Waldszenen (Scene della foresta), op. 82

Nove pezzi per pianoforte

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Eintritt (Entrata) - Nicht zu schnell (si bemolle maggiore)
  2. Jager auf der Lauer (Cacciatore in agguato) - Hochst lebhaft (re minore)
  3. Einsame Blumen (Fiori solitari) - Einfach (si bemolle maggiore)
  4. Verrufene Stelle (Luogo maledetto) - Ziemlich langsam (re minore)
  5. Freudliche Landschaft (Paesaggio gioioso) - Schnell (si bemolle maggiore)
  6. Herberge (Osteria) - Massig (mi bemolle maggiore)
  7. Vogel als Prophet (Uccello profeta) - Langsam, sehr zart (sol minore)
  8. Jagdlied (Canzone di caccia) - Rasch, kraftig (mi bemolle maggiore)
  9. Abschied (Addio) - Nicht schnell (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Dresda, 29 dicembre 1848 - 6 gennaio 1849
Edizione: Senff, Lipsia, 1851
Dedica: Annette Preusser
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Tra il dicembre del 1848 e il gennaio del 1849 Schumann mette mano alle sue Waldszenen op. 82, (Scene della foresta), una serie di nove brani ispirati a immagini e soggetti legati al mondo della natura. Il compositore trascende certamente il mero aspetto decrittivo-onomatopeico, ma con l'animo stupefatto del fanciullino ascolta le misteriose vibrazioni che dalla natura stessa emanano restituendone una libera, personale, interpretazione. È questo il mondo incantato del romanticismo, in cui la fantasia e l'irrazionalità stanno al centro e il mondo della foresta è un topos poetico, una fonte per l'ispirazione, come ad esempio si vede sempre in Schumann nel ciclo liederistico Liederkreis op. 37, su testo di Eichendorff. Nello specifico di Waldszenen rinveniamo tratti morbidi, sereni, bucolici, istantanee di vita rustica, paesana, ma anche citazioni di atmosfere un po' cupe, ossessive, alla Hoffmann, come nel caso del N. 4 della serie, Luogo maledetto, che ha per epigrafe l'esplicita citazione di una poesia di Friedrich Hebbel.

Il N. 1, Entrata rappresenta l'immaginario, primigenio catapultarsi dentro il mondo fascinoso della natura: un tema appena mormorato pare svelarcene i segreti, come un viaggio misterioso nella foresta pulsante e carica di vita. Brevi, delicati episodi lo interludiano, creando momenti di stupore e di sorpresa in un percorso magico, dove le sensazioni sono come ovattate, attutite, arrotondate negli appoggi accordali del tema, quasi fossero un riverbero della realtà, immagini da scrutare dentro un caleidoscopio ricco di colori.

Nel secondo brano, Cacciatore in agguato, giochi ritmici di furtiva attesa resi da incisivi e icastici accordi si alternano a sornioni, guizzanti movimenti in terzine di crome: c'è qui, netto, il dualismo tra la tensione-attesa di chi punta la preda attendendo il momento propizio e il movimento dinamico della fuga, nell'eterna e spesso tragica lotta per la sopravvivenza.

Un sommesso contrappuntare di due voci che tracciano un tranquillo moto rotatorio è sostenuto da lievi punteggiature accordali che si inarcano verso l'alto, quasi flessuosi steli a sostenere i fiori multicolori del bosco: è il N. 3 di Waldszenen, Fiorì solitari, che sta tutto qui, nella contemplativa osservazione delle meraviglie della natura, ma sempre nella misura in cui è la nostra fantasia a deciderne i tratti, i contorni, indotti dalla immaginifica penna di Schumann.

Luogo maledetto è introdotto dalla poesia di Hebbel, che narra di un fiore rosso, cresciuto in mezzo ad altri dal colore più stemperato, pallido. Deve quella tinta «non al rossore naturale originato dal sole, ma alla terra che bevve del sangue umano». L'atmosfera tragica, allucinata, trasmessa dalle parole si traduce in un inciso ritmicamente segmentato su nota puntata, una sorta di vero e proprio nucleo generatore del brano che si estende ramificandosi in una serie di bagliori puntillistici e pulsanti di sinistri presagi, quasi fosse un minaccioso recitativo. Il sapiente uso timbrico delle zone gravi del pianoforte, il ricorso coloristico a penetranti dissonanze, l'uso stilistico di tecniche barocche e contrappuntistiche contribuiscono a conferire al brano una cupa atmosfera generale di ambientazione claustrale.

Forte è così il contrasto con il N. 5, Paesaggio gioioso, in cui una melodia continua tutta fatta di mobili e agili terzine ci restituisce un'immagine di verde radura attraversata da garruli ruscelli: nelle armonie cristalline, nelle pause sospensive e negli improvvisi respiri l'animo si riconcilia col mondo e si riapre alla vita. È un clima sereno che prosegue anche nel brano successivo, Osteria, dove è persino tangibile un senso di festa: una melodia rustica e di gaia coralità, appoggiata a robusti, ritmici accordi poi sviluppati, scorre spensierata alimentando toni conviviali e conferendo al brano un'idea di gioiosa comunanza.

Il brano forse più conosciuto di Waldszenen è l'Uccello profeta (N. 7), in cui l'instabilità satura della melodia, il suo colore iridescente, le volate che richiamano il tremolìo d'ali del misterioso vaticinatore, il silenzio improvviso di linee spezzate, sollecitano la fantasiosa immagine di magici poteri propiziatori; la melodia corale nella parte centrale suggerisce l'idea di religiosa preghiera, cui segue la ripresa del tema principale.

In Canzone di caccia una melodia solida e lineare costruita su corposi accordi richiama un robusto canto corale di voci maschili in una festa paesana. Interrotto da una figura leggiadra e delicata, come una danza di giovani fanciulle - basato sulla sincope ritmica e sull'alleggerimento accordale -, il tema della Canzone di caccia è infine ripreso dal gruppo.

La suite di brani ha come degno suggello Addio (N. 9), in cui una melodia nobile e nostalgica, punteggiata dall'ondulato appoggio del basso pare un ultimo, struggente sguardo alle bellezze della natura, l'evaporare lento e ineluttabile di un sogno incantato.

Marino Mora

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1849 a Dresda la salute di Schumann tornò ad una maggiore stabilità ed il musicista riprese con furore la propria attività creativa. Le Waldszenen, iniziate nel 1848, segnano il suo ritorno al pianoforte. Schumann trasse le immagini dal «breviario del cacciatore» del Laube, e ne premise una citazione ai singoli pezzi, soppressa come al solito nel ripensamento della redazione definitiva. Ogni ipotesi sulla menomazione delle facoltà nell'ultimo Schumann viene a cadere di fronte a questi pezzi. Le immagini hanno ciascuna la propria collocazione e pregnanza come in un ciclo liederistico, un racconto volutamente frammentario che, tralasciando l'insignificante o affidandolo all'ipotesi ne risulta di tanto più efficace. L'appello è sommesso, appoggiato su armonie piene e consonanti nel registro centrale del pianoforte, e soltanto qualche modulazione accidentale potrebbe porre sull'avviso riguardo agli umori maligni della natura magica verso la quale siamo guidati. E subito si passa al bozzetto di carattere, l'appostamento, uno schizzo schumanniano, o meglio di maniera schumanniana nella sua ingenuità precostituita o imposta dai tabù della schizofrenia. Ma il massimo Schumann è subito pronto nel liederismo struggente dei fiori solitari o nel mistero venato di sinistro del luogo affatturato. Una lirica di Friedrich Hebbel è premessa al pezzo. Fra i fiori pallidi soltanto uno è rosso, e ha bevuto sangue umano. E l'orrido romantico è sottolineato dal ritmo puntato, da ouverture francese, rotto da contrappunti beffardi, un anello di congiunzione fra un apice dell'alienazione romantica e la storia, cioè Bach, che appresta al risultato la meraviglia di una provvisoria e riscoperta salvezza. La paesaggistica delle reazioni soggettive riprende il suo corso nei due numeri seguenti, e fa un'altra tappa magica al n. 7, l'uccello profeta. Una sorta di preludio bachiano, rivisitato da Schumann e irresistibilmente psicologicizzato in una profezia di terre sconosciute e ahimè pericolose o irraggiungibili. Tanta introspezione cede all'esteriorità boschereccia delle fanfare, ed infine il congedo cantato, dolcissima e momentanea separazione dalla illusione.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 128 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 11 febbraio 1976


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 15 novembre 2015