Ouverture per il «Cola di Rienzo» di Pietro Cossa


Musica: Giovanni Sgambati (1841 - 1914)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, oficleide, timpani, piatti, arpa, archi
Composizione: Roma, 27 ottobre 1874
Edizione: Boccaccini & Spada, Pavona di Albano Laziale, 2003
Guida all'ascolto (nota 1)

Il suo primo lavoro sinfonico, l'Ouverture Cola di Rienzo, risalente al 1874, sorprende per la piena maturità, l'inventiva e il possesso assoluto dei mezzi armonico-orchestrali; a lungo ritenuta perduta, mai pubblicata e di cui non si hanno tracce di esecuzioni, la partitura è emersa dall'Archivio Sgambati della Biblioteca Casanatense di Roma nel 1995, con l'acquisizione del Fondo Sgambati. Il Cola di Rienzo, non a caso vicenda 'romana', che anche Wagner aveva trattato nel suo grand-opéra del 1840, è ispirato al dramma omonimo in un Prologo e cinque atti di Pietro Cossa, che, per la prima romana al Teatro Valle nella primavera del 1874, fu musicato da Venceslao Persichini (1827-1897): il tema del riscatto laico di Roma, riecheggiato nella figura dell'ultimo tribuno, era molto attuale all'indomani della breccia di Porta Pia e il dramma riscosse un notevole successo. Appare del tutto infondata l'ipotesi che Sgambati volesse scriverne delle musiche di scena, come si legge nelle biografie del compositore, sia perché queste erano state affidate al Persichini, sia perché nessuna traccia rimane nei manoscritti. Suggestionato dal dramma, il compositore concepì un lavoro sinfonico che rimane un pezzo a sé stante, richiamandosi al genere dell'ouverture 'di carattere' sul modello beethoveniano, vicina al Manfred di Schumann, anche se, per la sua durata (quasi 20 minuti) e la sua articolazione drammatica risente indubbiamente del poema sinfonico lisztiano, pur non rivelando un esplicito e articolato 'programma. Nel Prologo del poema drammatico del Cossa, Cola giura vendetta davanti al cadavere del fratello, vittima innocente di faide fra gli Orsini e i Colonna e aspira al sogno di libertà della sua patria. Con le sue tirate oratorie piene di retorica tribunizia però il protagonista perde ogni coerenza spirituale, mentre nella splendida ouverture sgambatiana la natura idealista del tribuno romano si erge in tutta la sua tragica nobiltà.

Sin da questa 'opera prima' di Sgambati risulta la totale libertà di mezzi costruttivi che, più che la forma sonata, sviluppano un'invenzione continua, durchkomponiert. Il fascinoso lirismo sinfonico ricorda, o forse anticipa, Cajkovskij ma fa anche pensare a Vincent d'Indy e in particolare al suo capolavoro, La morte di Wallenstein, la cui composizione è però successiva. Diversamente da d'Indy, Sgambati non è un wagnerista e sin da questo suo esordio emerge una delle caratteristiche più peculiari: egli assimila l'armonia cromatica di Wagner e Liszt, l'orchestrazione di Berlioz e i procedimenti costruttivi di Brahms, ma non può dirsi per questo mai wagneriano, lisztiano o brahmsiano, né tanto meno berlioziano.

L'ouverture si apre con un Andante sostenuto dal respiro solenne ed eroico in un severo re minore che ci introduce nel dramma del tribuno, caratterizzato da un nobile e severo leit-motiv. Dall'Andante sostenuto all'agitato al più mosso grandi arcate dinamiche, dal pp al ff, scandiscono i vari episodi in una sorprendente padronanza dell'orchestrazione, anche nel settore dei legni e degli ottoni, con una varietà espressiva di colori orchestrali. Introdotto da un assolo dell'oboe, il secondo tema, in mi bemolle, rischiara la severità del brano sinfonico e fa pensare a un secondo tema di forma sonata, anche se in un tono inconsueto, il mi bemolle maggiore, in rapporto semitonale con il tono d'impianto, il re minore: i soli di strumenti come oboe e clarinetto, o i passi cantabili dei violini sulla quarta corda e dei celli hanno un'intensità lirica che seduce sin dal primo ascolto. Se ci è concesso, vogliamo attribuire questa fascinosa melodia alla protagonista femminile, Amalia degli Alberteschi, nobildonna che ha amato Cola, poi rifiutata e che alla fine si vendicherà, tradendo l'antico amante, che muore al culmine della ribellione sobillata dai Colonna.

Questo lavoro sinfonico raggiunge momenti di grande potenza drammatica, fino a ripiegare, nell'epilogo finale, in un angoscioso corale degli ottoni presago di morte cui fa seguito una coda conclusiva della trasfigurazione finale.

Francesco Attardi


(1) La musica di Giovanni Sgambati a cura di Paola Canfora e Francescantonio Pollice, Edizioni Curci, Milano, 2014, pagina 54


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Ultimo aggiornamento 26 marzo 2016