Nell'Allegro iniziale il compositore si preoccupa di creare una atmosfera di festosità: quella delle prime giornate primaverili, balsamo vivificatore dopo il freddo sofferto nel lungo invterno.
Il Largo ha inizio con due descrizioni che si svolgono simultaneamente: una melodia ampia di sapore corelliano con cui i violini ricordano il dolce sonno del capraro, e un brusio per rammentare il mormorio delle fronde.
Il terzo tempo è di nuovo un Allegro e descrive una danza pastorale ben ritmata, che non manca di ricordare la festosa apparizione, voluta dal poeta, di ninfe e di pastori.
Forse Antonio Vivaldi non immaginava, al momento di scrivere queste parole nella lettera dedicatoria al conte boemo Wenzel von Morzin in occasione della prima pubblicazione dell'op. VIII (Le Cène, Amsterdam, 1725), quale fama imperitura gli avrebbero reso quei "deboli" Concerti.
Nell'edizione - che esce suddivisa in parti separate come era consuetudine per una immediata pratica esecutiva - la musica è accompagnata da quattro "sonnetti dimostrativi" in chiara funzione didascalica (sottolineata dallo stesso Vivaldi nella prefazione: "essendo queste accresciute, oltre li Sonetti con una distintissima dichiaratione di tutte le cose, che in esse si spiegano").
La qualità poetica non è particolarmente alta e tutto lascia pensare che siano stati scritti da Vivaldi stesso o da un suo collaboratore al fine di agevolare la "comunicazione" del linguaggio musicale all'ascoltatore (vedi P. Everett, Vivaldi. Le Quattro Stagioni e gli altri concerti dell'Opera Ottava, Venezia, Marsilio, 1999). Si trattò evidentemente di una intuizione geniale, che a posteriori potremmo giudicare come una riuscitissima operazione di "marketing" musicale.
Il ciclo si apre in maniera gioiosa e luminosa con La Primavera (Concerto n. 1 in mi maggiore RV 269): il tema iniziale (Allegro con il motto "Giunt'è la Primavera") - che funge da ritornello (già utilizzato peraltro da Vivaldi nella breve Sinfonia di apertura del Giustino nel quale è associato emblematicamente all'apparizione della dea Fortuna) - ha la verve della spensierata danza di corte interrotta di volta in volta dal canto degli uccelli o dai nuvoloni all'orizzonte resi dagli squarci solistici del violino.
Il movimento lento (Largo con il motto "Il capraro che dorme"), dal carattere misterioso e malinconico, riecheggia, con gli archi di sottofondo, il dolce fruscio delle piante; ma con la "Danza pastorale" finale l'atmosfera torna ad essere ritmica ed effervescente, come si conviene alla più promettente delle stagioni.
Laura Pietrantoni