Stormen (La tempesta), op. 109 n. 2

Suite n. 1 per orchestra dalla musica di scena per Shakespeare

Musica: Jean Sibelius (1865 - 1957)
  1. Tammi - Andante sostenuto
  2. Humoreske - Allegro comodo
  3. Calibanim laulu - Allegro comodo
  4. Elonkorjaajat - Allegro
  5. Canon - Allegro
  6. Scene - Allegretto
  7. Intrada. Berceuse - Largo. Andante sostenuto
  8. Interlude. Ariel's Song - Poco adagio
  9. Der Sturm - Largo
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, clarinetto piccolo, clarinetto, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tamburo basco, tamburo militare, xilofono, arpa, archi
Composizione: 1927
Edizione: W. Hansen, Copenaghen, 1929
Guida all'ascolto (nota 1)

Le musiche di scena, che servono ad accompagnare una rappresentazione teatrale, sono raramente eseguite in concerto se non in forme rielaborate. Per La Tempesta di Shakespeare hanno scritto musiche di scena, tra gli altri, Ernest Chausson (nel 1888) e Engelbert Humperdinck (nel 1906). Ma le più famose restano quelle composte da Sibelius nel 1925. Anche in questo caso il suggerimento venne da un amico. Axel Carpelan aveva cominciato a spingere Sibelius verso Shakespeare già nel 1901 - "La Tempesta dovrebbe essere un soggetto molto adatto per te: Prospero (mago), Miranda, spiriti della terra e dell'aria [...]" -, ma l'impulso concreto venne molti anni dopo, quando l'editore Wilhelm Hansen gli chiese di scrivere le musiche di scena per un allestimento al Kongelige Teater di Copenaghen. Nell'estate del 1925 il regista Johannes Poulsen si trasferì ad Helsinki e trascorse diverse settimane a discutere con Sibelius di questo progetto, ma il lavoro musicale prese forma, in maniera sorprendentemente veloce, solo nell'autunno del 1925: il risultato fu un ampio affresco (della durata di più di un'ora) per soli, coro a voci miste, harmonium e grande orchestra, suddiviso in 34 numeri, e caratterizzato da una grande ricchezza timbrica (data anche dalla ricerca di inusuali combinazioni strumentali) e da un certo eclettismo stilistico (si possono cogliere rimandi alla musica barocca, a Purcell, accanto a elementi cromatici ed esatonali, ad ammiccamenti neoclassici e soluzioni onomatopeiche). Sono elementi che servivano al compositore per dare la massima caratterizzazione ai diversi personaggi e situazioni sceniche, ma che dimostrano anche la straordinaria fantasia inventiva di un compositore all'epoca sessantenne (c'è anche chi sostiene che la scelta dell'argomento sia legata ad una sorta di identificazione di Sibelius col personaggio di Prospero). Lo spettacolo andò in scena il 15 marzo 1926, con un grande successo. Tre anni dopo Sibelius ricavò da questa partitura due Suites da concerto, ciascuna composta da una serie di movimenti che non seguono l'ordine originale dello spettacolo teatrale, che in qualche caso appaiono rimaneggiati nell'orchestrazione, o che nascono dalla fusione di due diversi numeri delle musiche di scena. In queste rielaborazioni Sibelius sembra selezionare i momenti descrittivi, le scene più vivide, i ritratti musicali dei personaggi, per poi rimontare questo materiale in un'architettura articolata, cercando di dare un ordine, una logica musicale alla folla di temi, di micro-episodi, di umori e di atmosfere che emergono nelle musiche di scena.

Nei movimenti della Suite n. 1 Sibelius inserisce diversi episodi associati ad Ariel: nel primo movimento (La quercia: Andante sostenuto), la scena di Ariel che suona uno zufolo ricavato da un ramo di quercia è evocata da una strana melopea del flauto, accompagnato da un'originale combinazione di arpa, harmonium e archi con sordina; Ariel, e l'elemento magico a lui associato, ritornano nell'Intermezzo e Canzone (n. 8: Poco adagio - Largamente assai), con una misteriosa introduzione e un aggraziato, ma sempre sinistro, melodizzare degli archi. Nei numeri riferiti a Caliban, Stefano e Trinculo, domina il tono farsesco: in Humoreske (n. 2: Allegro commodo) con i clarinetti che emergono sguaiatamente sul pizzicato degli archi; nella clownesca Canzone di Calibano (n. 3: Allegro commodo), con gli ottoni e le pesanti punteggiature delle percussioni; nella grottesca marcetta del Canone (n. 5: Allegro) accompagnata da un ribattuto ossessivo dei legni. Ci sono poi le danze dal sapore popolaresco: nelle ronde paesane dei Mietitori (n. 4: Allegro), con i legni che mimano suoni di cornamuse; nella brevissima Scena (n. 6: Allegretto), col suo fitto dialogo tra figure piccanti dei legni e pizzicati degli archi. E infine l'unico momento veramente lirico nella Intrada e Berceuse (n. 7; Largo - Andante sostenuto) che fonde due numeri legati a Prospero, facendo emergere una melodia lenta e soave, esposta prima dai violini, poi dal clarinetto (si riferisce alla magia usata da Prospero nel primo atto per addormentare la figlia Miranda), prima che la Tempesta ritorni (n. 9: Largo - Largo assai) come movimento conclusivo.

Gianluigi Mattietti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 24 marzo 2012


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Ultimo aggiornamento 3 febbraio 2016