Märchenerzählungen, op. 132

Quattro pezzi per clarinetto (o violino), viola e pianoforte

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Lebhaft, nicht zu schnell (si bemolle maggiore
  2. Lebhaft und sehr markirt (sol minore)
  3. Ruhiges Tempo, mit zartem Ausdruck (mi minore)
  4. Lebhaft, sehr markirt (si bemolle maggiore)
Organico: clarinetto (o violino), viola, pianoforte
Composizione: Düsseldorf, 9 - 11 ottobre 1853
Prima esecuzione privata: Düsseldorf, residenza di Schumann, 23 ottobre 1853
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1854
Dedica: Albert Hermann Dietrich
Guida all'ascolto (nota 1)

Se da giovane Schumann aveva asserito che Jean Paul Richter (cioè le immagini morbide della sua narrativa) erano state la sua guida nel contrappunto, aspirò nondimeno tutta la vita al posto ed alla reputazione dell'artista borghese. Clara non meno di lui lo voleva Kapellmeister, ma soltanto nel 1850 se ne presentò l'occasione, quando Ferdinand Hiller gli lasciò il posto di direttore stabile a Düsseldorf. Purtroppo era tardi. Riaffiorarono nel nuovo incarico i sintomi della schizofrenia, manifestatasi una prima volta nel 1845, e le cure della istruzione del coro e dei concerti afffrettarono forse la crisi decisiva del febbraio 1854. Le opere di quegli anni rivelano la fatica della mente, e non hanno mai raggiunto il favore accordato a quelle della gioventù. Esse mancano infatti di quel tratto schumanniano che definirei spontaneità: quasi il pezzo emergesse da una improvvisazione alla tastiera, senza che fra immagini letterarie, le loro emozioni e il corrispettivo musicale, esistesse il diaframma della riflessione, della ricerca lessicale e tecnica. Nel 1853, quando vennero composte le «Märchenerzählungen», le immagini sono invece sfumate in fantasmi, il mondo romantico, la sua ideologia di una identità fra uomo e natura, idillio affatto schumanniano, non è più ontologicamente presente, ma va ricercato nella memoria, ed a tratti anche questa cede. Ciò si concreta in una diversa ed avanzata poesia.

Immagini ambigue, armonie e timbri singolari, come nella terza «Märchenerzählung», dove la prescritta espressione soave, il «zarter Ausdruck» della didascalia, pare quasi la confessione di chi sia rassegnato all'angoscia, una angoscia soave, se è concesso immaginare questa crudele fra le pene. Più stanca l'immagine fiabesca negli altri tre numeri della raccolta. Il primo alterna una mossa cantabile all'estro di una quartina staccata, lo si direbbe una manifestazione d'umore instabile. Il secondo e il quarto, condotti secondo lo schema della marcia con trio, ripercorrono gli ardori bizzarri di Florestano, ormai distanti e sfumati in solitudine.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 marzo 1973


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Ultimo aggiornamento 29 giugno 2015