Negli ultimi anni di vita, Igor Stravinskij fu affascinato da Carlo Gesualdo da Venosa, la cui selezionatissima produzione di Madrigali profani e musica sacra veniva solo allora riscoperta come uno dei punti di arrivo più originali e geniali della plurisecolare storia della polifonia, per il cromatismo esasperato (è stato detto che non si troverà più nulla di simile nei duecentocinquant'anni successivi, fino all'arrivo di Richard Wagner), per le audaci successioni di accordi, per gli ampi e imprevedibili salti della scrittura melodica: uno stile personalissimo, che non aveva eguali all'epoca, e che dava alla sua musica un'espressività tormentata, contorta, angosciata. Stravinskij spinse la sua ammirazione fino a cimentarsi con due trascrizioni-ricreazioni direttamente con Gesualdo: nacquero così il Monumentum pro Gesualdo da Venosa, consistente nella rielaborazione per soli strumenti di tre Madrigali del compositore napoletano, e le Sacrae Cantiones. Quest'ultima opera - cui mise mano nel 1956, portandola a termine solo dopo lunghe pause nel settembre 1959 - consiste nel completamento di tre Sacrae Cantiones a sei voci di Gesualdo, la cui originalità è evidenziata fin dal frontespizio della stampa del 1603, dove si legge "singulari artificio compositae".
Il lavoro di Stravinskij consiste nella realizzazione delle parti del Bassus e del Sextus - quelle originali erano infatti andate perdute - del Mottetto "pro pace" Da pacem Domine, dell'antifona per la festa dell'Assunzione Assumpta est Maria e dell'antifona Illumina nos. Nel completare questi pezzi sacri - che sono meno audaci e moderni dei suoi Madrigali profani e si concentrano soprattutto su complessi procedimenti contrappuntistici - Stravinskij ha aggiunto alcune dissonanze, indubbiamente giustificate dallo stile di Gesualdo, ma i suoi interventi non rispondono a criteri meramente filologici: "Le mie parti - ha scritto - non sono un tentativo di ricostruzione. Vi sono dentro io quanto Gesualdo".
Mauro Mariani