Sinfonia n. 2 in do maggiore per orchestra, op. 61


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Sostenuto assai. Allegro ma non troppo (do maggiore)
  2. Scherzo: Allegro vivace (do maggiore). Trio I et II
  3. Adagio espressivo (do minore - do maggiore)
  4. Allegro molto vivace (do maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1845 - Dresda, 19 ottobre 1846
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 5 novembre 1846
Edizione: Kistner, Lipsia, 1846
Dedica: Oskar, re di Svezia e Norvegia
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Prima di parlare di un qualsiasi lavoro sinfonico di Schumann è d'obbligo trattare, almeno con un accenno, alle questioni ancora controverse del valore della sua tecnica orchestrale e del "beethovenismo": è però evidente che le due questioni così strettamente si legano da ridursi a una. Per un genio del colore e della sfumatura quale Schumann è nei lavori per il pianoforte, si diceva già nell'Ottocento che il suo stile orchestrale è impersonale e uniforme e che i dislivelli espressivi e l'aspra sonorità di molti suoi "pieni" d'orchestra dipendano da un'insufficiente imitazione di Beethoven: e proprio la Seconda Sinfonia è forse la sua opera sinfonica che più dipende da Beethoven, almeno esteriormente, come vedremo.

Perciò da oltre un secolo grandi direttori, i virtuosi dell'effetto ma anche quelli stimati per il rigore, tra i maggiori Mahler, Weingartner, Nikisch, Celibidache e altri, hanno corretto, dimagrito, arricchito, insomma hanno "migliorato" l'orchestra di Schumann: Mahler fece addirittura 352 correzioni, tra piccole e sostanziali, alla Seconda Sinfonia (e più di 400 alla Terza e alla Quarta)! Ma già alla prima esecuzione della Seconda al Gewandhaus di Lipsia diretta da Mendelssohn nel novembre 1846, Schumann fu insoddisfatto, e perfino irritato dal lavoro dell'amico fedele, ma poi egli stesso intervenne sulla partitura manoscritta e corresse. E perfino Eduard Hanslick, che aveva Schumann come suo artista prediletto tra i contemporanei (lo considerava il baluardo contro la corruzione musicale dei "neotedeschi"), era perplesso di fronte alle Sinfonie: e la Seconda era per lui un lavoro significativo, sì, ma «nelle singole parti disuguale come elaborazione e disuguale per valore». E questo era un giudizio di forma e di tecnica. Ora, che la sapienza e la sensibilità orchestrali di Schumann siano state pari a quelle dei romantici suoi contemporanei, i vicini a lui nello spirito o quelli lontani, nessuno vuole affermare, ma direi, però, che ci è chiaro che le incertezze e gli squilibri della sua scrittura strumentale nascono propriamente non da inesperienza tecnica (Schumann era artista troppo serio e grande per operare improvvisando), ma da una sovrapposizione dei suoi progetti sul sinfonismo, progetti di continuità formale e anche di innovazione poetica; nascono cioè da una volontà creativa, intimamente contraddittoria, di ordine classico e di eccessi passionali. Come era naturale, in lui la desiderata oggettività delle "grandi forme" strumentali, studiate e ammirate, e il grande pathos soggettivo avevano direzioni opposte.

Segno di queste contrastanti attitudini nel genio di Schumann è anche la singolare disposizione cronologica dei suoi lavori maggiori, che si dispongono a gruppi: come se le intenzioni dell'artista si siano concentrate di volta in volta sui caratteri propri e sulla tecnica di un solo "genere" musicale (ed è quello che probabilmente avvenne). Così, ad esempio, come gli anni tra il 1835 e il '39 furono gli anni del pianoforte, come il 1840 fu il celebre anno dei Lieder (138, quasi tutti capolavori!), nel 1841 e nel 1845-46 ci furono soprattutto esperimenti sinfonici. La Seconda Sinfonia fu abbozzata nel dicembre 1845 (dopo il Concerto in la minore), completata nel 1846, ed eseguita da Mendelssohn, abbiamo visto, al Gewandhaus di Lipsia il 5 novembre 1846.

Schumann stesso dichiarò più di una volta che la sua Seconda aveva segnato la vittoria artistica di terribili sofferenze interiori (quelle che poi lo avrebbero abbattuto). Realmente nella musica noi sentiamo il combattimento psichico, l'impeto di una forza interiore e l'esultanza della vittoria, anche in qualche segno di esteriorità e di enfasi, di stile "beethoveniano" imposto all'esterno su sentimenti del tutto differenti dall'eroismo. Perfino l'impianto tonale in do maggiore, simbolo di solidità e sicurezza, ci suona a momenti un vanto poeticamente ingenuo più che una necessità espressiva. Le qualità alte di questa musica non sono le sue architetture o la sua oratoria sonora, sono invece le originalità formali, perfino le genialissime incoerenze, che avvicinano questa che si proponeva di essere una Sinfonia classica, a un poema sinfonico romantico (e come esempio della consapevole indipendenza di Schumann nella scrittura sinfonica ricordiamo anche che, in un primo momento, la sua Quarta Sinfonia egli voleva intitolarla "Sinfonia Fantasia").

Nella costruzione i due Allegro, il primo tempo e l'ultimo, si corrispondono simmetricamente, nella libertà delle forme e nell'entusiasmo dello spirito: anzi, il principale dei temi, quello con cui la Sinfonia si inizia (un intervallo ascendente di quinta: do/sol), compare anche nel Finale e lo conclude. In tutti e due i casi il regolare piano tematico è scomposto dal sopraggiungere di motivi e di schemi ritmici nuovi, secondo una dinamica non propriamente dialettica ma, si direbbe, di umori e di improvvisazione.

Lo Scherzo, un "perpetuum mobile", è tutto percorso da un'energica agitazione come da una bufera di vento primaverile (primi violini con l'allegra risposta di flauti e fagotti). Nei due Trio, separati dalla concitata ripresa del tema aereo, è ammirevole la capacità di distinguere con il ritmo, e con i colori due stati d'animo tra loro simili di serena letizia. Anche nella conclusione dello Scherzo riappare il tema di quinta ascendente.

L'Adaglo espressivo in do minore è il momento alto di tutta la Sinfonia (o meglio, è uno dei grandi momenti lirici di Schumann) e ci dona una di quelle melodie struggenti (violini primi, poi l'eco malinconica dell'oboe), che portiamo con noi a lungo dopo l'ascolto. È un canto a intervalli in alternanza larghi (di sesta e di settima) e brevissimi (un semitono), ascendenti e discendenti, che instancabilmente ritorna con un respiro sempre più ampio e commosso, percorso da brividi di felicità (le delicate ornamentazioni dei legni sopra il canto degli archi). Questa è musica del grande musicista-poeta che tutti amiamo.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il periodo immediatamente successivo all'arrivo dei coniugi Schumann a Dresda (3 ottobre 1844) vede Robert e Clara impegnati nello studio del contrappunto: mentre da lezione di contrappunto a Clara sul Cours de contrepoint di Cherubini, Schumann scrive alcune piccole fughe; soltanto negli ultimi mesi del 1845 compaiono nel diario (Haushaltbuch) alcuni appunti sulla composizione di una sinfonia. Il primo movimento verrà completato il 17 dicembre; l'opera sarà tracciata in ogni sua parte nei dieci giorni successivi. A differenza della rapidità dimostrata in precedenza, Schumann impiega in questo caso dieci mesi per raggiungere la versione definitiva dell'orchestrazione: iniziata soltanto il 12 febbraio 1846, essa viene interrotta molte volte a causa di un disturbo al nervo acustico (la sensazione di udire un suono continuo) di cui è sofferente in quel periodo. La prima esecuzione ha luogo al Gewandhaus di Lipsia il 5 novembre del 1846, sotto la direzione di Mendelssohn.

Anche in questo caso la disposizione e le relazioni tra i temi sono del tipo descritto per le sinfonie precedenti. Il motto iniziale (corni, trombe, tromboni) viene riproposto nella coda del primo e dell'ultimo movimento e alla fine dello Scherzo; l'introduzione lenta contiene inoltre altri spunti tematici ripresi nell'Allegro seguente. Nel finale, che dal punto di vista tematico si riferisce sia al primo Allegro che all'Adagio (si veda ad esempio la relazione tra il secondo tema del finale stesso e il motivo primario della melodia dell'Adagio espressivo), viene introdotto verso la conclusione un nuovo tema lirico, al posto del primo elemento tematico. Questa melodia è simile a quella del Lied An die feme Geliebte di Beethoven, già usata da Schumann nella Fantasia op. 17 per pianoforte secondo una tecnica precedentemente adottata nel primo movimento della Sinfonia in si bemolle maggiore e nel primo e nell'ultimo , movimento della Sinfonia in re minore. Schumann ammetterà in una lettera che questa sinfonia, e soprattutto il primo movimento, risentono della particolare situazione di convalescenza in cui si trovava: «Riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Il terzo tempo (Adagio espressivo in 2/4) snoda un'estesa cantilena, che comincia in do minore e termina in mi bemolle maggiore, dapprima intonata dai violini poi dall'oboe, assumendo accenti via via più malinconici; essa è seguita da un episodio contrappuntistico e ritorna alla fine, per concludere in do maggiore il movimento. Ma le tracce del maggiore impegno contrappuntistico sono diffuse un po' dovunque nella composizione.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Frutto doloroso di anni tormentati (1845/46), nei quali Schumann soffriva di depressioni, insonnia, rumori ossessivi nell'orecchio, la Seconda Sinfonia è un lavoro sinfonico decisamente singolare, basti pensare alle particolarità dello Scherzo, oppure ai due episodi che, nel primo e ultimo movimento, fanno rispettivamente da introduzione e coda, ma che per la loro ampiezza travalicano tali funzioni, diventando dei quadri autonomi a se stanti. Tuttavia, l'aspetto formale cade in secondo piano davanti all'eccezionale stato di grazia creativo del compositore, capace di toccare punte altissime di poesia che, a dispetto di quanto scritto da vari commentatori, lasciano spesso trasparire un radioso senso di pace e ottimismo, quasi a voler travalicare le durissime circostanze di vita di quel periodo infelice.

Il lunghissimo episodio iniziale del primo movimento si apre con un fraseggio melodico degli archi quasi impalpabile, che a momenti diviene struggente e toccante, mentre gli echi lontani degli ottoni danno una straordinaria profondità spaziale all'impasto orchestrale. Il discorso quindi si anima con tremoli degli archi, mentre una breve cellula ritmica rimbalza tra le varie sezioni. Stacchi accordali attraversati da frammenti melodici portano quindi al sommesso attacco del primo tema, caratterizzalo da un ostinato ritmo puntato ad accordi che si dispiega in crescendo, mentre il secondo gruppo tematico conferma un delicato inciso melodico già iniziato nel precedente episodio di transizione. Nello Sviluppo, alcune elaborazioni di elementi dell'Esposizione sono seguite dalla lunga e ostinata reiterazione di un frammento di tre note, punteggiato dai nervosi incisi degli archi. Il discorso musicale continua quindi con una progressiva ascesa verso il climax espressivo, tra l'incedere fremente degli archi e potenti accordi suonati sul tempo debole. Risuonano quindi frammenti tematici, mentre un pedale di dominante porta a una Ripresa tradizionale, completata da un'ampia coda conclusiva.

Fuori dagli schemi abituali, per la sua collocazione come secondo movimento e per l'uso di un tempo non ternario (2/4), lo Scherzo si apre con una funambolica corsa dei violini, punteggiala con virtuosismo da incalzanti accenti orchestrali. Un repentino cambio di scena porta a un delicato dialogo tra fiati e archi (Trio I), dall'andamento ritmico particolarmente flessibile. Il ritornello dello Scherzo è seguito da un ulteriore mutamento d'atmosfera, che conduce alla sonorità pastosa e morbida degli archi legati (Trio II), il cui tema dà vita a una breve fuga iniziata dall'oboe. Lo Scherzo da capo e una coda finale completano infine il movimento.

Pagina di straordinaria intensità espressiva, l'Adagio seguente si apre con un canto triste e melanconico dei violini, sulla cui chiusura fiorisce la struggente risposta in maggiore dell'oboe. I fiati introducono quindi un sereno e pacato episodio, disegnato dagli archi e intercalato da brevi terzine che sembrano aprire squarci di luce all'orizzonte. Torna quindi il tema iniziale con brevi imitazioni e una variazione melodica dei violini, seguita da un episodio in veste di fuga, sulla cui conclusione i legni ridisegnano mestamente il tema principale. I tre episodi centrali vengono quindi riproposti trasportati di tonalità per poi chiudere con una breve coda finale.

Nell'ultimo movintento, un fulmineo stacco iniziale introduce l'esuberante marcia del primo tema mentre una sinuosa e rapidissima linea dei violini crea un tappeto sonoro su cui si innesta la melodia del secondo tema, che ripropone in altra veste il tema dell'Adagio. Da una Ripresa ridotta del primo tema parte invece lo Sviluppo, nel quale lo stacco di inizio movimento viene utilizzalo per dar vita a un ampio episodio intenso e drammatico. Un'improvvisa e tagliente sortita del clarinetto ripropone l'incipit del secondo tema rovesciato, ripreso allo stesso modo dai violini e riproposto nella sua forma originale solo al termine dell'episodio. La terza parte del movimento è invece un ampio episodio autonomo, costruito su una semplice ma accattivante melodia, proposta dai legni e poi ripresa dai violini. Successivamente, un lungo pedale di dominante, sotteso dal rullo dei timpani, si ferma su un vigoroso accordo sospensivo che sembra voler annunciare un attacco potente e deciso, ma che viene invece suggestivamente smentito da una dolce ripresa del tema principale. È l'inizio di una discreta ma inesorabile apoteosi del tema siesso. completata da un'ampia coda fatta di successioni accordali, che si chiude tra sorprendenti percussioni dei timpani.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Robert Schumann non aveva fatto, come Adrian Leverkühn, il patto col diavolo, ma, certo, si era legato con qualcosa di altrettanto insidioso per la sua anima: la letteratura e la filosofia (gli studi giuridici, si sa, non portano mai alla follia). La sua malattia, a differenza di quella del musicista manniano, si chiamava Jean Paul Richter, Hoffmann, Kant, Fichte, Schelling, Hegel. I sintomi, in fondo, gli stessi di Leverkühn: un processo di ambivalenza, difficile da districare e che conduce il soggetto alla disintegrazione e alla pazzia (certo a Johann Strauss, che il patto lo strinse col signor Biedermeier, non successe nulla del genere).

Schumann adolescente fu incerto, come Wagner, tra musica e letteratura: «Che cosa proprio sono — annota — non so io stesso ancora chiaramente». Quando a vent'anni si decise per la musica il suo dualismo era già costruito, e nella forma che il Romanticismo più «high-brow» prevedeva; in quella, cioè, di un profondo contrasto interiore, di un inguaribile dissidio, di un'ansia di fermare l'attimo, di chiudere l'infinito nel finito. E proprio lo Hoffmann sosteneva che la musica era la più romantica delle arti, in quanto esprimeva l'infinito.

Ora, se Schumann fosse stato più fortunato (cioè meno intelligente, meno coerente e più superficiale), una volta scelta la musica, poteva sperare di liberarsi di un così incomodo «alter ego», ma, non essendo Mendelssohn, quel dualismo gli si trasferì naturalmente nel mondo dei suoni. Di questo dualismo egli ebbe tanta coscienza da simboleggiarlo — scrivendo i suoi saggi — nelle due figure di Eusebio e Florestano: ossia l'aspetto sognante-contemplativo e quello fervido-appassionato della sua anima. E anche questo era un procedimento del prediletto Jean Paul, che aveva avuto l'idea, appunto, di sdoppiare un personaggio nelle due figure dei fratelli Walt e Wult.

E nella musica di Schumann, infatti, il dissidio è presente nell'opposizione di melodie e ritmi, disegnati con estrema concretezza, con un vigore che è il segno di una forza consapevole, libera, ma non sfrenata. Il tarlo di questo «Warum?» (Perché?) è già presente nel diario di adolescente: «lo non posso mai proseguire logicamente il filo, che ho forse ben annodato», scrive Schumann, e, infatti, molto spesso le singole pagine della sua musica sono tra loro indipendenti, allineate soltanto secondo un'elementare dialettica di contrasti espressivi, una tensione all'unità, dell'universo magari, del non-io comunque.

Nell'educazione artistica di Schumann tengono lo stesso posto poeti e musicisti. Nella sua musica la letteratura ha grande spazio: nei «Lieder» (la sfera di Eusebio) ci sono Goethe, Heine, Rückert, Platen, Möricke, Eichendorff, Chamisso, Shakespeare, Byron, Burns, Shelley (andrebbero studiate meglio le «liaisons dangereuses» di Schumann con la lirica tombale inglese) e nel «Manfred» o nelle «Scene dal Faust» (la sfera di Florestano) ancora Byron e Goethe.

Eppure questo rapporto 'frana', talvolta, anche in 'matrimonio morganatico' e in 'flirt inconsulto'. «Da Jean Paul — dichiara Schumann — ho imparato più contrappunto che dal mio insegnante di musica» (aveva ragione quel Mestro Raro, che era Friedrich Wieck, a non volergli dare la propria figlia in moglie!). Arriva, addirittura, a proporre ai musicisti di foggiare il linguaggio mediante lo studio di Shakespeare e Jean Paul. Ora, per dare un'idea, codesto Jean Paul nel «Flegeljahre» scrive: «La musa porta lievemente sull'eterno specchio — delle acque infuocate dal Vesuvio — la disperazione del mondo: e gli infelici vi guardano dentro e sono anch'essi rallegrati dal dolore». Si è mai visto banalizzare più 'allegramente' il concetto romantico di liberazione dell'artista dall'enormità del dolore, dal «Weltschmerz»? Ma, per Schumann, Jean Paul era adolescenza, fantasia, sogni. E, una volta non realizzato, quel mondo avrebbe finito per dilacerare il musicista.

Nel periodo in cui egli avverte i primi sintomi della malattia, che doveva, appunto, dilacerarlo, e cioè dalla fine del 1845 all'inizio del 1846, scrive la «Sinfonia n. 2 in do maggiore op. 61», che, cronologicamente, è però la terza. «L'ho scritta — sono parole dell'autore — quando ero ancora molto sofferente, e mi sembra che lo si debba avvertire all'ascolto; riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Per questa tensione compositiva l'opera è stata avvicinata al clima beethoveniano, anche se è ugualmente innegabile, che, nell'elaborazione, risente dell'eleganza e dell'abilità contrappuntistica di Bach.

La Sinfonia si articola in quattro movimenti. Il brano introduttivo è quasi una presentazione del carattere di tutta l'opera ed è, forse, la parte più interessante del primo tempo, che, fra l'altro, ricorda l'inizio dell'«Eroica». Il secondo movimento, «Allegro vivace», in cinque parti, contiene tre «pièces de caractère». Lo «Scherzo», per esempio, appartiene, con il movimento oscillante in semicrome di violini, al tipo «perpetuum mobile», ed è intervallato da due episodi in Trio, il primo dei quali si presenta leggero e amabile; mentre il secondo sorprende per la sua tecnica 'polifonica' — è, infatti, una melodia 'corale' — e per la sua trasparenza, che fa pensare alla musica da camera. Il terzo tempo, «Adagio espressivo», in do minore, solcato di presagi (e dagli accenti quasi mahleriani) è, senza dubbio, uno più bei movimenti lenti di Schumann. L'inizio del tema, di ampio respiro, sembra derivato dal «Largo» del Trio dell'«Offerta Musicale» bachiana. Il tema più espressivo dell'«Adagio» appare anche in qualche momento della prima parte del tempo finale, creando, quindi, un contrasto con il tema principale 'ditirambico' di questo movimento; ma una nuova idea tematica domina la seconda parte, e, fondendosi con i motivi dell'Introduzione della Sinfonia, si eleva quasi a inno, concludendo l'opera con un ricordo del Lied «All'amata lontana» di Beethoven, in un clima di gioiosa esaltazione.

Anche su questa Sinfonia si sono addensati, fin dal suo apparire — fu eseguita, per la prima volta, da Mendelssohn il 5 novembre 1846 — i fulmini dei censori: Schumann non sapeva scrivere per l'orchestra, faceva (forse) fare all'oboe, ciò che di solito fa il violino; sbagliava, magari, nella scrittura degli strumenti traspositori; non dava equilibrio tra le varie famiglie di strumenti, ecc. E va bene. Nella Maestà di Duccio non c'è prospettiva; abbonda invece, e perfetta, nei quadri di Pietro Aldi o di Antonio Ciseri. E l'epistolario più sconvolgente della nostra letteratura è quello di Caterina da Siena, che era analfabeta.

Lamberto Bartoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 21 marzo 2009
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato allo speciale n. AMS 069-70 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 1 aprile 1977


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Ultimo aggiornamento 1 aprile 2019