Alla base del concerto vivaldiano sta una intuizione architettonica nuova, consistente nel concepire i tre movimenti tradizionali non già come pezzi separati ed in sé conclusi, ma come un tutto unitario percorso da un impulso dinamico che, dopo la parentesi di distensione lirica del tempo centrale, raggiunge il culmine irresistibile nel finale. Una intuizione che supera la composta staticità del concerto barocco corelliano e preannuncia il dinamismo romantico. Il nuovo gusto per una realizzazione strumentale del basso continuo (ossia della parte grave da cui nascono gli accordi) conferisce sapore specificamente «concertante» al discorso musicale, che in Vivaldi trova una singolare ambientazione poetica. Gli strumenti concertano, nel senso latino di rivaleggiare in bravura: l'orchestra è divisa in due gruppi, quello dei solisti, o concertino (nel Concerto in programma costituito da due oboi) e il ripieno o grosso, ossia la massa orchestrale. La struttura dei pezzi è così regolata dall'alternanza dei due gruppi, in un variato gioco di pieni e di vuoti architettonici, di luce e d'ombra.
In questo Concerto l'oboe è trattato con un grado di virtuosismo «superiore - nota il Pincherle - a quello di cui testimoniavano, verso il 1700, le opere di Keller, Rosiers e Corbet», affidandogli passi agili, ma anche scoprendone le possibilità liriche di strumento «cantante».
Nicola Costarelli