Iz yevreiskoi narodnoi poezii (Dalla poesia popolare ebraica), op. 79a

Ciclo di canzoni per soprano, contralto, tenore e orchestra

Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Pianto per un bimbo morto (soprano, contralto) - Moderato
  2. Mamma e zia premurose (soprano, contralto) - Allegretto
  3. Ninnananna (contralto) - Andante
  4. Prima di una lunga separazione (soprano, tenore) - Adagio
  5. Avvertimento (soprano) - Allegretto
  6. Il padre abbandonato (contralto, tenore) - Moderato
  7. Canto sulla miseria (tenore) - Allegro
  8. Inverno (tenore, soprano, contralto) - Adagio
  9. Una bella vita (tenore) - Allegretto
  10. Canto della fanciulla (soprano) - Allegretto
  11. Felicità (contralto, soprano, tenore) - Allegretto
Organico: soprano, contralto, tenore, 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi (2 anche corno inglese), 3 clarinetti (3 anche clarinetto basso), 3 fagotti (3 anche controfagotto), 4 corni, timpani, tamburello, grancassa, piatti, tam-tam, xilofono, 2 o 3 arpe, archi
Composizione: 1948 - 1963
Prima esecuzione: Gorky, Secondo festival di musica contemporanea, 19 febbraio 1964
Guida all'ascolto (nota 1)

Tra i generi creativi che caratterizzano l'intera produzione di Sostakovic la musica vocale ha sempre svolto un ruolo rilevante, non solamente nell'ambito dell'opera cameristica. Come ha acutamente osservato Franco Pulcini, «l'importanza delle liriche da camera di Sostakovic, e dei testi musicati in genere, è proporzionale alla considerazione e all'enorme divulgazione che ha la poesia nella cultura russa e sovietica. Sospirava la Cvetaeva durante il soggiorno parigino: "In Russia mi perdonano tutto perché ero un poeta, qui devo farmi perdonare il mio essere poeta". Attraverso le scelte poetiche dell'opera vocale si può ricostruire il pensiero artistico, filosofico, morale del musicista e il suo desiderio di celebrare la libertà dell'arte [...]. L'attenzione razionale per i contenuti trova rispondenza nello stile vocale, del tutto refrattario al belcanto e vicino invece alla tradizione della romanza realistico-satirica di Dargomyzskij e di Musorgskij. Le gradazioni espressive sono varie: si spazia dal lirismo solipsistico, spiritualistico, tragico e malinconico, al grottesco comico, satirico e caricaturale. Nelle migliori opere vocali di Sostakovic il declamato melodico s'interseca con le parti strumentali, le quali non hanno una semplice funzione di accompagnamento, ma completano con essa un flusso contrappuntistico. Il musicista teneva sempre d'occhio la grande forma sinfonica e anche per questo motivo ha curato versioni orchestrali dei cicli meglio riusciti» (Torino, 1988).

In merito allo stimolo a comporre questo ciclo, lo stesso Sostakovic ha precisato: «Un giorno, nel dopoguerra, in una libreria ho trovato un volume di canzoni ebraiche; speravo che ne riportasse anche le arie, interessato come sono sempre stato al folklore ebraico, ma il libro conteneva soltanto i testi. Pensai che se ne sceglievo un certo numero e li mettevo in musica, sarei stato in grado di illustrare il destino del popolo ebraico. Mi sembrava una cosa importante, perché vedevo che attorno a me cresceva l'antisemitismo» (cfr. Testimonianza, a cura di S. Volkov, ediz. italiana, Milano 1979). La silloge di undici poesie, tra assoli, duetti e terzetti, che compone il ciclo Dalla poesia popolare ebraica fu composta tra il 1° agosto e il 24 ottobre 1948 a Mosca e fu eseguita solamente sette anni dopo, al tempo del "disgelo" krusceviano: il 15 gennaio 1955 nella Sala Glinka di Leningrado, interpreti Nina Dorliak (soprano), Zara Dolukhanova (mezzosoprano), AJeksej Maslennikov (tenore) con l'autore al pianoforte. Successivamente Sostakovic si orientò a realizzarne una versione orchestrale, per un organico strumentale composto da due flauti, due oboi, due clarinetti, clarinetto basso, due fagotti, un controfagotto, quattro corni, e poi timpani, tamburello, gong, xilofono, due o tre arpe, percussioni varie, violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi. Con il numero d'opus 79/a questa orchestrazione, iniziata già nel 1948, fu pubblicata soltanto nel 1963 e la prima esecuzione si ebbe il 19 febbraio 1964 a Gorky con i solisti di canto Galina Pisarenko (soprano), Larissa Avdeijeva (mezzosoprano), Aleksej Maslennikov (tenore), e la Filarmonica di Gorky diretta da Gennadi Rozdestvenskij.

Come ebbe a ricordare Sostakovic, sin da bambino egli era stato educato a considerare «l'antisemitismo come una vergognosa superstizione». Ancora il musicista riferì: «Da ragazzo, mi sono trovato alle prese con l'antisemitismo di molti miei coetanei, i quali ritenevano che agli ebrei si riservasse un trattamento preferenziale. Quasi non volessero ricordare i progroms, i ghetti, le limitatissime aliquote di ebrei ammessi all'esercizio di certi mestieri o professioni. Già in quegli anni era poco meno che un atto di coraggio civile parlare degli ebrei senza toni derisori: era una sorta di fronda, di opposizione alle autorità costituite. Non tolleravo neppure le barzellette sugli ebrei, tanto popolari all'epoca in Russia. E allora io ero più tollerante nei confronti di tali deplorevoli atteggiamenti di quanto lo fossi nel 1948: recentemente ho rotto l'amicizia con alcuni miei compagni, non appena mi sono accorto che nutrivano tendenze antisemitiche. Tutto questo subì un'accelerazione nell'immediato secondo dopoguerra, quando in Unione Sovietica gli ebrei divennero il gruppo etnico più perseguitato e indifeso. Era un ritorno al medio evo. E per me gli ebrei diventarono un simbolo: vedevo in loro la sintesi di tutta l'umana debolezza e impotenza. Ho tentato di riversare questo sentimento nella mia musica. Videro così la luce il Concerto per violino n. 1 e il Quartetto per archi n. 4, oltre al ciclo Dalla poesia ebraica. [...] Inoltre nel Quartetto per archi n. 8, il Trio contiene un tema ebraico. Se dovessi parlare di impressioni musicali, dovrei dire che la più forte è quella lasciata in me dalla musica popolare ebraica, che non mi stanco mai di ascoltare, sfaccettata com'è e con quell'apparenza di felicità, laddove è tragica invece. Quasi sempre la musica ebraica è insieme pianto e riso. Tale caratteristica della musica ebraica è assai vicina alle mie idee di come dovrebbe essere la musica, nella quale dovrebbero sempre sussistere due strati. Gli ebrei sono stati tormentati così a lungo che hanno imparato a nascondere la propria disperazione: la esprimono per il tramite della musica da ballo. Tutta la musica popolare è bella, ma oserei dire che la musica popolare ebraica è senza pari. Molti compositori sono stati sordi ad essa, compresi dei compositori russi come Musorgskij, il quale ha trascritto, senza riconoscerlo, più di un canto popolare ebraico. E in parecchie altre mie composizioni trovano espressione le influenze che m'ha dato la musica ebraica. Sono convinto, infine, che non si tratta soltanto di un problema unicamente musicale: è anche una questione morale. Lo ripeto: spesso giudico le persone in base al loro atteggiamento nei confronti degli ebrei. Ai nostri giorni, nel secondo dopoguerra, nessuno che abbia un minimo di decenza può essere antisemita. Sembra a tal punto ovvio che non occorrerebbe neppure parlarne: eppure da almeno trent'anni mi trovo a dover battere e ribattere su questo chiodo».

All'inizio del 1948, nel febbraio, la situazione generale si aggravò. Quotidianamente i giornali russi cominciarono a denunciare «criminali, ladri, corruttori, speculatori che, per curiosa coincidenza - come ebbe a scrivere Julij Turovskij - avevano tutti dei nomi ebraici. E ogni articolo veniva illustrato con caricature ignobili. Si imputò allora agli ebrei anche di essere "cosmopoliti", cioè dei maledetti delinquenti senza patria, anzi senza tribù. Non si esitò a lanciare una campagna per identificare l'origine autentica di parecchi nomi di persone che, con l'andare degli anni, si erano assimilati ed avevano "russificato" i cognomi di famiglia. Vennero perseguitati anche i mezzo-sangue per parte di madre, e, dopo l'individuazione, furono licenziati dai posti di lavoro in quanto "privati della nazionalità". Tale vera e propria isteria di antisemitismo raggiunse il parossismo in occasione della denuncia del cosiddetto "complotto dei medici", cioè quando alcuni specialisti di famosa rinomanza scientifica furono accusati d'aver attentato alla vita di Stalin e di alcuni importanti dirigenti sovietici. In quei giorni si paventò il rischio d'uno sterminio di massa degli ebrei e forse soltanto la scomparsa di Stalin, il 5 marzo 1953, ne riuscì ad evitare la realizzazione» (1990).

Nel medesimo mese di febbraio 1948, fu pubblicato dalle autorità sovietiche anche un decreto in base al quale alcuni compositori, con Sostakovic e Prokofev in prima linea, vennero bollati dall'accusa di rappresentare nella loro produzione artistica delle «perversioni formalistiche e delle tendenze antidemocratiche in musica», nonché di «infatuazione per le combinazioni confuse, nevrotiche, che trasformano la musica in cacofonia». Di conseguenza i musicisti non ebbero altra scelta che quella di piegarsi a una qualsivoglia forma di ritrattazione, adattandosi il più possibile a quel ruolo marginale che poteva esser riconosciuto loro dal paranoico dittatore. Sostakovic non rinunciò alla composizione ma decise di non correre altri rischi e tenne per sé le partiture di quegli anni.

Non solo. Paradossalmente il lessico musicale adottato da Sostakovic nel ciclo Dalla poesia popolare ebraica, risultò ineccepibile rispetto ai canoni estetici dell'ufficialità del regirne sovietico. Una tavolozza armonica sostanzialmente semplice, una successione di frasi melodiche di sapore popolare, la chiarezza dell'espressione strumentale e vocale, tutto all'apparenza poteva corrispondere alle caratteristiche ufficiali del "realismo socialista" in musica. Per di più, non da allora soltanto, Sostakovic era un maestro dell'allusione, degli umori ironici, sardonici, grotteschi, sia che scrivesse musica strumentale sia che musicasse una lirica. E dagli ascoltatori Sostakovic si attendeva una partecipazione "civile" non meno attiva di quella richiesta agli esecutori. Facendo quindi tesoro di alcune convenzioni della tradizione musicale ebraica - «una musica dai molteplici aspetti, può sembrare allegra mentre invece è tragica» - Sostakovic fece largo uso nel ciclo Dalla poesia popolare ebraica della metafora, dell'allegoria e dell'allusione, intendendole in un senso più ampio, e sottile, di protesta.

Il ciclo si compone di undici numeri. In via generale i primi otto poemi trattano della triste sorte che veniva riservata agli ebrei durante l'impero degli zar. Si ascoltano, quindi, accenti che descrivono momenti della vita sociale degli ebrei, anche se venati di tragicità (Pianto per un bambino morto), ma, d'altro canto, dai riflessi scherzosi (Mamma e zia premurose); in altri episodi è in primo piano una visione tragico-comica dell'esistenza (Canto sulla miseria), quale può visivamente ritrovarsi in un quadretto di Chagall degli anni di Vitebsk. Il vertice drammaturgico del ciclo è da cogliersi nell'ottavo episodio (Inverno), ove le voci dell'umanità, ma anche della natura in tempesta, gelano l'anima per l'angoscia di una catastrofe incombente. E l'allusione si fa realistica alle parole «il grande freddo, il vento, sono tornati / non abbiamo più la forza di resistervi / e di tacere. / Gridate però, piangete tutte le vostre lacrime / o fanciulli. L'inverno è tornato».

Gli ultimi tre canti sono consacrati a descrivere la vita allegoricamente "felice" degli ebrei ai tempi di Stalin. Si rifletta sull'asserzione di Sostakovic, della propria assonanza con i due piani della musica popolare ebraica, «il pianto e il riso», paralleli se non simultanei. E il coinvolgimento della voce dell'oboe, nell'accelerazione strumentale e dinamica alla fine del decimo canto (Canto della fanciulla), è, in proposito, emblematico, nello stesso modo come tragicamente sardonico risuona il senso dell'ultimo numero (Felicità). Al riguardo, ancora il Turovskij rammentò un aneddoto che circolò tra quanti ascoltarono la prima volta questa composizione: l'interprete, riferendosi al destino di felicità futura, si premurò di accostare foneticamente in modo inusuale alcune sillabe, rendendo esplicito il senso dell'allusione. Lo si avverte anche nella traslitterazione: in luogo di «Vratchami Stali Nachi Synovia» (I nostri figli sono diventati dei dottori), il mezzosoprano cantò «Vratchami Stalina Chi Synovia» (I medici di Stalin). Ed il pubblicò scoppiò in un'improvvisa risata. La data di quella sera, 19 febbraio 1964, spiega tutto. Forse l'aneddoto è vero!


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 gennaio 1996


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Ultimo aggiornamento 10 maggio 2013