Trio per pianoforte n. 2 in mi minore, op. 67


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Andante - Moderato
  2. Allegro con brio
  3. Largo
  4. Allegretto
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Ivanovo, 13 Agosto 1944
Prima esecuzione: Leningrado, Sala grande della Filarmonica, 14 Novembre 1944
Dedica: alla memoria di Ivan Ivanovich Sollertinsky
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sostakovic, si sa, non ebbe rapporti facili e tranquilli con il potere politico in Unione Sovietica e in più di una occasione i responsabili delle questioni ideologiche e culturali del suo paese intervennero per scomunicare o per lo meno censurare alcune composizioni dell'illustre musicista, costretto a volte ad umilianti ritrattazioni, in cui era evidente la preoccupazione dell'artista di difendere le proprie scelte linguistiche e tecniche. Si può dire che quattro furono i casi nei quali Sostakovic rimase impigliato tra le maglie della censura ufficiale sovietica. Una prima volta dopo la rappresentazione dell'opera Il Naso, avvenuta a Leningrado il 12 gennaio 1930 e accolta con diffidenza e irritazione dal regime staliniano per quella carica di anticonformismo e di avanguardismo che caratterizza questa partitura, ricca di umori satirici e di sberleffi timbrici e ritmici, molto vicini alla musica gestuale intuita dalla coppia Brecht-Weill. La seconda scomunica avvenne nel 1936 a causa dell'opera Lady Macbeth di Mzensk, rifatta poi con il nuovo titolo di Katerina Izmajlova e aspramente criticata per il suo «formalismo estraneo all'arte sovietica». Poi, nel 1945 le vivaci dissonanze racchiuse nella Nona sinfonia non mancarono di suscitare reazioni e osservazioni non troppo benevole verso l'autore. Infine, ma in modo più sfumato e non ufficiale, nel 1963 fu rimproverato al musicista di aver fatto ricorso nella Tredicesima sinfonia alle poesie di Evtusenko, sollevando artificiosamente «la cosiddetta questione ebraica» (infatti, nell'ultima delle cinque poesie si rievoca l'assassinio nel 1941 da parte dei nazisti di settantacinquemila ebrei a Babyi Yar, presso Kiev). Naturalmente, al di là delle polemiche e delle discussioni sulla complessa personalità di questo musicista, resta il fatto che in Sostakovic, specie in quello cameristico, non si è mai verificato un netto diaframma fra il tipo di linguaggio scelto e la spontaneità dei sentimenti espressi secondo le fondamentali leggi della tonalità. In tal senso il Trio op. 67, scritto nel 1944, in un periodo particolarmente drammatico della storia sovietica, è indicativo della natura schiettamente umana dell'artista, aperto ai problemi del nostro tempo e preoccupato di comunicare un messaggio comprensibile a tutti. Sotto questo aspetto va sottolineato come Sostakovic, dopo il disgelo politico e culturale post-staliniano, abbia sollecitato i giovani compositori del suo paese a conoscere «le correnti che sono di moda nella musica contemporanea europea per poter combattere con maggior successo contro ogni illusoria tentazione della novità ad ogni costo».

Il Trio inizia con un Andante di impianto melodico di piacevole musicalità, mentre il secondo tempo ha un andamento estrosamente ritmico e caratterizzato da idee di accattivante freschezza inventiva. Il Largo, forse il momento più intensamente felice della composizione, è contrassegnato da un lirismo introspettivo e meditativo, affiorante spesso nella poetica del migliore Sostakovic. Il Trio si conclude in un brillante gioco di chiaroscuri e tra slanci di allegre e fosforescenti sonorità.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La musica da camera di Dmitrij Sciostakovich - a lungo negletta a favore delle sue sinfonie, più immediatamente coinvolgenti per l'ascoltatore, a causa dei loro programmi più o meno espliciti, che prendono sempre posizione riguardo ai drammi collettivi e individuali dell'umanità del ventesimo secolo - si sta rivelando in questi ultimi anni come la parte della sua opera di più alta qualità musicale e soprattutto di maggiore profondità e potenza spirituale. La musica da camera era per Sciostakovich un antidoto ai suoi obblighi di cantore degli anniversari ufficiali e di autore di musica da film (in certi periodi solo questo genere di attività gli permise di sopravvivere!) e non è dunque un caso che diede inizio al grande ciclo dei suoi quindici quartetti per archi nel 1938, nel periodo più difficile della sua vita sul piano umano e artistico, quando era stato messo al bando dalla vita musicale ufficiale in seguito alla pubblicazione sulla Pravda dell'articolo "Caos invece di musica", ispirato dallo stesso Stalin, che non aveva gradito la sua opera Lady Macbeth del distretto di Mtsensk.

Può essere accostato ai quartetti, per affinità di forma e di valori espressivi, il Trio n. 2 in mi minore per pianoforte, violino e violoncello op. 67, composto tra il febbraio e l'agosto del 1944 ed eseguito il 14 novembre dello stesso anno. Già da un paio d'anni la Settima Sinfonia, dedicata alla eroica resistenza di Leningrado contro le armate di Hitler, aveva riportato in auge la musica di Sciostakovich, ma erano egualmente momenti difficili; alla tragedia della guerra si aggiunse il dolore per la morte prematura a causa d'un infarto di Ivan Sollertinskij, compagno carissimo fin dai tempi del Conservatorio, rimastogli fedele anche quando tutti gli avevano voltato le spalle, allorché, in seguito alla condanna staliniana della sua musica, era diventato scomodo e perfino pericoloso essergli amico. Sciostakovich volle dedicare un trio alla memoria dell'amico scomparso, riprendendo la tradizione iniziata da Ciajkovskij e Rachmaninov.

Il taglio formale è apparentemente quello tradizionale in quattro movimenti, ma ogni movimento ha una forma originale. Il primo evolve liberamente a partire dalla spettrale melodia iniziale, affidata alla sonorità sorprendente e sconcertante degli acutissimi armonici del violoncello, cui s'aggiungono in canone il violino, usato invece nel suo registro più grave, e il pianoforte: è avvertibile in questa melodia un tono inconfondibilmente russo, sebbene non sia ravvisabile nessun preciso elemento della musica popolare. A questo Andante introduttivo s'allaccia senza interruzione il Moderato, avviato dal pianoforte che riprende con voce sorda l'andamento pensoso dell'introduzione. Il movimento prosegue con grande libertà, ma le prime quattro note del tema iniziale sono la matrice di tutto il movimento e danno unità a un materiale melodico in continua metamorfosi, ritornando come incipit di nuovi temi o come controcanto.

Mentre il primo movimento è ampio e tematicamente instabile, il secondo è succinto e molto definito sul piano melodico. È un Allegro non troppo, che non concede un attimo di respiro: motivi turbinanti, spettacolari e virtuosistici ma privi di allegria lo percorrono con una potenza senza cedimenti e con uno slancio implacabile, che non possono essere arrestati altrimenti che con un taglio brusco e netto.

Il successivo Largo è semplicissimo, spoglio, funereo: non è che una sequenza di otto lenti accordi, ripetuta sei volte dal pianoforte, mentre violino e violoncello intessono un dialogo serrato e intenso: è il momento in cui l'autore rivolge i suoi pensieri più personali e più delicati alla memoria dell'amico scomparso.

A questa meditazione funebre si collega senza interruzione il finale (Allegretto). E un rondò dal carattere di "danza macabra", di volta in volta straziante, violenta, sommessa, urlante e gemente. Dopo quattro battute di note in staccato e pianissimo del pianoforte, il violino introduce in pizzicato un tema sinistro, che coinvolge prima il pianoforte e poi il violoncello. I tre strumenti s'impegnano in una strana danza in 5/8, simile a un valzer deforme, in cui, come in altri momenti di questo finale, si possono riconoscere caratteri della musica ebraica, reinventati da Sciostakovich. Il violino interrompe questo sabba notturno, introducendo il tema dell'Andante iniziale, cui s'unisce il violoncello. Pianoforte e strumenti ad arco si contrappongono sempre più nettamente, il primo con bizzarri arabeschi, gli altri due col tema danzante. Nella coda gli strumenti si riconciliano in un maestoso e luttuoso corale, che si rarefà fino a dissolversi nel nulla.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 2 op. 67 venne composto da Sostakovic tra il 13 febbraio e il 15 agosto del 1944, con dedica alla memoria di Ivan Sollertinskij, uomo di cultura e critico musicale suo grande amico. È una pagina drammatica e tesa, nella quale si alternano momenti di intenso lirismo a episodi scherzosi, al limite del grottesco.

L'Andante si apre col violoncello che intona suoni armonici con sordina creando un'atmosfera di grande suggestione timbrica. Il pianoforte riprende poi il tema principale (in ottava a due mani), mentre violino e violoncello continuano le loro linee melodiche precedenti: ne nasce un nostalgico contrappunto. Il discorso musicale si anima poi nel Moderato, con le crome ribattute in violino e violoncello sulle quali si staglia una variazione del tema principale affidata al pianoforte. La trama contrappuntistica si infittisce con lo sviluppo del tema principale ad opera prima del violino solo, poi di violino e violoncello, ora senza sordina. Il secondo tema, Poco più mosso, è brillante e vivace, dal carattere quasi di danza, e viene presentato dai tre strumenti in imitazione. Un episodio misterioso, tutto giocato sul pizzicato degli archi e sui rapidi guizzi del pianoforte sfocia nella ripresa del tema del Moderato, ora esposto da violino e violoncello in fortissimo, e del secondo tema,

Il movimento successivo è un Allegro con brio e ricopre il ruolo del tradizionale scherzo. Il tema principale, dall'incredibile slancio ritmico, viene presentato dal violino e viene subito ripetuto in imitazione dal violoncello. Il pianoforte appoggia i tempi forti con secchi accordi staccati.

Il secondo tema, che si innesta abilmente nel tessuto del primo, è una linea discendente a note ribattute e accentate, una sorta di "sghignazzo" musicale. Senza tregua, Sostakovic fa seguire un terzo tema, anch'esso dal carattere scherzoso, quasi goliardico, costituito da una serie di tre appoggiature accentate ascendenti cui rispondono tre appoggiature discendenti. Una breve ripresa del tema principale, al quale si sovrappone subito il secondo tema, precede la sezione centrale, il Trio nella classica forma dello scherzo: è un episodio in sol maggiore, con un nuovo motivo dal carattere di danza esposto dagli archi, e si presenta a noi come una parentesi gioiosa, una sorta di spensierata danza campestre. Una ripresa del tema principale porta poi il discorso musicale ad animarsi fin quasi al parossismo; il pianoforte insiste con crome ripetute nel registro acuto, mentre gli archi incalzano con veloci pizzicati, La coda ripropone alcuni elementi motivici del terzo tema.

Il Largo è interamente costruito sopra un lento basso di passacaglia armonizzato dal pianoforte, sopra il quale si leva una cantilena triste e malinconica esposta dal violino e ripresa dal violoncello. I due archi intrecciano poi le loro voci, mentre il pianoforte ripete per tre volte la serie di accordi della passacaglia.

L'Allegretto finale risente in maniera evidente degli influssi del modalismo orientale, a partire dal tema principale esposto dal violino in pizzicato sopra l'ostinato ritmico del pianoforte per continuare col secondo tema, dal carattere percussivo, esposto dal pianoforte e accompagnato da ampi accordi in pizzicato degli archi. Un nuovo episodio in 5/8, tempo caratteristico della musica popolare russa, ci viene proposto dal violoncello nel suo registro acuto sopra i delicati arpeggi del pianoforte, prima che Sostakovic riutilizzi tutto il materiale motivico fin qui udito in un intenso episodio di sviluppo contrappuntistico, nel quale le voci dei tre strumenti si rincorrono e si intrecciano.

Il culmine emotivo del movimento lo si raggiunge col violoncello, che riprende il secondo tema, fortissimo e appassionato, animando il discorso musicale sino all'enfatica perorazione del tema in 5/8, con gli archi in più che fortissimo e le pesanti ottave del pianoforte. Poi Sostakovic gioca con la ripetizione, sempre diversa timbricamente, dei temi uditi in precedenza e si spinge fino a far riecheggiare gli armonici del primo movimento (violino e violoncello) e gli accordi della passacaglia del terzo movimento, sopra i quali udiamo per l'ultima volta il tema principale in un richiamo alla forma ciclica che già avevamo osservato nel Trio op. 8.

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 28 giugno 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 novembre 2004
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 201 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 7 luglio 2017