Concerto in sol maggiore per flauto traverso, archi e continuo, op. 10 n. 6, RV 437


Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
  1. Allegro (sol maggiore)
  2. Largo (sol minore)
  3. Allegro (sol maggiore)
Organico: flauto traverso, archi, basso continuo
Composizione: 1728
Edizione: Michel-Charles Le Cène, Amsterdam, 1728

Rielaborazione del Concerto per più strumenti e basso continuo RV 101
Guida all'ascolto (nota 1)

Al tempo di Vivaldi, il termine "flauto" si riferiva al flauto dolce, mentre il flauto traverso, che nel giro di pochi anni avrebbe spodestato quello a becco per la sonorità più penetrante e per le maggiori possibilità tecniche e dinamiche, era comunemente chiamato "traversiere". Il Prete Rosso scrisse per entrambi gli strumenti. Ci sono rimasti infatti tredici concerti per flauto traverso, dei quali tre incompleti, e due per quello dritto. A questi vanno aggiunti i tre concerti per "flautino", un concerto per due flauti traversi e una decina di "concerti da camera", nei quali il flauto, dolce o traverso, viene impiegato in varie combinazioni strumentali.

È molto probabile che le composizioni per flauto dritto siano quelle più antiche. Già in uso alla Pietà nei primi anni del Settecento (al 1706 risalgono alcuni pagamenti effettuati per la riparazione di quattro strumenti), Vivaldi usò i flauti dritti per le scene bucoliche dei suoi melodrammi: nel Tito Manlio (1719) e nella Verità in Cimento (1720), vi sono parti obbligate, per "flautino" e flauti "grossi" tenori. L'incarico di insegnare il flauto traverso alle fanciulle della Pietà, invece, fu assegnato ad Ignazio Siber (già insegnante di oboe in quell'istituto dal 1713 al 1715) solo nel 1728 e il primo caso a noi noto in cui il Prete Rosso usò questo strumento in una delle sue opere risale al 1727, nell'Orlando Furioso. Del resto Joachim Quantz, che conobbe Vivaldi a Venezia nel 1726, c'informa che in quegli anni il flauto traverso non era affatto popolare in Italia.

Ma vi è ancora un importante elemento da prendere in considerazione: tra il 1729 e il 1730 l'editore Le Cene pubblicò ad Amsterdam i sei Concerti per flauto traverso op. X di Vivaldi, con il titolo "VI Concerti / a Flauto Traverso / Violino Primo e Secondo / Alto Viola / Organo e Violoncello / Di / D. Antonio Vivaldi Musico di Violino, Maestro del Pio Ospitale / della città di Venetia e Maestro di Cappella / di Camera di S. A. S. il Sig.r Principe / Filippo Langravio d'Hassia Darmistaht". Cinque di questi concerti sono conservati nei "manoscritti di Torino" - che riportano senza dubbio delle versioni più antiche - con organici molto diversi da quelli dell'edizione a stampa. Una di queste composizioni, infatti, era originariamente un concerto solistico per flauto a becco (op. X n. 5, RV 434), mentre le altre quattro erano concerti da camera: tre con il flauto Uaverso (op. X n. 1-2-3, RV 98-104-90) ed uno con il flauto dritto (op. X n. 6, RV 437). Quindi soltanto uno dei brani dell'op. X è un concerto solistico originale per flauto traverso (op. X n. 4, RV 435). Vivaldi evidentemente non ebbe sufficiente tempo per soddisfare la richiesta dell'editore di Amsterdam di scrivere alcuni concerti per il nuovo strumento e si limitò a rielaborare alcune composizioni già scritte. È probabile, così, che Vivaldi prima del 1729-1730 abbia composto solamente concerti per flauto dritto, utilizzando il traverso solo nei pezzi da camera. I concerti solistici per questo strumento, invece, dovrebbero collocarsi solo dopo quella data.

Il Concerto in sol maggiore op. X n. 6 per flauto, archi e continuo è la rielaborazione di quello da camera per flauto a becco, oboe, violino, fagotto e continuo RV 101. Le varianti tra le due versioni, tranne l'orchestrazione naturalmente, sono minime: la tonalità è la stessa e la parte del flauto è pressocché identica. Nel concerto da camera, inoltre, l'oboe, il violino e il fagotto svolgono lo stesso accompagnamento suonato dagli archi nel concerto solistico.

L'Allegro iniziale è scritto nel più tipico stile vivaldiano. Il ritornello è chiaramente articolato in quattro brevi motivi, liberamente trasformati nelle successive riesposizioni. Il motto d'apertura, insistendo sulla tonica e poi sulla dominante, afferma inequivocabilmente la tonalità d'impianto. Il solista si presenta con materiale tematico nuovo. Il primo solo è identico all'inizio del quarto movimento della Sonata in do maggiore per violino e continuo RV 3, mentre, in un episodio successivo, il flauto sembra riecheggiare il "motivo del Cardellino" tratto dall'omonimo concerto della stessa raccolta (op. X n. 3). Lo struggente movimento centrale, nel parallelo modo minore, corrisponde a quello del Concerto in re minore per violino, archi e continuo op. VIII n. 7. La melodia, bipartita con due ritornelli ed accompagnata delicatamente dagli archi senza il cembalo, riappare nell'Allegro successivo, nell'omonima tonalità maggiore, in una serie di sei variazioni di tipo virtuosistico-ornamentale. I due tempi formano una vera e propria unità e dovrebbero essere globalmente intesi come un tema con variazioni. È questo un fatto degno di nota, in quanto in Vivaldi gli esempi di concerti intesi "ciclicamente" sono assai rari.

Marco Carnevali


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Coniliazione, 12 novembre 1994


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Ultimo aggiornamento 25 febbraio 2015