Sinfonia n. 4 in re minore per orchestra, op. 120 (in due versioni)


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Ziemlich langsam. Lebhaft (re minore - re maggiore)
  2. Romance - Ziemlich langsam (re minore - re maggiore - re minore)
  3. Scherzo. Lebhaft (re minore). Trio (si bemolle maggiore - re minore). Etwas zuruckhaltend (si bemolle maggiore)
  4. Langsam (re minore). Lebhaft. Schneller. Presto (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: prima versione Lipsia 9 settembre 1841; seconda versione Düsseldorf: 19 dicembre 1851
Prima esecuzione: prima versione Lipsia, Gewandhaus Saal, 6 dicembre 1841; seconda versione Düsseldorf, Neues Theater, 30 dicembre 1852
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1853
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonia in re minore di Schumann fu composta durante l'estate del 1841, in quattro giorni del mese di settembre sull'abbrivo dell'impetuoso slancio creativo che aveva indotto il trentunenne musicista a scrivere di getto in gennaio, in soli tre giorni, la Prima Sinfonia in si bemolle maggiore op. 38, in febbraio la Sinfonietta in mi maggiore (che, riveduta nel 1845, avrebbe assunto il nome di Ouverture, Scherzo e Finale), e in seguito un abbozzo di una sinfonia in do minore, il cui materiale tematico fu trasferito poi ai Bunte Blätter op. 99 per pianoforte, nonché la Fantasia in la minore per piano e orchestra (che sarebbe poi confluita nel Piano-Concerto op. 54). A differenza della Prima Sinfonia, applauditissima il 31 marzo 1841 a Lipsia, nell'esecuzione diretta da Mendelssohn, l'accoglienza tributata alla Sinfonia in re minore il 6 dicembre dello stesso anno, pure al GEWandhaus di Lipsia, sotto la bacchetta di Ferdinand David, fu assai poco calorosa, inducendo l'autore alla «consapevolezza che le opere scritte con tanta precipitazione abbisognavano di rielaborazioni, specie nell'orchestrazione», secondo una lettera alla moglie Clara. Fu così che tale lavoro venne dato alle stampe soltanto nel 1853 a Düsseldorf come Quarta Sinfonia e col numero d'opus 120, mentre nel frattempo erano state composte nel 1845 una Sinfonia in do maggiore (denominata Seconda, col numero d'opus 61) e nel 1851 un Sinfonia in mi bemolle maggiore (cioè la Terza, «Renana» op. 97), entrambe pubblicate senza ulteriori ripensamenti. In realtà la revisione cui Schumann sottopose la Sinfonia in re minore si limitò ad una limatura di certe parti strumentali, specie di fiati, non interferendo affato nella struttura originaria della composizione, la cui singolarità non risiede tanto nell'apparente, rapsodico andamento esteriore - a proposito del quale l'autore era stato a lungo incerto se chiamare il lavoro «Sinfonia» o «Symphonische Phantasie» (Fantasia sinfonica) o «Introduzione, Allegro, Romanza, Scherzo e Finale in un solo tempo» - quanto nell'esemplare organicità dello schema, un esito senza precedenti per Schumann, che pure è stato il teorico della soggettiva liberazione di emozioni e sentimenti in nome della romanticissima esaltazione dell'espressione artistica. Il materiale tematico della Sinfonia in re minore, nei quattro movimenti che si succedono senza soluzione di continuità, deriva da tre motivi presenti nella lenta introdutione, costituito il primo dalla melodia iniziale, rappresentato il secondo dal successivo disegno in semicrome dei violini, raffigurato il terzo dagli accordi ritmati dei legni. Dal punto di vista lessicale, Schumann elabora, nei vari episodi della Quarta, tale materiale motivico in modo da sintonizzarlo con l'espressione dei più svariati e contrapposti stati emozionali, trascorrendo dall'inquietudine, intrisa di atmosfere demoniache, dell'Allegro alla struggente e nostalgica effusione della Romanza, all'incalzante vitalità dello Scherzo, al clima idilliaco del Trio ed alla trascinante baldanza del Finale: il tutto comunque secondo coordinate di intensificazione espressiva proprie della Romantik.

L'autentica novità della Sinfonia in re minore è però di carattere strutturale, inerendo ai nessi instaurati all'interno dei movimenti stessi, per l'intervento dell'autore sul linguaggio in funzione di un'unitarietà fondamentale, prospettata secondo concezioni del tutto originali. Lo schema unitario della Quarta cioè non si estrinseca soltanto in una semplice sutura tra i vari tempi, come in parte già era stato realizzato da Beethoven, da Mendelssohn o da Berlioz, ma risulta predeterminato dall'impiego «di un materiale tematico derivante da un'unica cellula e con l'adozione di una tonalità cioè il re, maggiore o minore, sostanzialmente immutata, salvo l'inizio della Romanza e del Trio», come ha osservato il Young, il quale poi precisa che «nelle prime battute dell'Introduzione, Schumann ha collocato il nucleo generatore della Sinfonia, facendo derivare dal disegno degli archi sulla quarta corda il tema principale del primo movimento, il soggetto secondario del secondo tempo e, nello Scherzo, il tema del Trio; dal suo rovescio, discende il primo soggetto del secondo movimento, oltre al tema dello Scherzo; da una nota puntata viene dedotto un disegno - presente pure nell'Introduzione - di note puntate, da cui dipendono il soggetto secondario del primo movimento e il tema principale del Finale». Anche altri motivi e frammenti melodici, che si affacciano successivamente nel corso della Sinfonia in re minore, appaiono sempre interrelati reciprocamente, entro il rigido schema concettuale preordinato dall'autore, che spesso appare intenzionato ad allontanarsi dalla forma della sinfonia tradizionale, per esempio con l'omettere, nel primo movimento, la ripresa, contemplata invece nell'ultimo tempo, quando però non ricompare il tema principale. Tale proposito sembra però contraddetto dal fatto che Schumann ha mantenuto, seppur formalmente, la suddivisione in quattro parti della sinfonia - con i due movimenti estremi elaborati secondo la forma sonata e al centro un tempo lento ed un tempo veloce - quasi volesse rispettare un retaggio, seppure esteriore, della sinfonia convenzionale, nel momento stesso in cui ne innovava la struttura dall'interno, secondo il principio dell'unità tematica. Al riguardo sembra però opportuno anche ricordare che il Werner ha invece osservato «con quale precarietà, rispetto alle sue asserzioni, l'autore ha legato tra loro i movimenti della Quarta, perché il secondo tempo si riallaccia al primo, di per sé già concluso, soltanto in ossequio a un dato schema teorico programmato, mentre il terzo è legato al secondo grazie all'artificio della sospensione alla dominante, il quarto infine al terzo soltanto in virtù di una Coda, dall'evidente forzatura». Altra questione assai interessante è quella dell'orchestrazione perché alcuni critici ebbero ad obiettare un'eccessiva presenza di «raddoppi», lamentando quindi una certa «povertà» di strumentazione: e della Quarta furono realizzate, specie sul finire del secolo scorso e all'inizio del Novecento, varie versioni rivedute. L'opinione corrente al giorno d'oggi è invece di segno contrario: normalmente viene eseguita la stesura dell'autore, nella fondata convinzione che l'orchestrazione di Schumann rappresenti precisamente il suono cui egli pensava.

Gli studi più recenti infine ribadiscono la tesi che il sinfonismo schumanniano è una delle chiavi di volta della creatività orchestrale del XIX secolo, per le influenze suscitate sulle generazioni successive di compositori, da Franck a Bruckner a Mahler ecc., tutti stimolati dall'anelito di Robert Schumann a rappresentare il mondo dei sentimenti in una forma fantastica e dall'inesausta sua lotta per il rinnovamento della musica.

Lugi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sinfonia n. 4 è la seconda (cronologicamente) composta da Schumann. Essa venne iniziata il 30 maggio del 1841 (appena dieci giorni prima egli aveva terminato la Fantasia per pianoforte e orchestra) e portata a compimento il 9 ottobre dello stesso anno. Il compositore revisionerà la partitura dieci anni dopo. La prima esecuzione della versione del 1841 ebbe luogo a Lipsia il 6 dicembre dello stesso anno. Ottenne però un parziale insuccesso che spinse il compositore a ritirarla dalla circolazione, per riproporla, rivista, a Düsseldorf il 3 marzo del 1853. Schumann considerava la revisione, ovviamente, come un grande miglioramento, ma numerosi, al contrario, sono i pareri negativi (tra cui quello, illustre, di Brahms). Sinteticamente si può dire che la revisione migliora la logica, la concezione strutturale della sinfonia ma ne peggiora, appesantendola, l'orchestrazione. Ancor più che nella Prima Sinfonia appare in questa, come centro del pensiero compositivo schumanniano, il lavoro di interrelazione tra i temi. I confini della forma classica non sono congeniali a Schumann, e ciò è dimostrato anche dal fatto che nella revisione egli richiede l'esecuzione dell'intera sinfonia senza interruzioni tra i diversi movimenti. Garantita l'unità mediante i rimandi tematici, l'opera si svolge secondo le linee di una fantasia di ampie proporzioni,  seguendo un criterio formale che anticipa piuttosto le forme cicliche usate dai tardo-romantici.

L'intera Sinfonia n. 2 si basa sullo sviluppo di due brevi frammenti tematici presentati nell'Introduzione (il primo da fiati, archi e timpani, il secondo dai violini primi). Il primo frammento tematico riapparirà leggermente variato nella Romanze e nel Trio dello Scherzo; il secondo costituisce, di fatto, sia ilprimo che il secondo soggetto del Lebhaft che segue l'Introduzione (prima in re minore, poi nel relativo maggiore, fa), e proprio dal suo sviluppo viene derivato il ritmo di marcia del finale (nella revisione del 1851 l'interrelazione tematica di questo passaggio sarà spinta ancor più a fondo).Tranne che per l'inizio della Romanze e per il Trio dello Scherzo, il centro tonale è sempre basato sul re (alternando maggiore e minore). Si può notare in questa, che senza dubbio è l'opera più importante di Schumann in campo sinfonico, un'influenza del Beethoven della Quinta Sinfonia (si osservi in particolare la transizione, Langsam, fra lo Scherzo e il finale).

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Sebbene sia stala scrina nello Slesso anno della Prima, la Quarta Sinfonia ebbe, rispetto a quella, una genesi più lunga e tormentala, tanto che, dopo il suo completamento tra il maggio e il settembre 1841 e una prima esecuzione il 6 dicembre dello stesso anno, salutata da scarso successo, Schumann decise di chiuderla momentaneamente in un cassetto. Solo dieci anni più lardi, nel 1851, egli vorrà ritoccarne la struttura e soprattutto l'orchestrazione, dando a essa la sua veste definitiva; cosicché, questa, che cronologicamente è la seconda sinfonia di Schumann, è stata catalogata come Quarta Sinfonia. Opera impostata sull'uso trasversale del materiale tematico che ritorna ciclicamente nei diversi movimenti, la Quarta vede tra i suoi rifacimenti postumi del 1851 il tentativo dell'autore di collegare con continuità i quattro tempi in un unico flusso continuo. Lo stesso titolo di «fantasia sinfonica», pensato inizialmente da Schumann, sembra suggerirci il tentativo di sperimentare una nuova costruzione formale, tentativo che tuttavia non porta a un superamento della struttura sinfonica tradizionale a cui, nonostante diverse anomalie, l'opera resta ancora soslanzialmente legata.

Nell'introduzione del primo movimento un lento profilo melodico si snoda sopra un cupo pedale staccato dall'orchestra, evocando un senso di guardinga attesa; il tempo quindi si stringe e in poche battute si giunge al serrato profilo iniziale dell'Allegro, una sorta di leitmotiv, di motore ritmico dell'intero primo movimento (lo ritroveremo anche nel quarto) che, seppure con alcune differenze, partecipa anche alla formazione del secondo tema. Anche nello Sviluppo il primo tema continua a essere il filo conduttore, anche se qui, luttavia, Schumann arricchisce l'iniziale povertà di materiale tematico aggiungendo due nuovi elementi: il primo di tipo ritmico-accordale, il secondo di carattere più melodico. Buona parie dello Sviluppo fin qui ascollalo viene quindi ripetuto con uno spostamento di tonalità. Questa ricapitolazione del materiale tematico viene ritenuta sufficiente da Schumann, che rinuncia a una Ripresa tradizionale, puntando direttamente al finale con ulteriori citazioni del materiale dell'Esposizione, con la rielaborazione del tema melodico nato nello Sviluppo e la stretta conclusiva.

La Romanza si apre con un accordo iniziale dei fiati che introduce il mesto incedere di oboe e violoncelli, sopra uno scarno accompagnamento orchestrale; a sorpresa torna quindi il tema introduttivo del primo movimento, riproposto integralmente in una diversa tonalità. Successivamente, la cupa aura iniziale si dissolve in un ampio e disteso episodio in modo maggiore, nel quale il violino solista traccia un lungo profilo terzinato che ricorda sonorità proprie del concerto. Come un triste memento torna quindi il tema iniziale per la coda conclusiva.

Vigoroso e passionale è invece il tema dello Scherzo, che evolve stemperando gradualmente il proprio impeto, per poi tornare al piglio iniziale grazie ai ritornelli. Nettamente contrastante è invece l'episodio centrale (Trio): un elegiaco tessuto armonico dell'orchestra di sapore quasi impressionistico (ante litteram), attraversato da una linea continua dei violini che riprende il profilo terzinato ascoltalt nella Romanza. Le due sezioni, Scherzo e Trio, vengono quindi riproposte senza ritornello, mentre uno statico episodio di collegamento porta al quarto movimento.

L'introduzione del finale inizia con un vibrante tappeto armonico da cui emergono lontani ricordi del primo movimento, per poi giungere a un accordo sospensivo di dominante. Ecco dunque il primo tema, formato da ritmati stacchi accordali dell'orchestra, al quale si contrappone l'aggraziata e accattivante melodia del secondo tema. Dopo una breve successione di accordi tesi e vibranti, lo Sviluppo si dispiega nella sommessa reiterazione di un frammento ritmico del primo tema, che culmina in uno stentoreo intervento dei corni. Il motivo della transizione, interrotto a singhiozzo da stacchi accordali, preannuncia quindi l'arrivo della Ripresa, che propone il solo secondo tema trasportato nella tonalità principale, mentre gli stacchi accordali di inizio Sviluppo preparano l'ascoltatore all'episodio conclusivo, completato dalla rapidissima stretta finale.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

L'inizio di quella svolta compositiva che con la Prima Sinfonia avrebbe aperto la strada all'entusiasmo creativo dell'"anno sinfonico", il 1841 (due Sinfonie compiute, una terza abbozzata, oltre alla "Sinfonietta" Ouverture, Scherzo e Finale e alla Fantasia per pianoforte e orchestra in La minore, che sarebbe più tardi diventata il primo movimento del Concerto per pianoforte), avviene in Schumann sotto un duplice impulso, nel segno di un allontanamento tanto dal modello dell'ultimo Beethoven quanto dalle "divine lunghezze" di Schubert. Da un lato vi è la volontà di perseguire una concezione unitaria del processo sinfonico per via essenzialmente monotematica, con un procedimento ciclico nel quale le trasformazioni di una figura fondamentale, quasi motto della composizione, si generano l'una dall'altra, senza contrapporsi; dall'altro lato agisce il desiderio di sperimentare una sintassi poetico-musicale di segno simbolico, contemperando aneliti e slanci in una fioritura estemporanea di divagazioni fantastiche dal timbro accesamente romantico ma tendenti all'eloquenza della musica assoluta. La Prima Sinfonia è da questo punto di vista esemplare: il supporto programmatico previsto all'origine (una poesia "romantica" dedicata alla primavera) venne abbandonato allorché i riferimenti extramusicali si chiarirono in elementi compositivi: quel che rimase da ultimo fu la disposizione ciclica adombrata dal programma, affilata nella logica formale e materializzata nella traduzione sonora.

La genesi della Sinfonia in Re minore fu assai più problematica, tanto da abbracciare di fatto l'intero periplo dello Schumann sinfonista. Iniziata il 30 maggio 1841, fu portata a compimento il 9 ottobre dello stesso anno ed eseguita per la prima volta il 6 dicembre 1841 al Gewandhaus di Lipsia: non sotto la direzione del titolare Mendelssohn, che dell'amico aveva già presentato il 31 marzo con grande successo la Prima, bensì del Konzertmeister David. Essa ottenne consensi assai modesti: anche perché oscurata - e la cosa non deve sorprenderci troppo considerando la moda del tempo - da una esibizione a due pianoforti, avvenuta la stessa sera, di Franz Liszt e Clara Schumann, impegnati a suonare l'Exameron-Duo (una serie di variazioni virtuosistiche su un tema di Bellini composte da sei allora celebri pianisti parigini). Schumann ritirò la partitura, già pronta per la stampa, mettendola da parte. In seguito nacquero e furono pubblicate la Sinfonia n. 2 in Do maggiore op. 61 (1846) e la Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 97 detta "Renana" (febbraio 1851). Fu a questo punto, nel corso del 1851, che la partitura della Sinfonia in Re minore venne ripresa in mano e rielaborata. In questa nuova veste venne presentata al Festival del Basso Reno di Düsseldorf nel 1853 e, stampata subito dopo a Lipsia, divenne la Quarta Sinfonia con il numero d'opera 120. Fu in pratica l'ultimo grande successo di pubblico ottenuto in vita da Schumann come direttore d'orchestra e compositore.

Delle quattro, la Sinfonia in Re minore è senza dubbio la più sperimentale e ai nostri occhi moderna.

Sul frontespizio della partitura Schumann indicò che il lavoro consisteva di Introduzione, Allegro, Romanza, Scherzo e Finale "in un solo movimento"; al tempo della revisione, in parte correggendosi, pensò di introdurre il titolo "Fantasia sinfonica", che gli sembrava più adatto a un'opera tutta contesta di legami tematici tra un movimento e l'altro e senza interruzione fra gli stessi: un po' come aveva fatto Mendelssohn nella sua Sinfonia n. 3 "Scozzese" (1842). Per il resto la revisione si appuntò soprattutto sulla strumentazione, rinvigorendola e, secondo alcuni, appesantendola. Le presunte inefficienze e debolezze di Schumann come orchestratore furono denunciate dalla critica già lui vivente (e non solo dalla critica: l'ammiratore Brahms ne condivideva molte riserve, e Mahler ritenne addirittura necessario intervenire sull'orchestrazione); oggi ci paiono non soltanto tratti idiomatici del linguaggio schumanniano ma anche una conquista che avrebbe lasciato un'impronta: nella Quarta, soprattutto nella concezione della prima versione originale.

1. Moderatamente lento, Vivace

L'intero primo movimento si basa sullo sviluppo di una frase tematica esposta nell'Introduzione (Moderatamente lento) da violini secondi, viole e fagotti su un pedale sospeso di dominante e poi estesa a tutta l'orchestra con densità polifonica. E' una frase aperta e distesa, che procede per gradi congiunti con pensosa gravità, impennandosi poi nei primi violini in un inciso più mosso, che attraverso uno "stringendo" conduce direttamente al tempo Vivace: è questo inciso (quartine di semicrome alternativamente staccate e legate) a costituire il materiale tematico di tutto il movimento. Più che di un tema nel senso classico, si tratta di una figura aperta, slanciata e piena di energia, resa ancora più dinamica dalle sincopi e suscettibile di continue, minute variazioni. Essa occupa tutta l'esposizione.

Nello sviluppo, che presenta accenni di trattamento fugato, le viene contrapposta una linea melodica di marcata contabilità e dolcezza, che attenua ma non interrompe la foga di una corsa che sembra, nel suo anelito, non doversi fermare mai.

2. Romanza: Moderatamente lento

E invece il discorso si sospende e, come voltando pagina, conduce direttamente in tutt'altro clima espressivo. La parentesi lirica della Romanza è l'altra faccia del mondo poetico di Schumann: quella intima, delicata, tenue. L'oboe raddoppiato dai violoncelli intona in La minore una melodia malinconica, quasi trasognata, che viene richiamata alla realtà da una ripresa variata del tema dell'Introduzione (archi). Poi si dispiega in Re maggiore una arabescata melopea in terzine del violino solo, d'infinita dolcezza, che dona luce e consolazione. La ripresa del tema in minore dell'oboe chiude nostalgicamente la breve ma intensa pagina.

3. Scherzo (Vivace), Trio

E la corsa riprende, ancora più fremente, nello Scherzo, squassata dalle ondate degli archi su interiezioni "sforzate" dei fiati. Anche qui il legame tematico con il primo movimento è evidente: Schumann lavora circolarmente su un materiale monotematico, mostrandocene le metamorfosi e trasformandone il carattere timbrico e ritmico.

Nel Trio ritorna la figura arabescata della Romanza, ora però integrata nella nuova scrittura orchestrale e armonica (da Re minore a Si bemolle maggiore). Si ripete lo Scherzo, poi nuovamente il Trio. A questo punto, quando ci si aspetterebbe la definitiva ripresa dello Scherzo secondo la consueta formula A - B - A - B - A, ecco la sorpresa...

4. Lento, Vivace, Più presto

In "pianissimo", su atmosfere brumose, tremolanti, sospeso sulla dominante e carico di presagi, attacca in modo inatteso un Lento nel quale la nota figura in semicrome dei violini primi, leggera come un soffio, è violentemente contrastata da drammatici appelli di corni, trombe e tromboni, in "crescendo" e "stringendo". Questa nuova "Introduzione", che riafferma il tratto ciclico della Sinfonia, immette senza soluzione di continuità nel veemente e decisamente liberatorio tripudio del Finale, sempre più incalzante, da ultimo quasi colmo d'ebbrezza..

L'analogia con il passo corrispondente del Finale della Quinta Sinfonia di Beethoven non può sfuggire. Non vi è però più niente di eroico e di fatale in questo rispecchiamento formale: la luce che squarcia di colpo le nebbie di un paesaggio ossianico, che è anche un paesaggio-simbolo dell'anima romantica, non scandisce il battere di un destino, addita una meta lontana, all'infinito.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 5 (nota 5)

Quando nel 1841 Schumann decise di lasciare la musica per pianoforte solo e il Lied - fino ad allora gli unici generi da lui coltivati - e di dedicarsi alla musica sinfonica, era spinto indubbiamente dalla sua irrequietudine romantica, che cominciava a fargli sembrare le piccole forme troppo limitate per i suoi ideali. A spingerlo a questa espansione e diversificazione dei suoi interessi e dei suoi orizzonti fu senz'altro l'esempio di Beethoven, ma determinante fu anche la scoperta della sinfonia in do maggiore di Schubert, da lui ritrovata nel 1839 tra le carte lasciate dal compositore. Entusiasta dell'ultima e più grande delle sinfonie di Schubert, ne sottolineò "la completa indipendenza da Beethoven": parole rivelatrici, perché, nonostante la reverente ammirazione per l'autore delle nove sinfonie, Schumann aveva un approccio alla sinfonia profondamente diverso e aspirava ad immettere una concezione prettamente melodica nelle forme classiche. Vedeva dunque un precursore in Schubert, che aveva conservato l'architettura della sinfonia classica, modificandola però dall'interno, cosicché il lineare principio costruttivo beethoveniano basato sullo sviluppo dei temi si era trasformato in un dilatato e sognante girovagare intorno ad alcuni motivi.

Guidato da questi due diversi e contrastanti modelli, Robert Schumann percorse tuttavia una strada profondamente originale. Le sue sinfonie rivelano la lotta per conciliare una fantasia illimitata e un'immaginazione febbrile con le esigenze formali e costruttive imposte da forme complesse e grandiose. Sull'onda di un'inesauribile ispirazione romantica Schumann trasforma in immagini musicali ogni minimo dettato della sensibilità, ma contemporaneamente una volontà di dominio sulla materia lo spinge a superare il romanticismo come espressione immediata e istintiva dell'"io". Di conseguenza affiorano in continuazione nuovi motivi e il percorso prende direzioni imprevedibili, ma, come contrappeso a questi elementi potenzialmente dispersivi e disgregatori, Schumann si sforza di rinsaldare con originali soluzioni formali le sue sinfonie, particolarmente con la riapparizione ciclica d'un unico tema nei vari movimenti. Senza queste opere affascinanti, specchio degli ideali contraddittori ma generosi del più intimamente e genuinamente romantico dei musicisti, la storia della sinfonia sarebbe stata molto più povera.

Come già accennato la Sinfonia in re minore fu composta nella primavera-estate del 1841 e fu eseguita a Lipsia il 6 dicembre di quell'anno con esito insoddisfacente. Fu poi ampiamente rimaneggiata nel 1851 ed eseguita in questa forma definitiva a Düsseldorf il 3 marzo 1853 con vivo successo (nel frattempo Schumann aveva scritto altre due sinfonie e questo spiega perché questa, composta in realtà per seconda, sia stata catalogata come quarta). Il titolo di Fantasia sinfonica datole inizialmente rivela chiaramente l'intenzione di Schumann di andare oltre la forma sinfonica tradizionale, perché non soltanto i vari movimenti si saldano l'uno all'altro senza interruzione ma i temi principali ritornano lungo tutta la partitura.

L'intera sinfonia si basa sui due brevi temi presentati nell'Introduzione (Ziemlich langsam): quello esposto nelle primissime battute da violini secondi, viole e fagotti, che riapparirà nella Romanze e nello Scherzo, e quello esposto più avanti dai violini primi, che conduce con uno stringendo all'Allegro (Lebhaft), a cui fornisce sia il primo soggetto (in re minore) che il secondo (in fa maggiore).

A questo primo movimento volitivo, ardito e dinamico (ma la sua trionfale conclusione in maggiore è bruscamente interrotta da un accordo di re minore) fa da contrasto la delicata e intima Romanze, che si apre con un'espressiva melodia dell'oboe e dei violoncelli e prosegue con il ritorno del tema dell'Introduzione, una cui trasformazione (un ricamo di terzine del violino solo) costituisce la parte centrale di questo movimento. Anche lo Scherzo, traboccante di slancio e d'energia, a tratti volutamente rude, è interamente compenetrato da questo stesso tema: appare in canone nella prima parte e fornisce la delicata ed emozionante melodia del Trio centrale. Una nuova introduzione lenta (Langsam) costituisce un momento d'intensa e poetica riflessione su quanto si è appena ascoltato e su quanto si sta per ascoltare: un misterioso corale affidato agli ottoni riprende il tema del primo movimento, che è anche il tema principale del finale. Alla fine del Lebhaft, in luogo della consueta ricapitolazione, Schumann conclude la sinfonia con un'improvvisa accelerazione e con una nuova idea piena di slancio e d'eroismo.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 6 (nota 6)

Gli anni 1840-1841 costituiscono una tappa fondamentale nell'evoluzione della creatività schumanniana: se il primo vide l'erompere di una autentica fiumana di Lieder, quale per abbondanza e livello artistico non s'era più data dai tempi di Schubert, il secondo fu l'anno dell'orchestra. Trenta giorni, tra gennaio e febbraio, bastarono alla stesura della Sinfonia n. 1 (la celebre Sinfonia della Primavera); seguirono l'Ouverture, Scherzo e Finale e il primo movimento del Concerto in la minore per pianoforte e orchestra; in settembre vedeva infine la luce un altro lavoro sinfonico, in re minore, che come «Seconda Sinfonia» ebbe la prima esecuzione il 6 dicembre al Gewandhaus di Lipsia, sotto la bacchetta non eccelsa di Ferdinand David. Il successo fu scarso: il tono severo dell'opera, cosi lontano dalla gaia comunicativa della Frühlings-symphonie, spiacque a molti. Schumann ritirò allora la partitura e, fedele al monito oraziano («nonum prematur in annum...»), la ripose nel cassetto per un decennio. Nel dicembre 1851 il vecchio manoscritto venne ripreso, e la strumentazione sottoposta a una profonda revisione, specie nella sezione dei fiati; sedici mesi più tardi, il 3 marzo 1853, la Sinfonia, ormai numerata come quarta, veniva tenuta a battesimo nella nuova veste a Düsseldorf, con lo stesso autore sul podio, ed è divenuta giustamente celebre in questa seconda versione, anche se non sono mancati in Germania sporadici tentativi di riproporre la prima.

Schumann aveva pensato originariamente la Sinfonia «come «fantasia sinfonica»: e l'opera, malgrado il titolo classico e l'articolazione in quattro movimenti, presenta un'architettura che si discosta considerevolmente dalla tradizione. La ricerca di nuovi elementi per l'integrazione del processo compositivo è evidente in primo luogo nella successione ininterrotta dei vari movimenti, nonché nei collegamenti tra un brano e l'altro attraverso l'innesto di materiali tematici già ascoltati. Il modo con cui Schumann ripresenta questi episodi è assai interessante: la loro riproposizione non è mai letterale, ma le alterazioni non sono tali da modificarne l'immagine complessiva, si che oltre a costituire uno dei primi esempi di forma ciclica, quest'opera sembra prefigurare anche la prassi mahleriana della variante, come principio tecnico-compositivo alternativo a quello della variazione.

Il primo movimento è preceduto da una solenne introduzione dove, sul sordo pulsare del timpano (Brahms amplificherà questa idea nella Prima Sinfonia), archi e legni espongono una linea melodica da cui deriverà poi, per diminuzione dei valori, il complesso tematico del successivo Lebhaft (vivace), che attacca impetuoso dopo un incalzante accelerando. Non si tratta di un tempo di sonata: nella prima sezione, malgrado il tradizionale ritornello, il muscoloso tema principale domina incontrastato, con scattante energia, appena temperato da accenti più concilianti nei legni. La sezione centrale è introdotta da un perentorio mi bemolle all'unisono di archi e ottoni, e conduce a un drammatico climax cui risponde il vero e proprio secondo tema, cantato dai primi violini e dai legni su delicati arpeggi dei secondi violini; poi tutto l'episodio viene ripetuto in una variante simmetrica e su gradi armonici diversi. La terza sezione, più che una ripresa, presenta una nuova elaborazione dei materiali tematici già ascoltati, e culmina in una trionfale apoteosi del secondo tema, seguito da una trascinante coda. La successiva Romanza è basata su un mesto tema in la minore, affidato al timbro malinconico dell'oboe rafforzato da una parte dei violoncelli; la strumentazione, altrove massiccia e scura (sono noti i problemi di Schumann su questo delicato terreno), è qui assai suggestiva. Un particolare curioso è rappresentato dalla chitarra, che Schumann aveva originariamente inserito in questo brano, e che poi tolse dalla versione definitiva, giudicandolo evidentemente un esperimento timbrico poco riuscito (e il pensiero corre alla seconda Nachtmusik della Sinfonia n. 7 di Mahler, prima opera ad accogliere nell'orchestra sinfonica il timbro prezioso e penetrante dello strumento, che avrebbe trovato qui un illustre precessore). Al tema d'apertura fa seguito la ripetizione della introduzione al primo movimento, preludio alla parte centrale, dominata da un rigoglioso assolo del primo violino, che si snoda con un moto di terzine su una fitta tessitura degli archi e dei corni. Il vigoroso Scherzo è ispirato ai grandi modelli beethoveniani; nel trio viene riproposto l'episodio centrale della romanza, modificato nella pulsazione ritmica (moto di sestine invece che di terzine). Dopo la ripetizione dello Scherzo, la conclusione del brano segna uno dei vertici di tutta la composizione: ritorna dapprima la melodia del trio, che si frantuma progressivamente e ristagna alla fine in un Poco ritenuto dei legni e degli archi più gravi; poi, su un tremolo dei secondi violini e delle viole, i primi violini ripropongono il tema del primo movimento, mentre i tromboni intonano un corale di bruckneriana solennità; l'atmosfera si anima sempre più, con interventi delle trombe e dei corni, sino alla travolgente stretta di cinque battute che sfocia nel movimento finale. Qui vari elementi del primo movimento vengono sottoposti a un interessante lavoro di trasformazione e compressione, generando un nuovo organismo tematico potente e incisivo, cui si contrappone, nella forma ma non nello spirito, un indimenticabile secondo tema: felicissima pittura sonora, se vogliamo, di quei due aspetti della propria personalità che Schumann aveva idealizzato nelle figure di Florestano e Eusebio. L'appassionato fervore del brano si accresce ancor più nella coda, che cambia due volte tempo e conclude la Sinfonia in un'atmosfera di febbrile esaltazione.

Maurizio Giani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 13 febbraio 1977
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato allo speciale n. AMS 069-70 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto della Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico "Giuseppe Verdi";
Milano, 11 novembre 2004
(5) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 maggio 2001
(6) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 29 giugno 1988


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Ultimo aggiornamento 1 aprile 2016