Guntram segna l'esordio teatrale di un
musicista ancor
giovane ma già artisticamente maturo, come dimostra la serie
dei poemi sinfonici composti negli anni precedenti. Era stato
l'amico e mentore Alexander von Ritter a indirizzare Strauss
verso gli approdi teatrali, a insistere perché vincesse il
pavor reverenziale ispiratogli da Wagner: sempre Ritter lo persuase a
redigere personalmente il testo poetico, per garantire una
più raffinata corrispondenza di musica e parola. Eccezion
fatta per Intermezzo,
a metà della sua parabola operistica, e per Capriccio, con cui
si congedò dal teatro, Strauss avrebbe poi sempre preferito
rinunciare alla dimensione utopica del librettista di se stesso, non
sentendosi all'altezza: ancora negli ultimi anni di vita
riconosceva con imparziale lucidità le mende letterarie di Guntram, ritenendo
comunque che non pregiudicassero la godibilità
dell'insieme. La vicenda, con il suo sfondo medioevale,
trasuda wagnerismo per vari aspetti. Strauss era stato molto scrupoloso
nel delineare l'ambientazione e aveva letto diversi saggi sul
Medioevo, per poterne cogliere il carattere senza scadere in contorni
generici e fiabeschi. La presenza dei cantori, l'attrazione
irresistibile di Guntram e Freihild, il tema della rinuncia
all'amore riconducono però inevitabilmente a
Wagner, allineando Guntram a una nutrita serie di lavori teatrali
contemporanei, tedeschi e francesi, che filtrano il passato medioevale
attraverso il ritratto che ne avevano offerto Tannhäuser,
Lohengrin
e Tristan.
La versione originaria venne parzialmente modificata da Strauss alla fine degli anni Trenta; nella nuova veste l'opera fu rappresentata nel 1940, sempre nel teatro di corte di Weimar che l'aveva tenuto a battesimo. I ritocchi interessano soprattutto la partitura: dal Rosenkavalier in poi il compositore aveva sempre cercato di bilanciare il rapporto musica/parola, in modo che quest'ultima non venisse sopraffatta da un sovraccarico orchestrale; l'organico di Guntram dovette sembrare spropositato allo Strauss degli ultimi anni, che tentò di alleggerirlo per non compromettere l'intelligibilità del testo. Altre modifiche furono volte invece a eliminare dalla trama alcuni risvolti troppo noir: sparì il terzetto dei cortigiani cospiratori nel secondo atto, venne tagliata l'apparizione del fantasma di Robert nel terzo. Con Guntram il wagnerismo di Strauss tocca il vertice, ma viene, per così dire, esorcizzato in una sorta di mimesi liberatoria: come se il musicista riassumesse nel modo più completo e artigianalmente perfetto tutto quanto assimilato negli anni di formazione, inquadrandolo sì nell'orbita di Wagner, ma già preparandosi a conseguire traguardi ben più personali. Nelle Betrachtungen zu Joseph Gregors Weltgeschichte des Theaters, scritte molti anni dopo, Strauss parla di quest'opera come del «lavoro di apprendistato di un wagneriano in erba». Geniale apprendistato, in ogni caso, che fa tesoro del magistero sinfonico acquisito con i poemi e che proprio per questo sbilancia il rapporto musica/parola a favore di uno schiacciante predominio orchestrale. Se la canzone intonata da Guntram nel secondo atto suona come uno smaccato prestito dai Meistersinger o, ancor più indietro, dal Tannhäuser, il preludio al primo atto, pur ricordando Lohengrin per il lucore palpitante dei tremoli ai violini, è una pagina compatta e originale, il cui tema di esordio verrà citato in Ein Heldenleben. Un'eco di Tod und Verklärung fa capolino invece nel primo atto, durante l'aria "Ein glücklicher Loos?" di Guntram, alla parola 'Kindheit'. Nel secondo atto, la scena conclusiva con Freihild sola anticipa una costante della drammaturgia straussiana, quella cioè di affidare i finali d'atto alla protagonista, sola in scena con i suoi rimpianti e i suoi desideri; fra l'altro la parte di Freihild è alquanto impervia, e Strauss la modellò appositamente sulle possibilità vocali di Pauline de Ahna, sua futura consorte, con cui si fidanzò proprio durante le prove di quest'opera.