Sonata per viola e pianoforte, op. 147


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Aria (o Novello) - Moderato
  2. Scherzo - Allegretto
  3. In ricordo del grande Beethoven: Adagio
Organico: viola, pianoforte
Composizione: 1975
Prima esecuzione: Leningrado, Glinka Sal, 1 ottobre 1975
Dedica: Fjodor Druijnin, viola del Quartetto Beethoven
Guida all'ascolto (nota 1)

L'estrema produzione di Sciostakovic appare improntata ad una netta riaffermazione dei valori più emblematici della tradizione della musica e specialmente della musica russa, nel presumibile intento di ritrovarvi un ancoraggio stabile dopo le vicissitudini artistiche e le alterne vicende civili che hanno contrassegnato la sua presenza di compositore contemporaneo nello Stato comunista nato dalla Rivoluzione d'ottobre. E' noto infatti che sotto l'egida del «realismo socialista» venne a configurarsi nell'Unione Sovietica uno stretto intreccio tra estetica e politica, anche per il fatto oggettivo della disponibilità di un pubblico nuovo di decine di milioni di individui messi in grado, dalla diffusione dell'istruzione collettiva, di poter fruire dell'evento musicale, da ammannirsi, secondo le direttive della burocrazia di stato, in maniera melodiosa e semplice: tanto meglio, secondo Zdanov e compagni, se il descrittivismo sonoro di genere oleografico poteva essere assunto come veicolo di propaganda collettiva.

Nel dopoguerra, alla maturata fusione di tutti i popoli dell'Unione Sovietica, nell'urgere della difesa dall'invasione nazista e nella successiva avanzata vittoriosa sino a Berlino, si era inteso far seguire un vero e proprio indottrinamento, convergente sulla più integrale unificazione nazionale, di forme, di linguaggio e di sostanza, su una base popolare che era soltanto quella della tradizione della Madre Russia. La cultura quindi doveva risultare altrettanto omogenea nell'unità di pensiero ed azione attorno al pilastro idiomatico sovietico, assunto secondo un'impostazione inequivocabilmente nazionalistica: e, per quanto riguardava la musica, indispensabile ricollegarsi all'impostazione concettuale della scuola nazionale dell'Ottocento russo ed al canto popolare.

Come ha notato Rubens Tedeschi, «chi rifiutava l'ideologia ufficiale, veniva a trovarsi automaticamente ai margini della vita attiva e la sua produzione, privata del contatto col pubblico, si riduceva ad un'esperienza di laboratorio, fatalmente sterile» Questo era accaduto per Sciostakovic ma la prima conseguenza della sua dolorosa sottomissione alle direttive dello Stato si era sostanziata nell'abbandono del genere teatrale a favore della produzione sinfonica, ancor al tempo del massimo fulgore della stella staliniana. Ed anche dopo l'illusoria parentesi del disgelo kruscioviano, appena l'operare creativo di Sciostakovic aveva generato contrasti o comunque equivoci nei confronti dell'accademismo ufficiale, egli s'era apparentemente adattato a ripiegare ulteriormente verso lavori d'organico cameristico, ritenendo, a ragion veduta, tali composizioni assai più elusive sotto il profilo politico, nell'intento però di riuscire a conservare la facoltà di manifestare certi suoi stilemi originali, lessicali ed espressivi. Tutto ciò appare evidente dall'eblematicità del Dodicesimo Quartetto (1968), scoperta ricapitolazione degli esiti artistici più suggestivi della magistrale abilità di scrittura di Sciostakovic, della sua tendenza a far convergere entro uno schema ad arco tutti i caratteri più rappresentativi della sua creatività artistica nei parametri ritmici, armonici, linguistici e strutturali, serrati assieme da una logica coerenza e sempre rapportati all'ambito tonale ed all'apoteosi della musica del XIX secolo, russa in particolare.

Il grande poeta Evtuscenko ha scritto recentemente, rammentando il primo anniversario della morte del musicista: «Con Sciostakovic è accaduto un miracolo: già da vivo tutti hanno compreso che era un genio e la forza del genio consiste proprio nel fatto che riesce a superare tutte le offese e a creare musica anche dalle sue sofferenze. Il talento di Sciostakovic è paragonabile a quello di Puschkin, era un grande maestro della linea da camera, un sottile filosofo e sempre colmo di forza satirica... Stavamo insieme quando mise mano alla XIII Sinfonia, si pose al piano e cominciò a suonare e cantare: aveva una voce molto strana, come se dentro fosse spezzata, rotta... Era un grande uomo... ricordo che una volta, parlando di un compositore, disse sospirando 'è un po' vigliacco, peccato, eppure è un grande talento musicale'. Compresi subito che per lui il genio e il male erano due cose incompatibili. Perché un vigliacco, anche con un grande talento, non può mai diventare un genio. I giudizi di Sciostakovic mi colpivano a fondo. Non mi piacevano però alcuni brani dei suoi articoli, scritti, secondo me, in modo formale e anonimo, a differenza della sua musica. Una volta glielo feci notare. Mi diede ragione e disse: 'in musica però non ho scritto nemmeno una nota che non corrisponda a quello che penso... forse per questo sarò perdonato'. ».

E Voskoboinikov - rievocando quanto Sciostakovic si fosse sempre adoprato presso i burocrati, novelli personaggi di Gogol, in favore di qualche artista di talento, privato d'arbitrio della casa, della famiglia, del posto in Conservatorio e come provasse imbarazzo per la propria impotenza, la debolezza che paralizza tutti in clima totalitario - ha attestato che «la sua musica è intessuta di questa tragedia, il mostro pauroso incombente nelle sue Sinfonie è appunto lo spietato implacabile totalitarismo. Nella IV e nell'VIII Sinfonia i tromboni gridano disperatamente l'approssimarsi delle tenebre, il rullo dei tamburi prepara il campo a una battaglia che in realtà non ci sarà perché le tenebre vinceranno comunque. Ma dopo questa vittoria della materia, non dello spirito, in alcune Sinfonie e in altri lavori rimane una melodia solinga, sospesa in narcosi, che con la sua dolcezza infonde non speranza ma torpore, come a rievocare un altro mondo.. Una volta il grande Neuhaus, ascoltante la Quinta Sinfonia, anelava con tale tensione alla risoluzione di accordi-dissonanze nella prima parte che, udito finalmente un puro do maggiore, scoppiò a piangere e fece con la mano un gesto, quasi avesse capito di che cosa si trattasse».

Nella produzione cameristica e per duo strumentale, alla Prima Sonata per violoncello e pianoforte, op. 40 (1934) e alla Seconda Sonata per violino e pianoforte, op. 134 (1968), si è aggiunta la Terza Sonata per viola e pianoforte, a cui Sciostakovic ha atteso negli ultimissimi giorni della sua esistenza.

La Sonata è dedicata a Fjodor Druzinin, uno dei maggiori violisti sovietici e membro del «Quartetto Beethoven» che ha curato la prima esecuzione assoluta della maggior parte dei quindici quartetti - voleva scriverne ventiquattro - di Sciostakovic. In un articolo apparso nel settembre 1975 sulla «Literaturnaja Gazeta», Druzinin ha riferito alcuni interessanti particolari sulla genesi di questa Sonata. In particolare, ha raccontato che il 25 giugno Sciostakovic gli telefonò e, dopo avergli detto che aveva un braccio paralizzato dalle conseguenze dell'ictus circolatorio, gli chiese alcuni consigli tecnici e soprattutto insistette per sapere se si poteva sonare sulla viola anche con quarte parallele. In un'altra telefonata, il 4 agosto, Sciostakovic informò Druzinin d'aver già scritto i primi due tempi della Sonata per viola e pianoforte, commentando che potevano intitolarsi rispettivamente «Novella» e «Scherzo». Aggiungeva però che soffriva e che era disperato dall'eventualità di non poter portare a compimento la composizione, anche perché in quello stesso giorno veniva ricoverato in ospedale. Due giorni dopo Druzinin ricevette un'altra telefonata dal musicista ed apprendeva che «grazie all'insonnia e ad un piccolo sforzo» era riuscito ad ultimare il terzo movimento, un Adagio in memoria di Beethoven e quindi la Sonata. Il 6 agosto il violista ebbe dalla famiglia l'autografo assieme ad un biglietto di Sciostakovic che riferiva il peggioramento della sua malattia che rendeva necessario il ricovero in un reparto speciale d'isolamento. Druzinin, commosso dall'aver letto in testa all'ultimo lavoro musicale scritto da Sciostakovic la dedica al suo nome, cominciò subito a studiarlo in vista di una prossima esecuzione, a cui si augurava avrebbe potuto assistere Sciostakovic, come era accaduto l'8 gennaio 1969, alla prima assoluta della Sonata per violino e pianoforte alla Grande Sala del Conservatorio di Mosca quando gli interpreti erano stati David Oistrakh - cui la composizione era dedicata in occasione del suo sessantesimo genetliaco - e Sviatoslav Richter: purtroppo però l'8 agosto Sciostakovic venne a mancare per un nuovo infarto.

La prima esecuzione assoluta della Sonata per viola ha avuto luogo il 25 settembre 1975, anniversario della nascita dell'autore, a Leningrado, interpreti Fjodor Druzinin alla viola e Michel Muntjan al pianoforte. Il celebre violoncellista Danil Shafran ha nel frattempo già eseguito questa Sonata in America in una sua trascrizione per violoncello, essendo ovviamente entrato in possesso di una delle centoventi copie dell'autografo realizzate dall'Ente Sovietico dei Concerti, mentre non si ha ancora l'edizione ufficiale a stampa.

Alla pari della XIV Sinfonia, anche questa Sonata è un continuo ripensamento sui valori della vita e della morte e, oltre ad estrinsecare una conoscenza straordinaria dei mezzi tecnici della viola in tutti i registri, oltre a sfruttare al massimo tutte le possibilità dinamiche dello strumento, costituìsce uno dei vertici del mondo spirituale di Sciostakovic, non certo una composizione di maniera. La Sonata è di ampie proporzioni, dura circa 28 minuti e si articola in tre movimenti, singolarmente modellati sul tipo delle analoghe composizioni delle età classica e romantica. Si riscontrano spesso delle analogie strutturali e d'inventiva con la Sonata per violino e piano, op. 134: entrambe infatti assegnano tempi più lenti ai movimenti estremi, mentre un Allegretto ne costituisce la sezione centrale. Salvo l'Allegretto, in entrambe le Sonate la tonalità è prevalentemente sospesa, alla pari dell'instabilità del materiale, ed il ripensamento dell'esperienza compositiva ottocentesca s'intreccia col tema della morte, pur senza rinunciare - alla pari degli ultimi lavori sinfonici e cameristici - ad originalità espressive ed armoniche, tipiche di Sciostakovic, alla sua peculiare perizia di scrittura e ad un sapore melodico russo tradizionale. Nella Sonata per violino la forma-sonata caratterizzava l'Allegretto, mentre invece nella presente Sonata per viola individua il Moderato iniziale, pur se applicata senza rigore scolastico. In entrambi i lavori il soggetto introduttivo del primo movimento è improntato ad un clima di densa concentrazione concettuale, affidato al pianoforte, preceduto, nella Sonata per viola, da alcuni pizzicati dello strumento ad arco. Dopo l'entrata in legato del pianoforte, il primo soggetto del Moderato viene esposto e sviluppato alternativamente dall'uno e dall'altro strumento, quasi sempre in 4/4, e con l'indicazione metronomica a 104; anche nelle indicazioni espressive e dinamiche si riscontra un analogo alternarsi di crescendo e diminuendo tra i due strumenti, assegnando però spesso pizzicati, glissandi, tremoli sul ponticello alla viola, e il legato al pianoforte. Dopo la ripresa, può ravvisarsi un secondo soggetto in un tema cromatico che, combinandosi con la melodia introduttiva, delimita l'ambito espressivo dell'intero primo movimento che, dopo una cadenza della viola, conduce a conclusione il Moderato, morendo nella tonalità prevalente del do maggiore.

Il secondo movimento della Sonata per viola è l'Allegretto in 2/4, con l'indicazione metronomica a 100, nella prevalente tonalità del si bemolle minore. Inizia il pianoforte in staccato ma è la viola a dettare subito i connotati di una cantabile melodia che potrebbe definirsi «neo-romantica» ma di gusto popolare russo. Tutto l'Allegretto enuncia di quando in quando vari moduli stilistici e lessicali tipici di Sciostakovic, a cominciare dall'andamento umoristico e grottesco che sembra sottolineare, in senso vitalistico, il tempo che passa. Configurato come un sorta di «Scherzo-Rondò», l'Allegretto è a tratti inframmezzato da episodi più cantabili che svolgono la funzione del Trio ed il relativo soggetto motivico ritorna in forma cadenzale, sempre affidato alla viola, nell'ultimo movimento, instaurando un'interessante unitarietà motivica nell'ambito dell'intero lavoro. Il tempo trapassa da 2/4 a 5/8 a 3/4 a 3/8 a 3/2 a 5/4, ogni volta ricadendo sul 2/4 fondamentale: marcatissimo il virtuosismo della viola, rispetto alla quale il pianoforte, quando non fa eco, resta in legato, spesso con accenti pesanti, mentre il movimento si conclude, morendo dopo vari episodi di bravura.

La pulsazione del tempo che passa assume particolare rilievo nell'ultimo movimento, Adagio, nella prevalente tonalità del do maggiore, tempo metronomico a 80. Una larga frase cantabile della viola in a-solo apre in 5/4 il movimento e quando trascorre al 3/2 la viola, in pizzicato, introduce il .pianoforte in legato e soltanto verso la fine del lungo Adagio, morendo, si fa ritorno al tempo primo. Interessanti sono spesso gli arpeggi del pianoforte, talvolta alternati agli a-solo della viola, al pari degli echi di atmosfere beethovernane, evocate dal ricorrere degli incipit di frammenti tematici o più spesso di cellule ritmiche, ed è proprio in tale prospettiva concettuale che si delinea il «Beethoven in memoriam» di cui Sciostakovic aveva fatto cenno a Druzinin durante la genesi del lavoro. Sempre stupefacente, nel corso dell'intero lavoro ed ancor più nel terzo movimento, la conoscenza dimostrata da Sciostakovic dei mezzi tecnici ed espressivi della viola, così come nella Sonata op. 134 era accaduto a proposito del violino. Gli ultimi accenti di questa Sonata sono improntati ad un intenso ripiegamento meditativo, quasi Sciostakovic intendesse dare l'addio all'esistenza - di cui consapevolmente bruciava gli ultimi palpiti nell'ansia febbrile di non lasciare incompiuto il lavoro - concentrandosi in se stesso. Gli estremi due fogli della partitura riflettono, in forma enigmatica, un senso di mistero: l'individuo di fronte al vuoto della morte.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 4 Marzo 1977


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 8 settembre 2011