Antiformalisticheski rayok (Antiformalistico rayok)

per bassi, coro misto, pianoforte e voce narrante

Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
Testo: Dmitri Shostakovich (integrando il materiale con discorsi di Stalin, Zdanov, e Dmitri Sepilov)

Ruoli: Organico: 4 bassi, coro misto, pianoforte
Composizione: 1948
Prima esecuzione: Mosca, Sala piccola del Conservatorio, 25 settembre 1989
Guida all'ascolto (nota 1)

Tre personaggi, che non hanno nomi propri, ma esistono come numeri e simboli: Unico, Duilio, Terzilio. Caratteri, svelati dalle rispettive iniziali: I. S. (come losif Vissaronovic: cioè Stalin), A. A. (Andrej Aleskandrovic, cioè Zdanov), D. T. (Dimitri Trofinovic Sepilov, funzionario di partito delegato ai problemi della cultura, noto per l'intervento al Congresso dei compositori del 1957, quando, assieme ad una serie di proclami anti-formalisti, pronunciò il nome di Rimsij-Korsakov sbagliando l'accento, e Sostakovic non dimenticherà l'affronto).

Accanto a loro, il coro, che suggella i propri brevi interventi con un invito agghiacciante "Sì, sì, sì, sì! Sì nei lager, dentro! Nei Lager".

No, non era prudente per Sostakovic pubblicare il testo di questo Rajok, antica forma di teatro di strada russo: al principio i suoi semplici quadri narravano vicende sacre ed edificanti, poi la cronaca quotidiana prese il sopravvento, trasformandosi presto in satira.

Ma ridere era piuttosto pericoloso nella Russia di Stalin; lo era nel 1948, dopo il Comitato Centrale del Partito Comunista nel quale Andrej Zdanov definì "formalista e antipopolare" il lavoro dei massimi compositori russi del tempo, compreso Sostakovic.

Lo era ancora nel 1957, al tempo di un celebre congresso dei compositori sovietici, dominato dall'intervento di quell'esemplare funzionario, Dimitri Sepilov, clonazione zdanoviana.

E sommamente imprudente poteva esserlo, il ridere, per un musicista che già aveva conosciuto il rigore della critica e la costrizione dolorosa dell'autocritica.

Ha scritto Manasir Yakubov, nel saggio pubblicato dalla Settimana Musicale Senese del 1993, in occasione della prima esecuzione italiana di Rajok: «Sostakovic trovò in sé le forze per sublimare in modo creativo le tragiche emozioni provocate dalla profanazione pubblica della sua arte e dall'umiliazione personale, riflettendo gli avvenimenti e i sentimenti di quei giorni in una segreta composizione satirica, nella quale potè scaricare il proprio amaro e sdegnato sarcasmo e il proprio riso».

Segreta: a differenza di quello scritto e musicato da Modest Musorgskij nel 1870, centrato sulla polemica allora bruciante tra "Nuova Scuola Russa" e "Partito Musicale Tedesco", Sostakovic non solo non firmò, ma neppure osò stampare il proprio Rajoh, che circolò clandestino, come tanti testi di Mandelstam, Zamjatin, della Achmatova.

Pubblicati in questo stesso programma, il testo e la prefazione - concepita come un Manuale d'insegnamento per diffondere "l'indirizzo realista contro l'indirizzo formalista" - raccontano quanto radicale potesse essere la parodia del regime, affidata alla penna dell'autore del Naso. La loro lettura è indispensabile per comprendere - «Ridiamo per non impazzire», diceva Chaplin - l'intento e il clima culturale e personale in cui matura questo melologo, cui l'autore iniziò a pensare dopo quel Comitato Centrale del 1948, per concluderlo negli anni Sessanta. Nell'archivio del compositore, a conferma della tenacia del progetto, sono conservati gli interventi pronunciati in quelle occasioni dai funzionari del partito.

La scrittura musicale ribadisce gli inviti del testo: viva la nostra tradizione folklorica, capace di comunicativa immediata; viva i canti politici popolari; viva la semplicità, dote suprema dell'artista quando si rivolge al suo popolo. Declamazione, canto sillabico, affermazioni stentoree, coro martellante, evocazioni di motivi caucasici e soprattutto georgiani, carissimi al compagno I. S. Unico, di inni politici. Andamento ritmico molto vario, con "audaci" inserimenti cromatici che interrompono le progressioni più tonalmente stentoree.

Appare anche, dopo le battute di Duilio a proposito della camera a gas nella quale bisognerebbe rinchiudere gli artisti dissidenti, il monogramma musicale dell'autore DSCH. Come lui stesso volesse dichiararsi corresponsabile di questa orrenda ironia, di questo gioco maligno, confuso anch'egli tra "gli attivisti e le attiviste musicali" che applaudono gli imperativi inviti di Duilio: "Negli interventi che farò... certo non introdurrò dissonanze!... E tanto meno atonalismi.

... Ci salverà Glinka, Kalinka, Malinka... E con Glinka, si sa, il domani è già qua".

L'autoflagellazione creativa come risorsa estrema, il ghigno triste della parodia. Che resta a volte l'ultima risorsa, per poter comunque testimoniare di esistere ancora. Attendendo.

Sandro Cappelletto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 5 dicembre 1997


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Ultimo aggiornamento 19 giugno 2013