Concerto in mi minore per fagotto, archi e basso continuo, RV 484


Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
  1. Allegro poco (mi minore)
  2. Andante (re maggiore)
  3. Allegro (mi minore)
Organico: fagotto, archi, basso continuo
Composizione: 1720 - 1724
Edizione: Ricordi, Milano, 1949
Guida all'ascolto (nota 1)

"Vivaldi chi? quello che scrisse ottocento volte lo stesso concerto?"
(Igor Stravinskij)

Nonostante la battuta sarcastica anche il Prete Rosso faceva parte di quel "patrimonio familiare" da custodire e con cui confrontarsi. D'altra parte "Bach e Vivaldi parlavano sensibilmente lo stesso linguaggio, e i discepoli lo ripetevano dopo di loro, trasformandolo senza saperlo, ciascuno secondo la sua personalità" (I. Stravinskij, Poetica musicale).

In particolare sarà la straripante personalità del veneziano a reinterpretare l'idea stessa di Concerto. Nel 1713 Mattheson spiegava come questo termine potesse significare sia la semplice "riunione" di più strumenti musicali, sia composizioni scritte "in modo tale che ciascuna parte a volta a volta predomini e rivaleggi, per così dire, con le altre parti" (in Das neu-eröffnete Orchestre, Hamburg, 1713). E sarà proprio Vivaldi che gestirà questa particolare "dialettica" attraverso una straordinaria varietà stilistica e ricchezza timbrica precorritrici degli sviluppi futuri.

E sotto questi aspetti il Concerto per fagotto RV 484 è assolutamente esemplare. Se nel primo Allegro poco si assiste ad un vero e proprio divertimento fra le parti, con imitazioni, dialoghi e ampie "rincorse" virtuosistiche, l'Andante centrale mostra le tipiche caratteristiche melodico-espressive dei movimenti lenti del compositore veneziano: il fagotto solo si libra con ariosità e liricità - sostenuto da un delicato piano di archi - in frasi di grande intensità. Il tutti dell'orchestra riprende il suo protagonismo nell'ultimo Allegro dove anche il solista è chiamato a disegnare senza tregua arabeschi, salti, diminuzione velocissime, incitato da un basso incalzante.

Insomma la realtà che emerge dall'analisi musicale della produzione vivaldiana appare assai diversa dall'anedotto stravinskjano: ogni Concerto possiede caratteristiche peculiari e riconoscibili, spesso sperimentali e innovative. Ma d'altra parte il musicista russo aveva ben chiaro tutto ciò quando afferma: "Così la musica esprime se stessa: nel senso che ogni opera, proprio differenziandosi quale unico messaggio irripetibile, ci rimanda sempre alla tradizione musicale che l'ha prodotta, riconducendoci perennemente al suo codice" (I. Stravinskij, Poetica della musica).

Laura Pietrantoni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 25 gennaio 2013


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Ultimo aggiornamento 22 aprile 2015