attese di raggiungere la certezza di sé, di quel che voleva e doveva essere. Scriverà retrospettivamente: «sviluppare me stesso, tutto come sono, questo era sin dalla giovinezza il mio desiderio e la mia intenzione. [...] Come possa salvare e conquistare me stesso è per me un bisogno indispensabile». La conseguenza fu che per dodici anni non compose più nemmeno un Lied, e si dedicò invece all'attività nella quale avrebbe potuto riconoscere e conquistare se stesso. Questo campo, un vero campo di battaglia, fu il pianoforte: dalla piccola forma del pezzo isolato al ciclo organico e unitario di più pezzi, dal semplice brano di carattere alla grande forma della Sonata pianistica.

Quando si riaccostò al genere liederistico, Schumann era diventato un altro, non soltanto per età ed esperienza, ma anche per maturità e individualità acquisite. La sua smania di comporre Lieder ruppe gli argini come una furia a lungo repressa nel 1840 (in quel solo anno se ne contano quasi centocinquanta) ed è rivelatrice di questo mutamento. Il "complesso" di Schubert sembrava essere dimenticato e sepolto nella superba coscienza di sé, certo fortificata da quanto Schumann era venuto compiendo in quegli anni nella musica pianistica; gli stessi risultati a cui portò quel cambiamento recano impresso il sigillo di una personalità capace ora di spaziare all'interno del Lied con accenti inconfondibilmente propri. Schumann si era tracciato una via autonoma al Lied ed era ora in grado di raccoglierne i frutti con un'abbondanza che a lui stesso sembrò straordinaria, quasi incredibile.

Un luogo comune molto frequentato dalla critica, per la quale la vita e l'opera di un artista debbono per forza dipendere in modo diretto da amori, disgrazie o fatalità, collega questa straordinaria fioritura del 1840 al nome di Clara Wieck. Secondo quest'opinione sarebbero stati il fidanzamento con Clara, giunto al momento culminante delle grandi scelte dopo acerrimi contrasti, e poi il matrimonio celebrato nel settembre 1840 a riaccendere in Robert la fiamma della creazione liederistica, spingendolo a tradurre in canto le diverse sfumature del suo appassionato amore per la giovane compagna. Non manca a questa tesi il conforto di una lettera famosa: «Ah Clara, quale beatitudine scrivere per il canto: da tempo ne sentivo la mancanza». «Die hatte ich lange entbehrt», scrive Schumann; e ciò nella pregnanza di significati della lingua tedesca, significa non soltanto "sentire la mancanza", ma anche rinunciare, tenersi lontano da qualcosa pur desiderandola. Schumann aveva rinunciato a scrivere Lieder appunto perché non si sentiva pronto o all'altezza; e soltanto a posteriori quella rinuncia gli sembrava una "mancanza" di cui avvertiva e registrava tutto il peso: un peso forse anche angoscioso, che però ormai apparteneva al passato e aveva lasciato il posto alla gioia inebriante di una straordinaria energia creatrice.

Più che merito di Clara, quindi, quei frutti dovremmo considerare il risultato di una semina occulta e oculata, di un magistero poetico e musicale giunto a individuale maturazione. Clara tutt'al più può essere presente sullo sfondo come punto di riferimento soggettivo, ideale dedicataria di un lavoro che impegnò Schumann in una ricerca nuova sotto molteplici punti di vista: armonico, formale, linguistico, stilistico. Qui, assai più che nell'atteggiamento sentimentale o emotivo, sta la vera novità dei Lieder del magico anno 1840. E a dimostrarlo stanno, nella fioritura così rigogliosa, anzitutto cinque grandi cicli: Liederkreis op. 24, da Heine; Myrthen op. 25, su testi di poeti diversi fra i quali Rückert, Goethe, ancora Heine, Byron e Thomas Moore (questo è l'unico a recare esplicitamente la dedica a Clara); Liderkreis op. 39, da Eichendorff; Frauenliebe una Leben op. 42, da Chamisso; Dichterliebe op. 48, dal Libro dei canti di Heine. Al centro si trovano due raccolte riunite sotto il titolo di Lieder und Gesänge o Gedichte (cioè canti e poesie), la prima delle quali è l'op. 35, su testi di Justinus Kerner (l'altra, op. 37, è invece ricavata da Primavera d'amore di Friedrich Rückert).

Questi dodici Lieder tratti da Kerner e musicati da Schumann nei primi mesi del suo matrimonio con Clara si differenziano dai cicli veri e propri perché non narrano una storia ma allineano una serie di stati d'animo affini in senso non tanto psicologico quanto poetico. Di Kerner (1786-1862), figura di primo piano della scuola romantica sveva, Schumann coglie soprattutto la vena trasognata e intenerita, riecheggiante toni e motivi popolari, e il contrasto fondamentale tra un desiderio di sicurezza nel ben protetto alveo familiare e la fondamentale impossibilità di sentirsi appagato fuori di un perpetuo soffrire. Ciò che Kerner evoca nel breve giro di un'immagine o di una visione, Schumann lo potenzia con il canto, che qui occupa una posizione ancora rilevante rispetto all'accompagnamento pianistico. Può sembrare curiosa la scelta di testi che sempre più si allontanano da sensazioni di pace e di gioia pur vagheggiando una vita semplice e immediata, e che prediligono invece, in modo talvolta anche bizzarro ed eccentrico, fantasie di mondi lontani, descrizioni nostalgiche della natura, di boschi, tempeste e crepuscoli, di amori perduti e di amicizie infrante dal destino: tutti dominati da tristezza, solitudine, rinuncia, infelicità, e votati a una malinconica rassegnazione. E ciò indurrebbe a riflettere sul sentimento di fondo che dominava Schumann in un momento per lui apparentemente felice.

Per Schumann la natura stessa del Lied invitava alla rappresentazione lirica, soggettiva, dell'infelicità. E il cantare quest'infelicità era per lui il modo di vincerla. Se il tono di fondo è questo, determinante è la riflessione compositiva originata dal rapporto col testo. Rispetto agli altri cicli, in questo la presenza del pianoforte è meno risaltata, più compressa, e mira a fondere la melodia della parola con il suono dello strumento. Il pianoforte non si allontana dagli orizzonti del canto né propone un'altra verità sollecitando i dubbi, ma avvolge la voce delicatamente e ne amplifica estesamente le linee. Se un principio si vuol trovare nel ciclo, questo è dato dal contrasto, peraltro ricorrente in Schumann, tra esteriorità e interiorità, tra ciò che si manifesta limpidamente all'esterno e ciò che accade all'interno della percezione discordante: sovente con brucianti contrapposizioni armoniche su un impianto costellato di modi minori e dissolvenze improvvise, o viceversa con lente, infinite sospensioni di tempi e di spazi.

Se ne ha un esempio subito all'inizio, dove la voluttà di una notte di tempesta sta tutta nella consapevolezza che mentre fuori infuria l'uragano è possibile trovare una quiete interiore, la quiete del focolare domestico: ma essa è simbolo di un'aspirazione più che di una realtà, di un anelito più che di un possesso, come chiaramente indica la figura sincopata sottostante all'energico slancio del canto. E ciò dà al Lied una forte tensione drammatica, via via accresciuta fino alla conclusione, tutt'altro che risolutiva, in maggiore. Cui si contrappone subito la visione, quasi ieratica nella sua solennità, dell'amata che si consacra alla vita monastica nel vecchio duomo di Augusta: dove il tono austero della cerimonia e il sentimento religioso che ne accompagna il rituale antico, assaporati alla luce di un ideale di pura bellezza, sembrano sovrapporsi, in uno sdoppiamento tra il sadico e l'ammaliato, al cocente dolore di una speranza che muore.

Il terzo, quarto e quinto Lied sono inni alla natura pervasi di empito lirico e di nostalgia verso un mondo divenuto ormai estraneo all'errabondo viandante: qui l'intervento del compositore si fa più marcato. Nel terzo Lied Schumann riprende alla fine della prima strofa, quasi a voler incorniciare in un quadro definitivo l'addio alla casa paterna; in Erstes Grün (n. 4) è invece il pianoforte a intercalare a ogni strofa un ritornello in maggiore che lenisce il dolore della lontananza; infine, col quinto Lied erompe per la prima volta in modo cosciente la nostalgia, e il canto sembra interiorizzarsi per fantasticare, come esplicitamente indica la didascalia: ora il ciclo si coniuga al passato, nel ricordo di una perdita irreparabile. Che subito si umanizza, nel sesto Lied, in trenodia per l'amico defunto, cui solo il canto e la memoria possono dare conforto: singolare mescolanza di funebri ritmi di marcia e di cristallini rintocchi di brindisi un tempo felici. Si introduce poi di nuovo il tema del viaggio verso una terra ignota (n. 7), in una sempre maggiore estraneità dai luoghi della pace: e se il mondo della natura benedice il solitario, la celebrazione di quel legame è accettazione ancor sempre stupefatta di un destino.

I tre Lieder successivi, strettamente collegati fra loro, sono la definitiva premessa alla rassegnazione che verrà alla fine. La rinuncia si manifesta in modo ironico in Stille Liebe (n. 8), allorché l'impossibilità di cantare denunciata dal testo è vanificata dal moto del pianoforte che si presenta all'inizio e tra una strofa e l'altra, per essere poi sviluppato alla fine in una attonita espressione del dolore, dai risvolti improvvisamente tragici. La concentrata inquietudine del nono Lied, che distanzia la domanda finale in una serie di fin troppo eloquenti risposte, si scioglie in atmosfere già quasi tristaniane nel decimo, dove per la prima volta appare un vero e proprio postludio strumentale di commento tanto trasfigurante quanto compiacente verso le lacrime versate e intrise di dolore. E il commiato avviene negli ultimi due Lieder con un imprevedibile, magistrale colpo d'ala: la stessa melodia si presenta due volte, quasi eco di se stessa, su testi e accommpagnamenti diversi per ribadire la stessa cosa sottovoce e sempre più lentamente; ossia per riconoscere un destino e al tempo stesso negarlo. Siamo ai limiti dell'ineffabile, vicini alla soglia del silenzio e consegnati alla notte, misteriosa e malinconica ben più di un epilogo d'effetto: una visione di sogno ai confini della morte, forse onnicomprensiva, in quell'attimo, di ogni realtà.

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 26 aprile 1992


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Ultimo aggiornamento 9 giugno 2012