Concerto per clarinetto e jazz band (Ebony Concerto)


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Allegro moderato
  2. Andante
  3. Moderato
Organico: clarinetto solista, 5 sassofoni, clarinetto basso, corno, 5 trombe, 3 tromboni, pianoforte, arpa, chitarra, contrabbasso, tam-tam, piatti, timpani
Composizione: Hollywood, 1 dicembre 1945
Prima esecuzione: New York, Carnegie Hall, 25 marzo 1946
Edizione: Charling, New York, 1946
Dedica: Woody Herman
Guida all'ascolto (nota 1)

«II capriccio individuale, l'anarchia intellettuale che tendono a regolare il mondo in cui viviamo isolano l'artista dai suoi simili e lo condannano ad apparire agli occhi del pubblico come un mostro: un mostro di originalità, inventore della propria lingua, del proprio vocabolario e dell'intero sistema che regge la propria arte; l'uso di materiali collaudati e di forme stabilite gli è comunemente vietato; arriva a parlare un idioma senza relazioni con il mondo che lo ascolta; la sua arte diventa veramente unica, nel senso che non può essere comunicata e che è chiusa in se stessa. Il masso erratico non è più una curiosità eccezionale: è il solo modello che sia offerto all'emulazione dei neofiti».

Rabbia e sarcasmo rendono aspre queste parole di Stravinsky, pronunciate nella quarta - "Tipologia della musica" - delle sei conferenze tenute tra il 1939 e 1940 alla Harvard University di New York. Non si rivolge a se stesso, in questa invettiva: non è certo lui a «parlare un idioma senza relazioni con il mondo», a praticare «un'arte chiusa in se stessa». Tantomeno negli anni americani.

Ebony Concerto (ebano, ma anche i tasti cromatici del pianoforte) viene eseguito per la prima volta alla Carnegie Hall di New York nel marzo del 1946. Solista è Woody Herman, dedicatario dell'opera. L'orchestra - 2 sax contralto, sax tenore, sax baritono, clarinetto basso, corno, 5 trombe, tre tromboni, pianoforte, arpa, chitarra, contrabbasso, tam-tam, piatti, timpani - ribadisce l'omaggio alle formazioni tipiche delle orchestre jazz.

Il Concerto è diviso in tre momenti, esemplare traduzione formale del desiderio onnivoro del compositore che qui si esibisce in un concerto grosso per orchestra jazz con tempo lento centrale, desunto dallo slow dei blues. Il grande assimilatore ha ormai metabolizzato il furore ritmico del jazz, lo ripropone come maniera, naturalmente alla sua maniera, in un esempio illustre di traduzione-invenzione. Nel desiderio, forse neppure troppo occulto, di dimostrare che anche il jazz e il blues potrebbero essergli debitori, o perlomeno che esiste un modo stravinskyano di scrivere jazz, di suonare blues. Controllato e clownesco, letterale e irriconoscibile, mentre Stravinsky è sempre riconoscibile, quando si nasconde dietro una ruvida armonizzazione jazzistica, una fuga bachiana, una melodia di Pergolesi, quando si diverte ad apparire, ad essere, un compositore americano.

L'Andante centrale è un compianto, funebre e grottesco, nel quale c'è spazio anche per una deformazione alla maniera di Mahler, in quel rendere solenni e inattendibili, perché estraniati dal proprio contesto formale di origine, temi, melodie, popolari. "Il capriccio individuale", di cui in quelle conferenze lamentava l'imprevedibilità, gli appartiene tutto intero, nucleo generatore del suo polistilismo e, insieme, del suo personalissimo stile.

Sandro Cappelletto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 22 aprile 1994


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Ultimo aggiornamento 20 febbraio 2013