Sinfonia n. 2 in mi bemolle maggiore


Musica: Giovanni Sgambati (1841 - 1914)
  1. Ouverture: Andante sostenuto. Agitato
  2. Scherzo: Allegro vivace assai
  3. Cavatina: Andante con moto
  4. Marcia: Allegro
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi (3 anche corno inglese), 3 clarinetti (3 anche clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, 2 arpe, archi
Composizione: 1883
Prima esecuzione: Roma, Palazzo Caffarelli, 7 marzo 1885
Edizione: Suvini Zerboni, Milano, 2014
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Seconda Sinfonia di Giovanni Sgambati ha avuto una storia travagliata quanto singolare. Smarrita misteriosamente la partitura, le parti orchestrali sono riemerse nel 1995 presso la Biblioteca Casanatense di Roma, dopo la vendita degli eredi allo Stato italiano, e ricostruita di recente [ricostruzione e revisione critica di Francesco Attardi, ed. Suvini Zerboni, Milano 2014, ndr.]. Caposaldo del sinfonismo italiano, due appaiono gli obiettivi del compositore romano in questo lavoro: da un lato la complessità strutturale, la variazione motivica e la perorazione armonica secondo i dettami del cromatismo wagneriano e lisztiano; dall'altro la ricerca di un raccolto lirismo volutamente "italiano", ma lontano da quella gestualità operistica che aveva contraddistinto i nostri compositori del primo Ottocento nel trattare il genere strumentale, da Paganini a Pacini.

Composta nel 1883 e rimasta inedita, furono due soltanto le esecuzioni durante la vita di Sgambati. La première - del cui successo parla anche Giuseppe Verdi in una lettera all'amico Arrivabene - ebbe luogo a Palazzo Caffarelli il 7 marzo del 1885, mentre una seconda esecuzione si ebbe a Colonia presso il Tonkünstlerfest il 27 giugno del I887, con critiche entusiastiche. L'organico orchestrale è delle più ampie proporzioni tardo-romantiche e supera quello brahmsiano, con i fiati a tre (ad esclusione del controfagotto): oltre i legni a due figurano difatti l'ottavino/terzo flauto, il clarinetto basso, il corno inglese, i tre tromboni e la tuba. Nel secondo e terzo movimento sono inoltre presenti due arpe.

L'Andante sostenuto è giocato sull'ambiguità tra modo minore e maggiore e si apre su un dolente melos enunciato da corno inglese e prima tromba in mi bemolle minore, che dà l'avvio a un corale di fiati sui rintocchi alterni di timpano e contrabbasso pizzicato, per poi rischiararsi in maggiore con oboe, flauto e gli altri legni. Segue l'Agitato, di nuovo in minore, che espone un inciso di semitono mi bemolle-re da cui scaturiscono gli elementi principali di tutto il primo movimento. Tra essi un tema-motto di carattere drammatico che si sviluppa in una scrittura densamente cromatica fino alla perentoria enunciazione in fortissimo. Segue lo Scherzo (Allegro vivace assai), che presenta un primo serpeggiante motivo in fa minore enunciato da viole e violoncelli e successivamente dai violini, cui poco dopo si sovrappone lo staccato dei legni in sincope. L'atmosfera si rischiara col secondo tema in si bemolle maggiore: uno staccato dei legni cui seguono volate di terzine che poggiano armonicamente sul timbro bronzeo delle arpe; il ritorno del tema strisciante è quindi seguito da una nenia pastorale cantata da corno inglese e clarinetto. Il Trio sviluppa la nenia - che assume poco dopo carattere di stornello - affidata a trombe e corni.

Il terzo movimento, Andante con moto, è nel tono di la bemolle maggiore e vede protagonista il corno inglese, in una melodia bucolica di genuina semplicità e bellezza, con echi dalle romanze da camera di cui Sgambati fu maestro. Il secondo tema, di carattere contrastante e celebrativo della romanità, è esposto da una fanfara di trombe: tale esaltazione di antiche glorie è l'omaggio di un romano alla sua città. Riappare quindi il melos pastorale affidato stavolta ai violini con sordina e si ode ancora la fanfara celebrativa come proveniente da lontano, esposta ora dai corni in pianissimo, dove si stempera ogni ombra di retorica.

Il finale, Allegro, è una felice pagina dal carattere risolutivo che esordisce in 2/4 per poi proporci una sorta di rapida siciliana in 6/8, che talora assume il carattere di ballata. L'andamento cullante esposto da violini si complica subito in una scrittura fatta di sincopi, scale ascendenti e discendenti, appelli degli ottoni, momenti di scrittura corale, che ne fanno un brano ricco di colpi di scena ed effetti speciali. Nella trascinante coda finale si alternano continui cambi di tempo, 6/8, 2/4, 6/8, 3/4, 2/4, che chiudono in maniera virtuosistica questa complessa sinfonia, apertasi drammaticamente nel tono minore, e che suggellano in un esuberante mi bemolle maggiore uno dei capolavori del sinfonismo italiano.

Francesco Attardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Di questi giorni [il concerto del quale riportiamo il testo del programma di sala è del 16 dicembre 1917 n.d.r.] cade il terzo anniversario della morte di Giovanni Sgambati (14 dicembre 1914), dell'artista nostro il cui nome è rimasto scritto a lettere d'oro nella storia musicale romana ed italiana, e il cui ricordo rimane indelibile nell'animo di quanti ne ascoltarono le squisite interpretazioni sullo strumento di cui fu maestro incomparabile, e di quanti come alunni ne custodiscono e diffondono la parola.

Le composizioni di Sgambati - le due sinfonie, il grandioso Requiem scritto nel 1906 per la cerimonia commemorativa di Vittorio Emanuele II al Pantheon ed eseguito moltissime volte in concerto nelle principali città di Germania e di altri paesi, il suo concerto per pianoforte, il quartetto, i quintetti, le composizioni per pianoforte, le squisite melodie per canto - non solo considerate nel momento in cui furono scritte, momento in cui la musica da camera e da concerto era in Italia completamente trascurata sotto l'imperio assoluto del melodramma, ma anche oggi, appaiono creazioni di un artista nobile ed austero, che rifugge dal facile plauso, per perseguire un proprio elevato ideale di bellezza.

Mentre la prima sinfonia di Sgambati, in re minore, e specialmente la caratteristica serenata che ne fa parte, è molto nota, ed è stata pubblicata dall'editore Schott, la presente seconda sinfonia è quasi sconosciuta, poiché, dopo alcune esecuzioni fattane al tempo in cui fu scritta (circa 20 anni fa) a Torino, e poi a Londra, e in qualche altra città dell'estero, è stata mantenuta dall'autore inedita. Due anni or sono fu diretta da Bernardino Molinari all'Augusteo nella solenne commemorazione dell'autore.

Essa si apre con un Andante sostenuto, su un tema austero e quasi funebre, presentato, mentre l'intera orchestra inizia la sinfonia con due vigorose strappate, prima dagli strumenti a fiato a guisa di corale, poi dagli strumenti stessi in forma di canone. Lo sfondo è costituito da un caratteristico ritmo di terzine, che appare prima incisivo nei timpani e nei contrabassi in pizzicato, e passa poi dolcemente nel quartetto d'archi.

L'Agitato che segue, e che forma il corpo del primo tempo, è basato su due motivi principali che si contrastano fra loro per modo e tono (il primo in mi bemolle minore, il secondo in si bemolle maggiore) e per carattere: l'uno triste e angoscioso, l'altro dolce e tranquillo. Un terzo motivo che squilla vigoroso agli ottoni e assume poi diverse altre nuances, serve di passaggio dall'uno all'altro dei due motivi precedenti e a conferire maggior ricchezza e varietà alla composizione.

Nel secondo tempo (Scherzo) si trovano ugualmente a contrasto due motivi di carattere opposto: il primo, presentato in ottava dalle viole e violoncelli, motivo cupo, tortuoso, misterioso; il secondo, affidato ai legni, brillante, saltellante, caratterizzato dal chioccolare dei flauti e dall'ottavino e dal tintinnio delle arpe e dei pizzicati degli archi che lo accompagna. Di particolare effetto è un momento in cui sopra al primo motivo i legni nelle note gravi (fagotto, corno inglese) disegnano un nuovo motivo secondario, come un canto desolato e appassionato. Il trio (un poco meno vivace) si svolge sù un motivo di carattere ancora diverso dai precedenti, una specie di cantilena corale presentata prima dai legni e ripresa poi a dialogo dalle trombe e dai corni.

L'Adagio (Andante cantabile con moto) è chiamato dall'autore in un punto del suo manoscritto Cavatina. E questa parola non è forse senza interesse per rivelare gl'intendimenti d'italianità (quali appaiono nel carattere melodico, e talvolta anche popolaresco sebbene pur sempre distinto, delle sue composizioni) che animarono Sgambati sinfonista. Dopo alcune battute d'introduzione sì presenta in tutto il suo sviluppo una melodia cantata dal corno inglese e accompagnata da dolci accordi sincopati di tre flauti e da note tenute degli archi. Il motivo che segue ha carattere affatto diverso dal primo, perchè è di stile polifonico legato (affidato agli archi), e si presenta in una tonalità lontana (fa maggiore, mentre iì pezzo è in la bemolle). Questi due motivi son collegati fra loro da altri motivi secondari, fra cui un appello squillante degli ottoni, e da caratteristici effetti di tremolo.

Dei tre motivi fondamentali dell'ultimo tempo, l'uno, in due quarti (con fuoco), ha carattere ritmico, vigoroso, eroico; gli altri due, in sei ottavi, hanno invece carattere cantabile, e il secondo, che ha l'indicazione di Meno mosso, più dolce e più tranquillo del primo. Su questi tre motivi principali è impiantato un pezzo di larghe dimensioni. Di particolare effetto un episodio dei legni, in cui il primo motivo si trova trasformato con carattere brillante, quasi giocoso. Dopo un variato sviluppo di tutti questi motivi; la sinfonia si chiude solennemente col vigoroso squillare dello stesso primo motivo, che riprende il suo carattere maschio ed eroico, e con vibrati accordi.


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 304 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Augusteo, 16 dicembre 1917


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Ultimo aggiornamento 28 luglio 2015