Papillons, op. 2

Dodici pezzi per pianoforte

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Introduzione - Moderato (re maggiore)
  2. Walzer (re maggiore)
  3. Walzer - Prestissimo (mi bemolle maggiore)
  4. Walzer (fa diesis minore)
  5. Walzer - Presto (fa diesis minore)
  6. Polonaise (si bemolle maggiore)
  7. Walzer (re minore)
  8. Walzer - Semplice (fa minore)
  9. Walzer (do diesis minore)
  10. Walzer - Prestissimo (si bemolle maggiore)
  11. Walzer - Vivo (do maggiore)
  12. Polonaise (re maggiore)
  13. Finale (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1829 e 1831
Edizione: Kistner, Lipsia, 1832
Dedica: Therese, Rosalie e Emilie Schumann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Avrei molto da dir(Le) sul soggetto dei Papillons se Jean Paul non avesse spiegato queste cose meglio di me. Legga perciò le ultime pagine dei Flegeljahre»; sono queste le parole che Robert Schumann dedica a Henriette Voigt il 22 agosto 1834, qualche tempo dopo la stesura dell'op. 2. E due anni prima, in una lettera all'amico Castelli già aveva scritto evocando «il fantastico ballo mascherato dell'ultimo capitolo dei Flegeljahre... Il filo che collega questi Papillons è difficile da comprendere se l'esecutore non sa che sono nati da questa lettura». Nella mente del giovanissimo Schumann, studente a Heidelberg e a Lipsia, avevano certo avuto un posto di riguardo le letture di Jean Paul Friedrich Richter - più semplicemente chiamato Jean-Paul tout-court - scrittore ultraromantico per eccellenza, il più importante romanziere in Germania dopo i classici e soprattutto autore in grado di infiammare gli animi e l'immaginazione. Per Schumann era qualcosa di più di un autore letterario. Se affermava di aver imparato più contrappunto da lui che dalle lezioni del maestro, la somiglianza tra i due era espressa persino dall'assimilazione di un tipo di linguaggio coscientemente coltivato da Schumann, da un modo simile di pensare che toccava la sfera psicologica e personale, tanto da scrivere nel 1838 a Clara, riferendosi a Flegeljahre: «In un certo senso si tratta di un libro come la Bibbia. Tu troverai le parole: "Ascolta, Walt, io ti amo più di quanto tu mi ami" - "No", esclamò Walt, "io ti amo di più". Quando tu li leggerai pensa a me».

La composizione di Papillons op. 2 risale in gran parte al 1830, ma alcuni brani erano già stati concepiti l'anno precedente come schizzi e altri risalgono anche a epoca anteriore. Se Jean Paul era per Schumann il referente letterario, Franz Schubert rimaneva il caposaldo dal punto di vista dell'ispirazione musicale: le polonaises sono assai vicine a quelle dell'op. 75 del Viennese e i valzer, di cui Papillons è costellata, stilisticamente hanno contiguità di scrittura. Strutturalmente l'opera si compone di una serie di dodici numeri in cui ciascuno traduce un'idea poetica definita, ispirata da un passo del romanzo di Jean Paul, anche se non c'è un rapporto meccanico testo-musica. Piuttosto giocano di più le allusioni, i riferimenti indiretti, le citazioni, laddove anche il titolo, Papillons, alla fine sta per metamorfosi, cambiamento, passaggio, in un iridescente alone di rimandi e di cambiamenti di stato che riflettono l'essenza della vita: «Un ballo en masque è forse quanto di più alto la vita può imitare dal puro gioco della poesia» scrive lo stesso Jean Paul, e ancora: «Da un punto di vista superiore la storia dell'uomo può apparire come null'altro se non un lungo ballo mascherato». Come in un fantastico «gioco del doppio», l'uomo cerca dunque di comprendere se stesso nell'alterità, oltre la finzione o la maschera. E di «doppio» davvero si può parlare per gli stessi personaggi di Papillons-Flegeljahre: Walt e Vult, fratelli gemelli, ma due poli opposti; il primo biondo, timido e sognatore; il secondo bruno e insolente. Entrambi innamorati della stessa donna, la polacca Wina. In questa opposizione Schumann - come Jean Paul - vede lo specchio della propria personalità: a seconda che si lasci andare alla dolcezza delle effusioni poetiche o che al contrario emerga la sua natura ardente è Walt o Vult, così come, più avanti nel Carnaval op. 9 anche Eusebius o Florestano, o meglio: Walt-Eusebius e Vult-Florestano. D'altronde il legame poetico tra Papillons e il successivo Carnaval è forte ed evidente non solo nella fonte ispirativa - jeanpauliana, appunto -, ma più direttamente anche nei rimandi musicali - laddove alcuni temi-portanti giungono anche a coincidere.

L'argomento dell'ultimo capitolo del romanzo, intitolato Larventanz (Ballo in maschera), vede Walt e Vult partecipare a un ballo mascherato nel palazzo barocco di Zablotski, in una cerimonia dai contorni fantastici, irreali, in cui ogni gesto, ogni apparizione sarà anche suggestione e simbolo, ove si può considerare l'assimilazione della vita a un perpetuo ballo mascherato. Per Jean Paul, «la sala da ballo rappresenta per Walt come un cielo nordico solcato da una miriade di aurore boreali in grado di generare continue visioni, sconvolto dal roteare di figure in collisione e in contrasto...». Particolare importante della contiguità col testo di Jean Paul ci viene infine dal fatto che lo stesso compositore aveva segnato di suo pugno alcuni dei passi più rappresentativi del romanzo sulla copia personale di Flegeljhare - oggi conservata a Zwickau al Museo Schumann. I segni erano dei tratti verticali accanto a cui aveva giustapposto dei numeri che coincidono proprio con i quadri di Papillons. D'altronde, ancora Schumann scrive a Rellestab, sulla genesi delle musiche: «Ritroverai l'ultima scena di Flegeljahre - Il ballo in maschera, Walt, Vult, i costumi, Wina, il ballo di Vult, lo scambio delle maschere, le confessioni, la rabbia, le rivelazioni, la partenza affrettata, la scena finale e poi il fratello che se ne va -. Molte volte sono tornato sull'ultima pagina: la fine mi pareva essere solo un nuovo inizio. Quasi inconsciamente ero seduto al piano e così, uno dopo l'altro, apparvero i Papillons».

Poche, vaporose battute di Introduzione bastano per rendere chiara, intelleggibile la domanda che prevale su tutto, che domina il pensiero nella mente dei due protagonisti, Walt e Vult: l'occasione della festa, l'invito al ballo, il desiderio di conquistare Wina. È un galante, cavalieresco invito alle danze, questo, la cui plastica gestualità musicale è subito manifesta: la vibrante salita della melodia, per più di due ottave, traduce benissimo l'ardore e il desiderio espresso nel romanzo e qui attribuito a Walt in procinto di partire per il Palazzo. Subito di seguito si apre il primo quadro (n. 1), in cui Jean Paul - seguendo il testo sottolineato da Schumann - scrive a proposito dello stesso Walt: «uscendo dalla sua piccola stanza pregò Dio di poter essere cosi felice anche quando sarebbe rientrato. Si sentiva simile a un eroe assetato di fama alla sua prima battaglia». Ecco allora prender forma un flessuoso tema di Valzer che avrà un analogo nel n. 6 di Carnaval op. 9 e identificherà Florestano, lo specchio del Walt di Papillons. Senza dubbio sono qui presenti - nei respiri ardenti della frase, nelle pieghe più irruenti della melodia - piccoli gesti eroici e di coraggio, ma indeboliti in accordo con la natura di Walt, trasformati in meravigliosa estasi lirica.

Arrivando precipitosamente a Palazzo, Walt inizialmente si sbaglia, si ritrova in un'altra stanza e non nel salone delle danze. Sente il riverbero dei suoni delle festa e gli giungono, lontane, le voci degli invitati. Ecco allora un Prestissimo tumultuoso (n. 2), la corsa affannata, poi i rumori attutiti, gli echi del ballo. Nel cercare Wina e Vult, «la sua attenzione e ammirazione furono attratte da uno stivale fatato», che si mette a danzare marciando e ondeggiando da solo nel bel mezzo della sala. Anche qui Schumann segue con particolare precisione i passi segnati sul suo Flegeljahre: pesanti passi in ottava disegnano questo strano percorso magico (n. 3) e si concludono con un canone a due voci, il cui intreccio lascia trapelare un certo senso di divertimento e di compiacimento.

Ora Schumann passa alla descrizione del ballo: nel quarto episodio (n. 4), accanto a Walt compaiono nuovi personaggi. Si tratta di Speranza (Spes) che si defila rapidamente - in realtà Vult travestito -, di una giovane pastorella, e di «una semplice monaca», sotto le cui vesti si cela Wina, la giovane polacca corteggiata da Walt e Vult. Walt invece è mascherato da cocchiere con un copricapo da minatore, ma il suo personaggio sarà ben configurato successivamente, nel N. 6. Qui Schumann pare suggerire già in anticipo quello che sarà il successivo imbroglio, poiché tra poco i due fratelli si scambieranno gli abiti: dunque Vult-Spes sarà Vult cocchiere-minatore. La prima frase del Presto, col suo tema squillante, non è senza rapporto con la seconda del n. 6, che dipingerà il movimento di Walt - minatore, ma anche qui con tratti più raffinati e contenuti. Cosi anche l'ultima frase, che riprende il tema principale, ha una posa religiosa, e quasi evapora sublimando verso l'alto, un richiamo probabilmente voluto e relazionato alla suora-Wina. Come si vede, notevoli sono le complicazioni, i richiami, i sottintesi, i riferimenti anche indiretti, ma tutto ciò faceva parte della complessità del romanzo di Jean Paul che Schumann ammirava e trasferiva in musica.

Nel quinto episodio (n. 5) Walt ha appena danzato con la donna dei sogni, Wina: è la palpitante scena «del riconoscimento». I due giovani sollevano le maschere, i visi si sfiorano, gli sguardi si incontrano. Schumann scrive qui una delle sue più belle melodie, toccante, semplice, commossa: «Come due spiriti stranieri si guardavano l'un l'altro da dietro le maschere nere, come se fossero stelle in un'eclissi solare, e ogni anima vedeva l'altra lontana». Il tema cantabile descrive dunque una poetica scena d'amore, là dove l'incantato tema di polonaise corrisponde all'identificazione, al disvelarsi della polacca Wina, mentre un lirico controcanto progressivamente si fa avanti e avvolgendo il tema descrive lo stupore, il dialogo muto, l'emozione dei visi, il rivelarsi delle personalità.

Nel N. 6 Schumann abbandona per un momento l'ordine del romanzo - anche se le corrispondenze sono sempre precise - e descrive la scena dal punto di vista della psicologia di Vult. Walt era mascherato alla festa per metà da cocchiere e per metà da minatore; Vult ironizzerà molto su questo, talvolta tuffandosi nei saluti della quadriglia come un minatore maneggia il piccone, talvolta glissando orizzontalmente come un cocchiere conduce i cavalli. Schumann compie allora una sorta di caricatura con un primo tema incisivo e iterativo, scolpito su profondi accordi verticali che affondano con meccanica gestualità, mentre un secondo tema di particolare eleganza lascia intravedere la motricità spaziale e direzionata del cocchiere.

Il N. 7 descrive una supplica di Vult a Walt, durante la quale gli rivela il piano di scambiarsi d'abito. Vult, infatti, ancora vestito da Speranza, sta per rientrare in sala da ballo, ma, vedendo il fratello, lo trascina da parte proponendogli lo scambio. Walt acconsente, purché facciano presto: si leva una melodia invocante, quasi suono celestiale di arpa in forma di preghiera, seguita da una seconda idea dall'ondulato profilo melodico. La musica scorre autentica con tratti sacri, dunque sottilmente non lascia trasparire l'imbroglio - che sta per compiersi - in cui cade Walt.

Nella scena seguente (n. 8) i due fratelli saranno riconosciuti da molti invitati, ma non da Wina, che in quel momento non è presente. Tocca a Vult - celato sotto le vesti di Walt cocchiere - farla danzare, tanto che lei prosegue ignara nelle schermaglie amorose precedenti. Vult la intrattiene nelle danze, e ballando le sussurra galanti propositi, intercalando con lei qualche parola tipica in polacco e sfiorandone con le mani le delicate spalle. Jean Paul evoca l'emozione della ragazza scrivendo che queste parole in lingua madre sono come dei «papillons perduti venuti da un'isola lontana», che discendono sulle spalle della ragazza per sfiorarla come la sfiorano le mani del cavaliere. Un nobile tema di mazurca, con i suoi caratteristici accenti in controtempo, si staglia, e contrassegna Wina cosi come la polonaise l'aveva rappresentata nel N. 5. Quasi senza accorgerci siamo trascinati nel vortice delle danze, insieme alla cedevole Wina, conquistata dal fascino del suo aitante cavaliere.

D'improvviso, un Prestissimo (n. 9) spazza la scena, come un breve tourbillon su una fulminea idea sviluppata in canone: secondo l'annotazione di Schumann, rappresenta il precedente, tumultuoso e affrettato cambio d'abito dei due fratelli ed è quindi, rispetto alla vicenda, un piccolo passo indietro, una visione retrospettiva di ciò che è già accaduto.

Dopo il cambio d'abito, il passaggio del romanzo di Jean Paul esprime l'immagine di un Walt che, calato nelle vesti di Vult, si mostra incerto ed esitante nel rientrare nella sala da ballo, con un passo delicato e femminile, adeguato a Spes (l'abito di Vult scambiato). Walt esprime le sue considerazioni, ma «subito si dimenticò di se stesso, della sala e di ogni altra cosa, visto che il cocchiere Vult senza spiegazione (...) condusse Wina a capo della danza inglese e davanti al suo stupore disegnò un'artistica figura di ballo». La musica illustra questa scena con il N. 10 in tempo Presto: un tema di controdanza inglese è seguito da una citazione del motivo del cocchiere, variante quindi del n. 6, allusione scoperta all'inversione dei ruoli Walt-Vult. Poi un motivo di valzer prende il campo, distendendosi in un canto dal largo respiro, laddove le ondulate armonie in arpeggio del basso suggeriscono l'avvicinarsi e l'allontanarsi di cavaliere e dama nel volteggio delle danze. Verso la conclusione fa capolino anche il ricordo del tema di mazurca, quando Vult travestito aveva ballato con Wina: Vult in realtà ha ora compreso il vero sentimento di Wina, che ama Walt e non lui, e riconoscendo la sconfitta, lascia il ballo, suscitandone il ricordo e annegando la delusione nella rabbia.

Anche se Schumann non ha indicato una corrispondenza letteraria precisa per il N. 11, vi si può vedere la prosecuzione del quadro precedente. La rabbia di Vult si traduce nell'enunciazione massiva e in sforzato di un brillante tema di polacca, ancora una volta riferito a Wina. Dopo la rielaborazione del tema di polonaise, sentiamo un sinuoso scivolare di note in ottava, e a seguire, con la ripresa del tema, leggere acciaccature in ribattuto, mentre all'interno della sezione centrale piccole note cristalline si adagiano delicatamente intessendo delicati ricami su un raffinato tessuto madreperlaceo: sono le parole misteriose proferite in polacco, i papillons che «scendevano sulle spalle di Wina come fossero venuti da lontano».

Nel Finale (n. 12), il motivo conduttore è ricavato dal canto popolare Großvatertanz (in Carnaval presente nell'analogo finale, N. 20) qui simbolicamente la fine del ballo, l'uscita di scena degli invitati. Lo segue un secondo, semplice canto di commiato seguito dal ritorno scorciato del motivo principale. Viene anche evocata l'entrata trionfale di Walt nel motivo del valzer, che ora si distende in un'ampia arcata progressivamente sovrapposta al ritorno tematico del tema principale. Le luci si spengono, «gli schiamazzi della notte di Carnevale si stemperano, e la torre del campanile batte sei rintocchi» (una nota di la, ripetuta mentre un pedale si riverbera in lunga dissolvenza). L'affrettarsi della melodia restituisce l'immagine del disperdersi dei convitati, del confondersi nella notte delle figure in lontananza, mentre il silenzio cala sulla scena dopo le ultime, sfumate risonanze.

Marino Mora

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel periodo compreso tra il 1830 e il 1839, cioè tra le Variazioni sul nome ABEGG e i quattro Klavierstücke, apparvero i capolavori pianistici di Schumann, e precisamente le Kinderszenen, Papillons, Carnaval, la Kreisleriana, Studi sinfonici, la Toccata in do maggiore op. 7, i Phantasiestücke op. 12, la Fantasia in do maggiore op. 17, Arabeske in do maggiore op. 18 le otto Novellette op. 21 e il Faschingsschwank aus Wien op. 26 (Carnevale di Vienna) senza considerare, perché composti più tardi, l'Album per la gioventù (1848), le Waldszenen op. 82 (1848-'49) e i Gesänge der Frühe op. 133 scritti nel 1853. In tutti questi lavori si avverte con molta chiarezza ed evidenza formale quel modo di comporre tipico di Schumann, fatto di slanci ardenti e di improvvisi ripiegamenti, di impeti e di tenerezze, di introspezioni psicologiche e di sogni fantastici, contrassegnati da un idealismo di pura marca romantica. Un mondo poetico, insomma, punteggiato da stati d'animo diversi e più volte contrapposti, espressi sempre con straordinaria freschezza melodica e con una varietà armonica viva e frizzante anche nei sapori dissonanti.

Quando non ancora ventenne seguiva le lezioni di diritto e di filosofia all'Università di Lipsia, alternandole con lo studio diuturno e furioso del pianoforte, Schumann lesse con entusiasmo le opere di alcuni scrittori tedeschi della generazione romantica e in particolare mostrò la sue predilezione per il poeta Johann Paul Richter e per Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, personaggio eclettico e versatile sia nelle lettere che nella musica, oltre che studioso acuto e brillante del fenomeno dell'arte nella sua dimensione più intima e misteriosa. Specialmente Hoffmann esercitò un influsso profondo sulla mente di Schumann, che prese da lui il concetto secondo cui la musica parla il linguaggio più universale e in essa l'artista riversa tutte le sue passioni, sentimenti ed emozioni in un'organica coerenza spirituale con la vita. Più volte il musicista si ricordò nelle sue composizioni delle idee e delle invenzioni letterarie di ambedue gli scrittori: da Richter, che aveva creato nel suo romanzo Flegeljahre (Anni di scapigliatura) le due figure contrapposte di Walt e Vult, Schumann prese lo spunto per il suo binomio preferito, l'appassionato Florestano e il sognatore Eusebio, indicazioni fantasiose e simboliche della sua anima; a Hoffmann invece si richiamò quando scrisse la Kreisleriana nel 1838, in omaggio all'estroso ed eccentrico maestro di cappella Johann Kreisler descritto nei racconti del musicografo di Königsberg.

Il clima del romanzo di Jean Paul Richter si avverte nei Papillons, composti dal 1829 al 1831 e pubblicati nel 1832. Lo stesso Schumann del resto lo ammette in due lettere indirizzate a Rellstab (19-IV-1832) e a Henriette Voigt (22-VIII-1834), in cui c'è questo preciso riferimento: «Avrei molto da dirle sul soggetto dei Papillons se Jean Paul non avesse spiegato queste cose meglio di me. Legga perciò le ultime pagine dei Flegeljahre». Jean Paul nel capitolo citato scrive: «Un ballo en masque è forse quanto di più alto la vita può imitare nel puro gioco della fantasia», e ancora in alcune pagine successive: «Da un punto di vista superiore la storia del genere umano può ben apparire come null'altro che un lungo ballo mascherato». Nei Papillons infatti si intrecciano e si fondono in una mirabile sintesi di immaginazione due momenti diversi e apparentemente divergenti dell'animo umano: lo slancio e la tensione verso un'idea di superiore bellezza e armonia e la ricerca di un porto tranquillo dove le passioni si placano e la mente si abbandona a pensieri più intimi e delicatamente introspettivi. L'invenzione musicale è quanto mai varia e incessante nella sua caratterizzazione armonica; la frase melodica (stupenda quella iniziale che ritorna anche alla fine) coglie con estrema semplicità e naturalezza i vari momenti di questa trasfigurazione romantica in un quadro di rapide e incisive pennellate.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Iscrittosi nel 1828 alia facoltà di giurisprudenza a Lipsia, Schumann cominciò a frequentare assiduamente l'ambiente musicale e a prendere regolari lezioni di pianoforte da Wieck, trascurando gli studi giuridici. In quei mesi, durante i successivi viaggi, soprattutto in Italia, e in una breve parentesi ad Heidelberg, prima del suo ritorno a Lipsia nell'ottobre 1830, egli maturò la decisione di dedicarsi completamente e definitivamente alla musica. A quei periodo di inquietudine e di speranze risalgono alcune composizioni come le otto Polonaises per pianoforte a quattro mani e i sei Valzer per piano solo. Da questi due gruppi di composizioni Schumann (che nel frattempo aveva scritto le «Variazioni sul nome Abbegg» destinate ad aprire il suo catalogo) trasse nel 1831 i Papillons op. 2. Questi, sebbene ai primordi dell'arte e della vicenda creativa del loro autore, ne fissano in modo inequivocabile la cifra, o forse meglio la temperie espressiva, con l'inclinazione al fantastico, ai bizzarro, unita ad una singolare concezione del virtuosismo strumentale. Tre eventi fondamentali avevano predestinato l'evoluzione di Schumann in questa direzione: la conoscenza di Schubert e soprattutto dei suoi Ländlers, la lettura di Jean Paul e l'impressione suscitata in lui dall'ascolto di un concerto di Paganini. Il virtuosismo trascendentale di quest'ultimo, la capacità di attingere a fonti autoctone estranee alla grande tradizione propria di Schubert (e la relativa libertà di trattamento armonico) e infine la suggestione di una letteratura spiccatamente fantastica sono anche le premesse di Papillons come di tutta la prima e grandissima produzione pianistica di Schumann. Egli stesso indicò, a chi volesse interpretare il soggetto dell'opera, la lettura dell'ultimo capitolo dei «Flegeljahre» di Jean Paul. Qui vi è un ballo in maschera (sul tema delle farfalle) in cui i protagonisti si perdono, si ritrovano, si rincorrono in continuazione. Ricerca dell'identità, sdoppiamento, ebbrezza dominano i Papillons. Essi constano di dodici pezzi preceduti da cinque battute di introduzione. Nel numero 1 è esposto il tema in due parti, ciascuna di otto battute ripetute due volte. I brani successivi svolgono, più che variare, le premesse costituite o poste da questo tema di valzer e sono infatti tutti in tempo dispari, salvo il numero due che è un «prestissimo» in 2/4. L'ampiezza stessa va aumentando man mano che si va verso il finale. Il numero 11, dopo una brevissima introduzione, consta di tre sezioni, due vivaci ed una più lenta al centro. Nel finale il tema originario viene riesposto in una atmosfera di marcata cantabilità.

Bruno Cagli


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 128 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 15 maggio 1987
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 novembre 1977


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Ultimo aggiornamento 27 febbraio 2016