Quartetto per pianoforte in mi bemolle maggiore, op. 47


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Sostenuto assai (mi bemolle maggiore). Allegro (do maggiore - mi bemolle maggiore)
  2. Scherzo. Molto vivace (sol minore). Trio I et II
  3. Andante cantabile (si bemolle maggiore)
  4. Finale - Vivace (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: Lipsia, 24 - 30 ottobre 1842
Prima esecuzione privata: Lipsia, residenza di Voigt, 6 dicembre 1842
Prima esecuzione pubblica: Lipsia, Gewandhaus Saal, 8 dicembre 1844
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1843
Dedica: Mikhail Jurevic Wielhorsky
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

E' nel 1840 che, quasi improvvisamente, appare nella produzione schunianniana, una fioritura di lieder veramente sorprendente; ma non meno sorprendente è l'improvvisa produzione di opere strumentali da camera che con una rapidità incredibile, fioriscono l'anno seguente: i tre Quartetti dell'op. 41 sono composti in poco più di cinque settimane, il Quintetto op. 44 è composto in poco più di sei giorni: e cinque ne domanda il Quartetto con piano op. 47.

Due anni prima, Liszt aveva scritto al compositore consigliandolo di dedicarsi alla creazione di musica d'insieme, poiché era facilmente prevedibile che ben presto il pianoforte sarebbe divenuto un mezzo espressivo «troppo limitato per lui». Schumann aveva allora 31 anni, e non aveva ancora composto musiche strumentali da camera: seguì il consiglio (ma fu spinto fors'anche da un impulso interiore) con i risultati che abbiamo ricordato. Non seppe però rinunciare definitivamente al pianoforte: e, dopo i tre Quartetti per archi, ecco il Quintetto, ecco il Quartetto op. 47, dove il pianoforte ha un ruolo di primo piano, quasi di solista.

Il lavoro s'inizia con una Introduzione lenta, dove gli archi propongono una cellula melodica, ripresa come un eco misterioso e lontano dal pianoforte: poi tutti gli strumenti attaccano l'Allegro, ma non troppo fluido e scorrevole, d'una serenità quasi di sospensione quando, nel mezzo dello sviluppo, riappare con una espressione nostalgica la frase dell'inizio. Nello Scherzo con due trii è sensibile una vaga influenza mendelssoniana, e il primo trio potrebbe anche far pensare a una «romanza senza parole» se certe inquiete «sincopi» non tradissero chiaramente certo accento nervoso tipicamente schumanniano. Accento che riappare in certi grandi intervalli melodici dell'Andante cantabile, d'un lirismo chiaro e limpido. Il Finale (vivace), è a tre tempi, in stile fugato, su un tema lineare che deriva dal primo Allegro, ed al quale altri temi si uniscono e si alternano in un rapido e vivido gioco sonoro, dove sembra, per un momento, di sentir passare (ricordo incosciente) come una vaga reminiscenza del Concerto in la per pianoforte e orchestra di Mozart.

Domenico De' Paoli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Com'è noto, nella produzione compositiva di Robert Schumann il lavoro su alcuni ambiti tendeva a concentrarsi in periodi ben circoscritti. Il 1842 fu l'anno della musica da camera. In una di quelle incredibili eruzioni creative tipiche del compositore tedesco nacquero i tre Quartetti per archi op. 41, il Quintetto op. 44 e il Quartetto con pianoforte op. 47, oltre ai Phantasiestücke op. 88 per trio con pianoforte. Nel giro di pochi mesi Schumann si confrontò dunque con un panorama pressoché completo della musica da camera dell'epoca, cimentandosi con il genere più elevato della tradizione (quartetto per archi) e al contempo con le tipologie proprie delle nuove generazioni romantiche (quartetto e quintetto con pianoforte, pezzi di carattere). Nel caso del Quartetto op. 47, che come il Quintetto op. 44 mette in luce una dialettica tra la concezione autenticamente cameristica della scrittura e la sua virtuale proiezione orchestrale, la tecnica compositiva privilegia il contrasto e la giustapposizione di singole sezioni conchiuse, la molteplicità e la trasformazione delle idee tematiche, la combinazione ed elaborazione contrappuntistica (ispirata a Bach e Beethoven) rispetto allo sviluppo lineare e organico della struttura formale.

II primo movimento si apre con un'introduzione dove gli archi suonano, a mo' di corale sui tocchi del pianoforte, il motto (mi bemolle-sol-fa-sol-la bemolle) da cui prenderà poi avvio il lirico primo tema dell'esposizione, condotto dal pianoforte e subito seguito da una transizione con tema cantabile degli archi. Il pulsante secondo tema, esposto in canone, è presto contrappuntato, in controcanto agli archi, dalla melodia del corale luterano «Wer nun den lieben Gott läßt walten», portando così alla chiusa dell'esposizione. Inatteso è, a questo punto, il ritorno dell'introduzione come cerniera tra esposizione e sviluppo; in quest'ultimo Schumann elabora in imitazione il primo tema e poi anche l'idea cantabile della transizione. L'intensificarsi del discorso musicale cresce in un climax: sul momento culminante cade l'attacco della ripresa, con il primo tema amplificato in risonanza quasi orchestrale cui succede la ricapitolazione della transizione e del secondo tema. Il breve corale della chiusa dell'esposizione viene quindi esteso, prima che lo slancio di un'appassionata melodia del violoncello derivata dal tema della transizione segni l'inizio della coda.

Nel secondo movimento, lo Scherzo propriamente detto, leggero e fantastico, come da convezione articolato in due parti s'alterna a due Trii inframmezzati da una ripresa intermedia. In realtà, frammenti dello Scherzo ricompaiono, come schegge di memoria con funzione di interpunzione, tanto nel Trio I che ha la struttura di un canone ma l'andamento un po' indolente e ripiegato su se stesso, quanto nel Trio II. Qui la prima parte è tutta giocata sull'effetto sincopato, di sospensione, creato da accordi posti sul tempo debole della battuta, mentre la seconda parte è quasi tutta occupata dal ritorno delle figure dello Scherzo, anticipandone così la ripresa conclusiva, suggellata peraltro da un'arguta reminiscenza, al pianoforte, dell'inizio del Trio I.

Lo straordinario movimento lento è in forma di variazioni. L'esordio è in medias res: del resto la brevissima introduzione non è altro che l'anticipazione della chiusa del tema immediatamente successivo. Tema, questo, di bruciante intensità lirica che, cantato dal violoncello, nel corso del movimento sarà trattato alla stregua di un cantus firmus, come fondamento melodico per le variazioni (il riferimento a questo tipo di variazioni ha un deciso connotato retrospettivo per non dire arcaicizzante, ma appare riempito, per così dire, di contenuti poetici nuovi). La prima variazione vede il tema ripreso dal violino, mentre la seconda sottopone la melodia ai ricami sincopati del pianoforte, cui rispondono le frasi in controcanto della viola. Con la terza variazione, dove si verifica un cambio di metro e tonalità, si vive il momento di massimo allontanamento dal tema: è una libera variazione di carattere in cui il corale dei quattro strumenti assume un'intonazione religiosa che sembra rievocare l'espressività sublime di certe pagine beethoveniane. Si ritorna quindi alla regolarità dell'arcata tematica con la quarta variazione, dove la melodia è suonata dalla viola e il violino partecipa con agili fioriture (il violoncello, che qui tace, accorda intanto la sua corda più grave un tono sotto il normale, portandola da do a si bemolle). Nella quinta variazione dialogano violino e viola ed è il pianoforte a prodursi in agili fioriture; nella sesta la melodia ritorna al violoncello, chiudendo così il cerchio. Ma c'è ancora tempo per la sorprendente Coda: su un doppio pedale tenuto al grave dal violoncello (si bemolle in ottava) il canone degli altri strumenti anticipa lo stacco del movimento successivo (si bemolle-mi bemolle-do).

Nel Finale, libero intreccio di forma sonata e rondò, ritorna prepotentemente in primo piano il contrappunto. Già il primo tema si configura come un incisivo fugato, cui segue il tema cantabile della transizione affidato agli archi. Per una di quelle sottili relazioni allusive caratteristiche di Schumann, il secondo tema è derivato dalla seconda variazione dell'Andante cantabile e l'esposizione si conclude con una fugace riapparizione del tema della transizione. Lo sviluppo si apre poi con un ampio fugato condotto sulla testa del primo tema, che porta la tessitura cameristica a forzare i propri limiti fonici e timbrici in una dimensione paraorchestrale, dispiegando ondate in veemente crescendo fino all'apparire di una nuova idea contrastante derivata dal secondo tema, circolare e come avvitata su se stessa, percorsa da enigmatici cromatismi. L'effetto è quasi quello di un Trio e prelude all'inatteso attacco della ripresa, che presenta a sua volta alcune sorprese: cade il primo tema, del resto ampiamente utilizzato nello sviluppo, e la ricapitolazione incomincia col tema cantabile della transizione, che dallo sfondo passa ora, per così dire, in primo piano. Dopo il ritorno del secondo tema, la ripresa prosegue il gioco incrociato tra sfondo e primo piano con una ricapitolazione del fugato in grande climax. Una brusca fermata sul punto culminante non fa che accrescere la tensione, prima che tutta l'energia accumulata possa scaricarsi nella giubilante coda, dalla scrittura ancora una volta paraorchestrale e costruita come gli stretti di un fugato, prima che il congedo sia lasciato al riaffiorare in primo piano del tema cantabile della transizione.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il 1842 fu uno fra gli anni più fecondi della maturità di Schumann, ed interamente dedicato alla musica da camera: i tre quartetti op. 42, Il quintetto ed il quartetto con pianoforte e i Phantasiestücke per violino violoncello e pianoforte. L'attività compositiva fu negletta soltanto durante un'assenza di Clara per una tournée concertistica, seguita da pericolose avvisaglie di malinconia. Il Quartetto con pianoforte venne subito dopo il Quintetto, entrambi completati fra l'ottobre e il dicembre di quell'anno. La vicinanza di Mendelssohn, arbitro della vita musicale di Lipsia, informa questo periodo creativo. Schumann si avvicina alle grandi forme, ed emula il levigato contrappunto dell'amico. I temi o le mosse ritmiche restano però tipicamente schumanniani, ed a volte il loro taglio entusiasta, spontaneo ed improvvisatorio, si adatta a fatica entro gli schemi classici. Il Quartetto con pianoforte risente in parte di questi contrasti stilistici, superabili da parte degli interpreti adeguandosi attimo per attimo alla poeticità della frase musicale. Le carenze difatti sono soprattutto nella strumentazione, a volte con gli archi adoprati a semplice raddoppio del pianoforte, a cui Schumann continua ad affidare il suo estro fantastico. Ma l'incanto tematico ha ragione di ogni perplessità, così nel freschissimo primo tempo, in bilico fra l'appassionato e certa grazia protoromantica che rinvia alla natura incontaminata di Haydn e del primo Beethoven. Lo scherzo con doppio trio tratta in modo affatto originale il moto perpetuo mendelssohniano, incantevole la ricorrenza di una figurazione staccata, la quale ricuce i frammenti dispersi delle danze campestri. L'andante cantabile è specialmente struggente nella sua propensione ai salti di settima. Una figurazione pianistica si leva lieve in controtempo, e tutto il pezzo respira una continua invenzione, che dà alla forma variazione il colore della estemporaneità. Il finale è il tempo più debole. Pervaso da una retorica allegria, il cui incedere è condotto alla vittoria dallo zampillante gioco pianistico.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 4 febbraio 1966
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 247 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 marzo 1976


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Ultimo aggiornamento 1 novembre 2015