Sinfonia in do


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Moderato alla breve
  2. Larghetto concertante
  3. Allegretto
  4. Largo. Tempo giusto, alla breve
Organico: 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: Parigi, autunno 1838 - Bedford, 19 agosto 1940
Prima esecuzione: Chicago, Orchestra Hall, 7 novembre 1940
Edizione: Schott, Magonza, 1948
Dedica: Orchestra Sinfonica di Chicago
Guida all'ascolto (nota 1)

Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, Igor Stravinskij divenne l'alfiere principale di un movimento musicale di natura, secondo alcuni, conservativa e restaurativa, che non si limitava a contestare i capisaldi del Romanticismo ottocentesco ma anche le contemporanee tendenze avanguardiste di origine viennese, quali l'atonalismo e la dodecafonia di Arnold Schönberg e dei suoi allievi Berg e Webern. Il "neoclassicismo" del compositore russo, ormai definitivamente occidentalizzato, prese rapidamente piede in Europa suscitando consensi e imitazioni soprattutto in area francese ma finendo per influenzare compositori dalle tendenze più disparate (Hindemith e Bartók, Britten e Ravel), tutti - più o meno - sensibili a un qualche aspetto della nuova estetica stravinskiana. La quale, in ultima analisi, comportava: un ripristino della tonalità che attenuasse, del tutto o in parte, gli "eccessi" di gioventù, come il politonalismo e il polimodalismo dei grandi balletti russi degli anni Dieci; un ritorno alle forme della musica classica e barocca (Sonata, Rondo, Tema con variazioni, Fuga, eccetera) nonché ai generi praticati in quei periodi (Concerti solistici, Concerti grossi, Sinfonie, eccetera); un ripescaggio, addirittura, della mitologia greca nelle composizioni a soggetto (Opere, Balletti, Oratori) riallacciandosi con ciò a una pratica ormai abbandonata da tempo incalcolabile...

Ma, se questi - e solo questi - rimasero per lunghi anni i punti caratterizzanti delle strategie compositive di un vasto numero di epigoni "neoclassici", Stravinskij, dal canto suo, non si era mai limitato alla pura e semplice riproposta del passato preromantico. Egli aveva, piuttosto, riconiugato i vecchi stilemi con le proprie, irriducibili asimmetrie di compositore moderno, scomponendo i materiali più innocui e "regolari" della tradizione e passandoli al vaglio della grottesca lente deformante costituita dalla sua ritmica incessante e imprevedibile nella posizione degli accenti e nella durata dei raggruppamenti. Così, la Sinfonia in do, scritta fra l'Europa e gli Stati Uniti, nuova patria del compositore, a ridosso della Seconda Guerra Mondiale (1938-40), più di trent'anni dopo l'accademica Sinfonia in mi bemolle che l'autore aveva dedicato in Russia al suo maestro Rimskij-Korsakov, appare a prima vista una struttura tradizionalissima in quattro movimenti, con la durata e l'organico (tuba a parte) di un'analoga pagina del primo Ottocento. Eppure, l'anima stravinskiana si infiltra di continuo fra gli stilemi à la Haydn e à la Beethoven di cui la pagina è totalmente pervasa, sotto forma per esempio di un fraseggio irregolare, caratteristico dei movimenti estremi in forma sonata (Moderato alla breve/I e Largo-Tempo giusto, alla breve/IV) ma, soprattutto, dello Scherzo (Allegretto/III) che, secondo l'autore, conteneva alcune complessità di ordine metrico fra le più estreme di tutte la sua carriera compositiva... Mentre nel secondo movimento, Larghetto concertante, che sempre Stravinskij descriveva come «simple, clear and tranquil», l'orchestra, priva di tromboni, tuba, timpani, uno dei corni e trombe, si presta a graziose e costanti ornamentazioni cui fa da contrasto la sezione di mezzo (Doppio movimento) decisamente più agitata. Questo Larghetto e il successivo Allegretto, già menzionato, si susseguono senza soluzione di continuità come avviene, a volte, fra i movimenti interni delle composizioni di Beethoven, e un ulteriore criterio di collegamento fra i vari tempi della Sinfonia è dato da un identico "motto" che compare nel primo e nell'ultimo movimento conferendo un senso di "ciclicità" che richiama, piuttosto, pagine come la grande Sinfonia D. 944 di Schubert.

L'amico di Stravinskij e direttore d'orchestra Ernest Ansermet non amava alla follia questa Sinfonia in do, che reputava alquanto statica a livello di idee musicali, eppure sembra innegabile l'impronta personale che il compositore russo, ormai naturalizzato francese, seppe imprimere sul terreno conosciuto della forma più acclamata in tutta la storia della musica strumentale...

Neoclassicismo, certo, ma soprattutto nel senso di una libera e geniale rivisitazione del passato (condizione questa assai diffusa nell'arte del XX secolo), senza accademismi e senza velleitari progetti di restaurazione fine a se stessi.

Marco Ravasini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 marzo 2003


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 1 febbraio 2013