Compositore e pianista, Alexander Scriabin compì gli studi musicali al Conservatorio di Mósca con Taneiev, Arenski e Safonov. Impostosi prima come pianista che non come compositore, Scriabin, esattamente come qualche anno dopo Prokofief, fu costretto per qualche tempo a trascurare la sua fondamentale vocazione per la composizione. Poco conosciuto in Europa, dove negli stessi anni dominava la prospettiva musicale imposta da Richard Strauss, trovò finalmente nel 1908 in Kussevitzki l'ardente apostolo della sua musica. Proprio grazie a Kussevitzki (e precisamente alle «Editions Russes de Musiques» che il grande direttore amministrava), Scriabin fu messo nelle condizioni di scrivere quel Prometeo che generalmente è considerata la sua più significativa composizione.
La differenza fondamentale tra Alexander Scriabin e i compositori del gruppo dei «Cinque» e dei loro continuatori sta nel fatto che, mentre l'orientamento di questi ultimi era determinato dal desiderio di mantenersi fedeli alla prospettiva di un'arte nazionale ed antioccidentale, l'ambizione di Scriabin si fondava sopra uno spregiudicato eclettismo impegnato soprattutto a nuove ed originali ricerche linguistiche; e questa ambizione crebbe dal giorno in cui cominciò ad accarezzare l'idea di compiere qualcosa di eccezionale, unico, senza precedenti: una sintesi di tutte le arti, in cui la musica non fosse fine a se stessa ma solo uno dei molti mezzi per produrre uno stato di estasi.
Con Il poema
divino op. 43 del 1905 e Il poema dell'estasi
op. 54 del 1908, il Prometeo,
scritto nel 1910 ed eseguito per la prima volta a Mosca nel 1911,
appartiene all'ultima produzione musicale di Scriabin, immaturamente,
scomparso all'età di 43 anni. In esso le aspirazioni misticheggianti ed
il complesso simbolismo che caratterizzano tutta la produzione
sinfonica scriabiniana, sono unite ad un linguaggio armonico che si
allontana dal sistema tonale. Il pianoforte ha nel Prometeo un
rilevante ruolo concertante mentre l'organo interviene solo alla fine
insieme al coro. La trama dell'opera può essere chiaramente espressa
dalle indicazioni apposte sulla partitura dallo stesso compositore:
«Lento. Brumeux - avec mystère - contemplatif - joyeux - étincelant -
voluptueux, presque avec douleur - avec délice - avec un intense désire
- impérieux - avec émotion et ravissement - voilé, mysterieux - limpide
- sourd, menacant - avec défi, belliqueux, orageux - avec un splendid
éclat - déchirant, comme un cri - subitamment très doux - avec une joie
éteinte - avec émotion et ravissement, puis voile mysterieux - suave
charme - étincelant - victorieux - sublime - de plus en plus lumineux
et flamboyant - flot lumineux - aigu, fulgurant - extatique - avec un
éclat éblouissant - ailé, - dansant - dans un vertige».
A proposito della problematica musicale di Scriabin e in particolare di quella messa in atto dal Poema del fuoco, le opinioni della critica internazionale, «scioccata» da un apparato la cui grandiosità superava persino quella dei romantici tedeschi, furono alquanto discordi. Se Ernest Newman comprese l'importanza fondamentale del lavoro, destinato ad acquistare un peso di non poco conto sugli sviluppi della musica europea novecentesca, altri, come il Gray, non seppero resistere alla tentazione di scrivere spiritosaggini tendenti a stroncare una musica tutt'altro che sottovalutabile, anche dal punto di vista storico.
I due giudizi così contrastanti e così nettamente esemplificativi del dibattito critico che all'inizio del '900 fu condotto intorno al nome di Scriabin, meritano di essere citati integralmente. Ernst Newman, dopo la prima esecuzione a Londra, scrisse: «Ci troviamo di fronte a una musica che, per quanto è possibile oggi, è quella che più si avvicina alla pura voce della Natura e delle anime stesse... Il vento che vi soffia dentro è veramente il vento del cosmo. Le grida di desiderio, di passione e di estasi sono una specie di sublimazione quintessenziale di tutto l'Amore, non solo dell'umanità, ma di tutta la natura, animata e inanimata ».
Cecil Gray, a sua volta, credette opportuno, e proprio nel momento in cui la musica di Scriabin stava diffondendosi nell'intera Europa, di esprimere questa perentoria quanto acritica affermazione a proposito del Prometeo: «Che esso sia riuscito ad imporsi al pubblico e abbia continuato a far presa su di esso per tanto tempo è una delle aberrazioni più inspiegabili nella complessa e mutevole storia dell'arte (.....) Scriabin ci ha offerto una musica sintetica, un prodotto che sta alla musica come la saccarina allo zucchero o le perle coltivate alle perle vere. Essa riesce a soddisfare pienamente ogni forma di critica più meccanica e pedestre. Ha tutta l'apparenza dell'arte. In essa vi è tutto tranne il principio vitale». Amenità pseudo-critiche, queste del Gray, che crollano miseramente di fronte ad un'ultima citazione estratta da un saggio di un musicista che, fra l'altro, non è notoriamente un patito di Scriabin: Gianandrea Gavazzeni. Scrive dunque Gavazzeni: «La partitura del Prometeo va guardata, sminuzzata, fatta a pezzi: dall'esasperazione cromatica siamo proprio qui alle soglie di un mondo armonico nuovo, tale e quale come avviene negli impressionisti. Soltanto che Scriabin, la curva, l'ha percorsa, tutta: si potrebbe dire che conduce l'armonia da Chopin sin quasi a Schönberg! E non è dir poco. L'ultima raccolta dell'occidentalismo russo».
Giovanni Ugolini