Composto a Garmisch nel giugno del 1913, dopo il Rosenkavalier e la prima versione di Ariadne auf Naxos, e durante la gestazione della Frau ohne Schatten e dell'azione teatrale Josephlegende, il Deutsche Motette op. 62 appartiene a uno dei repertori meno noti ed eseguiti di Richard Strauss, quello delle composizioni corali a cappella, che pure annovera alcune tra le sue pagine più sperimentali e ricche di immaginazione, come gli Zwei Gesänge op.34 del 1897 su testi di Schiller e Rückert, i Männerchöre op. 42 e op. 45 del 1899 su testi di Johann Gottfried von Herder, Die Göttin im Putzzimmer per coro a otto voci, composta nel 1935 ancora su testo di Rückert, An der Baum Daphne, del 1943, per coro a nove voci, una specie di riflessione corale sull'opera Daphne ricca di raffinatezze armoniche e polifoniche. Si tratta comunque di pagine lontane da qualsiasi ispirazione religiosa (fatta eccezione per quattro parti di una Messa, Kyrie, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei, composte nel 1877, quando Strauss aveva solo 13 anni!), e anche il termine Mottetto è usato solo in senso formale, riferito al modello dei grandi Mottetti rinascimentali.
Lavoro molto esteso per quattro solisti (soprano, mezzosoprano, tenore e baritono) e coro misto a cappella (a sedici parti reali), ha come testo una poesia di Friedrich Rückert, una meditazione dal carattere misterioso e solenne (anche per la reiterazione delle parole "o wach in mir!"), con un contenuto spirituale che Strauss interpreta come una preghiera per l'ispirazione e la forza creatrice.
Composto su commissione di Hugo Rüdel, direttore di coro della Hofoper di Berlino, il Deutsche Motette fu diretto per la prima volta dallo stesso Rüdel nel dicembre del 1913 alla Philharmonie di Berlino, con un grande successo. Strauss fu molto soddisfatto di questo pezzo («un lavoro davvero buono»), nel quale sfoggiò tutta la sua scienza contrappuntistica, toccando momenti di assoluto vertice (come nella doppia fuga che conclude la Symphonia domestica), e dimostrando come per lui il contrappunto rappresentasse non una disciplina rigorosa, vincolata a regole severe, ma una vera e propria sfida, un gioco spinto ai limiti delle possibilità, virtuosistico, condotto su percorsi armonici complessi e sempre pieni di sorprese. Tutte le voci raggiungono gli estremi della loro estensione (come già avveniva negli Zwei Gesänge op.34), e vengono trattate come fossero degli strumenti, capaci di muoversi in una tessitura complessiva di più di quattro ottave (dal si grave dei bassi al re bemolle acuto dei soprani), e di ottenere una vasta gamma di colori giocando anche sulle dinamiche, sulle variazioni di densità, sulle diverse combinazioni tra le parti.
Considerata per le difficoltà di esecuzione una delle partiture più "pericolose" di tutto il repertorio vocale, mostra tuttavia una grande trasparenza melodica, e un'estrema nitidezza nei contenuti espressivi, con una forma complessivamente articolata in due grandi sezioni. La prima prende avvio con un andamento tranquillo e una polifonia densa, dalla quale affiorano squarci melodici delle voci soliste, e prosegue in un'atmosfera incantatoria fino al verso "Lass nicht die Macht der Finsternisse" che introduce disegni di terzine più animati. La seconda sezione coincide con la parte conclusiva della poesia di Rückert, dal quartultimo verso "O zeig mir, mich zu erquicken, ini Traum das Werk", ed è costruita come una fuga che parte da un motivo molto semplice e si dispiega in una impressionante trama contrappuntistica, di straordinaria complessità, che si stempera sul penultimo verso "in deinem Schosse will ich schlummern, bis neu mich weckt", quando i solisti attaccano una coda, che ha l'andamento di una berceuse.
Gianluigi Mattietti
(Traduzione Gianluigi Mattietti)