Concerto in sol minore per due violini, due flauti, due oboi, due fagotti e archi, RV 577


Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
  1. Allegro (sol minore)
  2. Largo non molto (do minore)
  3. Allegro (sol minore)
Organico: 2 violini, 2 flauti diritti, 2 oboi, 2 fagotti, archi, basso continuo
Composizione: 1720 - 1724
Edizione: Ricordi, Milano, 1947
Dedica: per l'orchestra di Dresda
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il programma del concerto, concepito come omaggio alia figura del grande flautista tedesco, al quale è stato doverosamente dato ampio spazio, non comprende solamente alcune composizioni scritte per le corti di Dresda e Potsdam, centri nei quali si è svolta in massima parte la sua attività musicale, ma intende fornire anche un'antologia di brani di quegli autori sui quali Quantz direttamente o indirettamente ha formato il suo stile. Tra questi uno dei primi fu Vivaldi, nei confronti del quale Quantz ha sempre riconosciuto il suo debito per quanto riguarda l'apprendimento di modelli formali e tecniche di sviluppo tematico. Il "Prete Rosso" ebbe stretti rapporti con la corte sassone grazie al violinista J. G. Pisendel, il quale, dopo aver studiato con Vivaldi a Venezia, nel 1717 fu nominato direttore dell'orchestra di Dresda e fece della città il centro di maggiore irradiazione dello stile valdiano in Germania.

Il Concerto in sol minore RV 577 per violino, due flauti, due oboi, due fagotti, archi e continuo, "per l'Orchestra di Dresda", fa parte di un gruppo di "concerti con molti istromenti" scritti dal "Prete Rosso" espressamente per la Dresdner Hofkapelle, complesso musicale dotato di un ampio organico di strumenti a fiato, la cui concertazione determinava uno stile esecutivo e un colorito timbrico inconfondibili. Nel Concerto vivaldiano, la scrittura musicale risulta complessivamente elaborata in maniera varia e articolata, ma la parte del violino - pensata probabilmente per lo stesso Pisendel - ha un inevitabile predominio su quelle degli altri strumenti. Dei due fagotti, il primo interviene nel dialogo dei "soli", mentre il secondo si limita a rafforzare i bassi nei "rutti". Notevole è il contrasto tra la sonorità piena e brillante dei due tempi veloci (l'incipit dell'Allegro finale ha l'impeto decisamente drammatico di un'aria "di sdegno") e l'atmosfera intimamente raccolta del Largo non molto, in cui il commovente, pur nella essenzialità, canto dell'oboe è accompagnato dal semplice supporto armonico del fagotto.

Marco Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Conveniva anche al loro insegnante di violino che le "ospealere" - ossia le orfane e illegittime educate all'Ospedale della Pietà, riconoscibili dai loro abiti rossi - fossero eccellenti virtuose e sapessero suonare, oltre allo strumento obbligato, anche «il flauto diritto, l'oboe, il violoncello, il fagotto», come nota ammirato il signor De Brosses in visita nella città lagunare, concludendo sbrigativamente: «In breve, non c'è strumento per grosso che sia che possa spaventarle». Ma non era del tutto espressamente per Anzoleta, per Anna Maria, per Chiaretta, per Paolina del tenor o per Anneta del basso che Antonio Vivaldi scriveva i suoi Concerti. Certo, le ragazze erano conosciute per la loro bravura anche al di fuori di Venezia, e le esecuzioni che avevano luogo alla Pietà erano affollatissime di veneziani e di turisti, ma per Vivaldi costituivano anche una sorta di prova generale in vista di future remunerate commissioni, specialmente da parte delle orchestre tedesche (e dei loro eccellenti solisti), con le quali già intratteneva ottimi rapporti: quella di Dresda, quella di Hessen-Darmstadt, del duca di Lorena e del conte Morzin.

È il caso di quel bel Concerto in sol minore, che per l'appunto reca la dedica: "Per l'Orchestra di Dresda", affidato alle coppie di flauti, oboi, fagotti e un solo violino principale (oltre ad archi e cembalo), che lo percorre come un sottile ma resistentissimo filo di seta, dovendosela vedere anche con i passi di bravura affidati al fagotto solista, autentico mattatore del Concerto. Nel breve e patetico Largo non molto centrale, introdotto dall'oboe, la voluta semplicità del linguaggio pone sapientemente in evidenza la complessa articolazione dei due movimenti esterni.

Ivana Musiani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Villa Giulia, 18 luglio 1997
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 5 febbraio 1998


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 1 gennaio 2015