Agon

Balletto per 12 danzatori

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Libretto: Georges Balanchine
  1. a. Pas-de-Quatre
    b. Double Pas-de-Quatre
    c. Triple Pas-de-Quatre
Prelude
  1. [First Pas de-Trois]
    a. Saraband-Step
    b. Gailliarde
    c. Coda
Interlude
  1. [Second Pas-de-Trois]
    a. Bransle Simple
    b. Bransle Gay
    c. Bransle de Poitou
Interlude
  1. a. Pas-de-Deux
    b. Four Duos
    c. Four Trios
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, timpani, xilofono, 3 tom-tom, castagnette, arpa, mandolino, pianoforte, archi
Composizione: dicembre 1953 - Hollywood, 27 aprile 1957
Prima esecuzione: Los Angeles, Philarmonic Auditorium, 17 giugno 1957 (in forma di concerto); New York, City Center Theater of Music and Drama, 1 dicembre 1957 (in forma scenica)
Edizione: Boosey & Hawkes, New York, 1957
Dedica: Lincoln Kirstein e Georges Balanchine
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Agon, composto fra il dicembre 1953 e l'aprile 1957 (la partitura è datata: "26 aprile 1957") è una «suite» di danze ispirata dai «ballets de cour» dell'epoca di Luigi XIII e di Luigi XIV. Il lavoro fu concepito senza alcuna idea preconcetta di argomento o di scenario: il titolo, per Strawinski, significa semplicemente «competizione». Quanto al carattere «coreografico» di questa competizione il musicista lascia al coreografo la più grande libertà, pur mostrando, una particolare predilezione per quella realizzata da Balanchine il 1° dicembre 1957.

Il piano di lavoro stabilito dal compositore è il seguente :

Parte prima

  1. Passo a quattro (quattro danzatori, col dorso voltato verso il pubblico, si avvicinano)
  2. Doppio passo a quattro (otto danzatrici)
  3. Triplo passo a quattro (otto danzatrici e quattro danzatori). Coda. Dal punto di vista della forma musicale, questa danza è una variazione e uno sviluppo di B).

Parte seconda

  1. Preludio (orchestra)
  2. I° Passo a tre (un danzatore e due danzatrici)
    1. Sarabanda (solo del danzatore)
    2. Gagliarda (le due danzatrici)
    3. Coda (un danzatore e le due danzatrici)
  3. Interludio (orchestra)
  4. II° Passo a tre (due danzatori e una danzatrice)
    1. Bransle semplice (due danzatori)
    2. Bransle gaio (danzatrice sola). Un disegno di Strawinski indica che solo la danzatrice deve volgere la testa successivamente verso ognuno dei due danzatori nei due momenti della partitura in cui gli strumenti tacciono e soltanto le castagnette suonano.
    3. Bransle doppio del Poitou (due danzatori e una danzatrice)
  5. Interludio (orchestra)
  6. Passo a due:
    Adagio (un danzatore e una danzatrice)
    Variazione (un danzatore)
    Variazione (una danzatrice)
    Refrain (un danzatore)
    Coda (un danzatore e una danzatrice).

Parte terza

  1. Alla stretta (Orchestra: archi, ottoni, batteria, pianoforte)
  2. Danza dei quattro Duo (quattro coppie)
  3. Danza dei quattro Trio (Archi e ottoni - Quattro coppie)
  4. Coda dei tre Quartetti (Tutta da compagnia - Archi e ottoni). Verso la fine, quando suonano solamente gli ottoni, le danzatrici escono dalla scena e i danzatori ritornano alla posizione di partenza, col dorso rivolto al pubblico, come all'inizio del balletto.

Questo per l'architettura dell'opera, la quale se, sotto certi aspetti si riallaccia alla tradizione dei balletti neo-classici, per certi altri se ne stacca profondamente, e non solamente per il largo impiego che Strawinski fa della tecnica dodecafonica-seriale. Poiché questo lavoro, cominciato nel dicembre 1953 in uno stile diatonico modale, interrotto più tardi dalla composizione dell'In memoriam Dylan Thomas e del Canticum Sacrum, e ripreso nel 1956, dopo l'esperienza dodecafonico-seriale, fu terminato appunto con quest'ultima tecnica. Si poteva pensare a un risultato eterogeneo, frammentario sapendo che Strawinski aveva conservato le pagine già composte: ma sarebbe non conoscere il nostro musicista.

Qualche data ci aiuterà: nel dicembre 1953 Strawinski scrive la Fanfara che apre e conclude il lavoro, e poco più tardi l'ultima parte del Doppio passo a quattro; nella primavera dell'anno seguente, i due quinti del lavoro sono già composti. Ma allora il musicista s'interrompe per dedicarsi alla composizione dei due lavori più sopra ricordati. Nella primavera del 1956 Agon è ripreso: Strawinski compone allora i primi due Bransle (è un'antica danza francese di caratteri diversi secondo le province in cui veniva danzata), nell'agosto dello stesso anno, a Venezia, compone il terzo, e il resto del lavoro fu terminato tra il febbraio e l'aprile del 1957.

Volendo conservare le musiche composte tre anni prima (ma che furono in parte riscritte e ristrumentate) Strawinski si trovava ancora una volta dinanzi al problema che gli si era presentato per il Rossignol: quello di dare una unità a un lavoro di due stili diversi. E la soluzione, del problema non poteva essere più la stessa.

Nondimeno Strawinski trovò una nuova soluzione, e più geniale della prima: da un lato si servì di «ripetizioni» della musica composta all'inizio e riformulata prima di integrarla nella partitura: così la Fanfara iniziale viene ripetuta alla fine del balletto, il Preludio (II parte) viene ripetuto con qualche modificazione, nei due Interludi. Ma questa non era che una parte della possibile soluzione: a costituire una forte unità autentica Strawinski provvide incorporando nelle «serie» create per ogni danza, gli «intervalli melodici» principali delle pagine già composte, e giungendo così al risultato che si la musique est sérielle, on ne s'en aperçoit ni ne s'en soucie guère (R. Craft).

Un'analisi della struttura di ogni pezzo, nonché della composizione strumentale - per la prima volta, dopo il 1945, Strawinski ritorna a usare la grande orchestra, e sia pure senza utilizzarla mai in tutta la sua potenza, ma dando ad ogni danza un insieme strumentale appropriato e originale - sarebbe interessantissima; ma richiederebbe troppo tempo e spazio, e non è questo il luogo né il momento per farla.

Bastino questi pochi cenni per destare l'attenzione e l'interesse dell'ascoltatore su questo singolare lavoro di un musicista settantacinquenne, creazione sorprendente per la freschezza e per la forte struttura unitaria, che potrebbe anche segnare l'apertura di una via dove le varie tendenze, spesso contradditorie, che sconvolgono la musica del nostro tempo, potrebbero conciliarsi rinnovando l'antica «concordia discors».

Domenico De Paoli

Guida all'ascolto 2 (nota 21)

Dopo «Orpheus», rappresentato a New York nel 1948, Stravinsky non produce nessun balletto fino a questo «Agon», che va in scena, sempre a New York, il 1 dicembre 1957, con la coreografia di Georges Balanchine (ma la musica era già stata eseguita il 17 giugno a Los Angeles, per il settantacinquesimo compleanno dell'autore; in ottobre, a Roma, c'era stata la prima italiana, sempre in concerto); e in fondo «Agon» resterà l'ultimo balletto di Stravinsky, che tornerà a scrivere per la danza solo nelle circostanze abbastanza anomale di un'opera destinata alla televisione, «The Flood» (Il diluvio), misto di musica e di recitazione (1962). Dopo le esplosioni della sua prima maturità (basti pensare alla «Sagra»), dopo le allegorie mitologiche del periodo neoclassico, Stravinsky si congeda dal balletto con un lavoro profondamente diverso da tutti quelli che l'hanno preceduto. È comunque abbastanza lecito riconoscere la linearità del processo che lo porta dai balletti con libretto vero e proprio, a mo' di quelli ottocenteschi, fino ad un'opera assolutamente astratta sul piano narrativo come «Agon», passando per successivi gradi di stilizzazione; cosi come è lecito — e ovvio — ritrovare la corrispondenza di questa evoluzione nel massimo creatore di balletti del nostro secolo con tutto il divenire della sua stessa personalità di musicista.

Non si dice nulla di nuovo, ormai, se si rivendica una profonda coerenza a tutto l'iter stilistico di Stravinsky: più passa il tempo, più si scopre quanto le svolte brusche, che nei quasi settant'anni del suo operare artistico hanno stupito e sconcertato i suoi seguaci non meno degli avversari, siano state in realtà men contraddittorie e meno inspiegabili di quel che sian sembrate a caldo. E si è fatto soprattutto evidente il rapporto di reciproco scambio che si è realizzato nel tempo fra il preteso «restauratore» e tutta la cultura musicale di un secolo dibattuto fra crisi e rinnovamento. All'organicità sostanziale del procedere di Stravinsky (non limitata, è ovvio, al solo aspetto pratico della composizione musicale) partecipano il carattere ed il linguaggio musicale di «Agon», nonché le modifiche non indifferenti che quel linguaggio ebbe a subire nel corso di una gestazione abbastanza lunga.

Stravinsky aveva cominciato a comporre «Agon» nel dicembre 1953, arrivando a stenderne circa due quinti; riprese il lavoro, dopo una lunga interruzione, nel 1956, portandolo rapidamente a termine. La nascita di «Agon» casca dunque nel bel mezzo di un periodo importantissimo per Stravinsky: chiusa nel '51 con «La carriera di un libertino» la lunga esperienza neoclassica, lo vediamo nei sette anni immediatamente successivi compiere un graduale avvicinamento alla tecnica dodecafonica, che verrà adottata integralmente per la prima volta in «Threni» (1958). La «Cantata», il «Settimino», gli «Shakespeare Songs», sono i primi passi verso la serialità; la prima, parziale stesura di «Agon» precede un lavoro che fa un po' da spartiacque, «In Memoriam Dylan Thomas», dove le diverse serie impiegate giungono ad esaurire il famoso «totale cromatico» dei dodici suoni, e il «Canticum Sacrum», dodecafonico in tre delle sue cinque sezioni. Tolta qualche composizione minore, «Agon» è l'unica opera fra il «Canticum» e «Threni», e si pone come l'ultima fase del noviziato dodecafonico di Stravinsky.

Si capisce l'importanza, in un contesto simile, del ritorno di Stravinsky ad un genere che aveva coltivato intensissimamente in momenti assai diversi da questo. Mentre la sua adesione alla dodecafonia era ancora vista con perplessità, né si poteva sapere se si sarebbe trattato di una conversione definitiva o di una sbandata temporanea, un nuovo balletto poteva significare un ripiegamento su posizioni precedenti. Tanto più che lo spirito della dodecafonia (non si conosceva ancora «Moses und Aron», con la «Danza del vitello d'oro») sembrava postulare l'esatto contrario della moralità artistica di un compositore di balletti, almeno stando a quel che aveva detto Adorno, nel disegnare una fenomenologia della musica contemporanea. Ma Stravinsky, più che questi problemi, sembrò porsi nel riprendere in mano i frammenti di «Agon» quello della coerenza interna di un lavoro cominciato con intendimenti diversi, sul piano stilistico, da quelli che ormai avevano fissato nuove linee alla sua produzione. Adeguò quindi le parti già scritte a ciò che stava per fare, realizzando un'opera che, al pari del «Canticum Sacrum», trovava nella composita fisionomia stilistica, più che non un motivo di discordanza, il senso quasi di un riassunto di tutte le sue esperienze linguistiche più recenti.

Indicato come un «Balletto per dodici danzatori» (otto donne e quattro uomini), «Agon» non segue una trama precisa, ma si limita a proporre un'astratta «competizione» fra quelli, dando cosi ragione del titolo. Si apre con un «Pas-de-Quatre», affidato agli uomini, che è una fanfara di trombe e corni; segue un «Double Pas-de-Quatre» per le donne, che nella sua vivacità ritmica riporta a certe pagine neoclassiche. Questo a sua volta sfocia in un «Triple Pas-de-Quatre», che impegna tutti i danzatori, ed impiega il materiale musicale del pezzo precedente nella variante retrograda. Un «Preludio» introduce il primo «Pas-de-Trois»: questo si articola in tre sezioni, una «Sarabande-Step» per il primo ballerino, una «Gailliarde» per due danzatrici, una «Coda» per tutti e tre. Un «Interludio» prepara il secondo «Pas-de-Trois»: qui entrano due danzatori in una «Bransle simple», poi una ballerina in una «Bransle Gay», quindi i tre nella «Bransle Doublé». Ancora un «Interludio» prima del «Pas-de-Deux»: questo impegna un danzatore ed una danzatrice in un «Adagio», due «Variazioni», un «Refrain» e una «Coda» seguita da una «Stretta». La scrittura dodecafonica, dopo la «Fanfara» iniziale, si è fatta sempre più rigorosa; la strumentazione vivacemente colorita di tutti i brani successivi (che accosta a numerosi fiati arpa, mandolino e pianoforte), nonché una percussione incisiva e brillante, cede il passo nella conclusione del balletto, articolata in quattro «Duetti» e quattro «trii», prima della «Coda» di tutti i danzatori, ad un tessuto timbrico più rarefatto, che sembra sottolineare la rigida struttura seriale di quest'ultima parte.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 30 ottobre 1960
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 25 novembre 1977


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Ultimo aggiornamento 3 febbraio 2019