Ercole sul Termodonte, RV 710

Dramma musicale in tre atti

Testo del libretto


Nota della redazione: L'opera originale è andata perduta. In tempi recenti sono state fatte delle ricostruzioni basate su parti conservate in diverse biblioteche. Le varie ricostruzioni del libretto possono avere anche sostanziali differenze.

ATTO I

Scena Prima

(Folta selva in riva al Termodonte. Antiope. Martesia e schiera d'Amazzoni cacciatrici)
ANTIOPE
Itene, o mie compagni ite, e di fere
spopolate la selva;
In cor guerriero
fan languire il valor l'ozio e la pace;
or che, mercè d'Orizia, il nostro impero
dane guerre straniere
respira alquanto, e addormentato giace
all'ombra degli ulivi il nostro Marte,
nell'ozio e nel riposo
non si perda dell'armi e l'uso e l'arte.
CORO
Oh figlia di Giove,
gran dea delle selve
per te già le belve
prendiamo a sfidar:
con l'orride spoglie
di fiere atterrate
da noi le tue soglie
saranno adornate;
dall'arco i tuoi dardi
ne insegni a scoccar.

Aria
ANTIOPE
Dea di Delo,
che nel Cielo
sai tra l'ombre balenar,
tu ammaestra
la mia destra
qui le belve a saettar.

Dunque che più si tarda?
Diasi l'usato segno,
sciolgansi i veltri,
ogni sentier più fosco
si penetri del bosco.

Duetto
ANTIOPE, MARTESIA
Sereno il cielo,
d'ogni stelo
l'erba indora,
e già con Flora.
Zefiro amante scherzando va:
già dalle fronde,
già dall'onde,
l'augelletto,
il ruscelletto
di nobil preda speme a noi dà.
MARTESIA
Antiope, genitrice. io dovrò dunque
tra domestiche mura
far sempre vita neghittosa e oscura?
Né mai verrà quel giorno
che di spade guerriere al chiaro lampo
a pugnar contro l'Uomo io vada in campo?
ANTIOPE
Troppo tenero ancora
per vestirti l'usbergo è quel tuo petto,
troppo grave è l'elmetto
per la tua fronte, o figlia, e la tua destra
per brandir l'asta e per ruotar la spada
non è quanto conviensi ancor maestra.
MARTESIA
Son dunque più feroci
gl'Uomini delle fere a nostri danni?
ANTIOPE
Per domar i tiranni
del nostro sesso è d'uopo
d'altre forze e d'altr'armi.
MARTESIA
Orribil forse
più d'orso, o di cignal l'Uomo ha l'aspetto?
ANTIOPE
Anziché orror, diletto
reca agli sguardi; ma nel crudo seno
egli nasconde poi,
odio contro di noi, rabbia e veleno.
MARTESIA
Dimmi: rugge, mugisce,
latra, freme, nitrisce
questa fera rabbiosa insieme e bella?
ANTIOPE
Anzi al pari di noi ride e favella.
MARTESIA
Che portentosa fera! E da qual mostro
nasce questo tiranno,
e nemico crudel del sesso nostro?
ANTIOPE
Troppo brami sapere, ancor non hai
mente capace a intender ciò;
ma un giorno, Martesia, lo saprai.
MARTESIA
Nel petto mio
di veder questa fera
con la curiosità cresce il desio.

Aria
ANTIOPE
Con aspetto lusinghiero
l'Uom minaccia allora che ride.
Quando scherza è allor più fiero;
quando alletta allora uccide.

(parte)
MARTESIA
Mostro di tal natura,
che vago alletta e che allettando uccide,
se incontro mai, da sue lusinghe infide,
or che note mi sono,
saprò schermirmi, e in parte
io deluder saprò l'arte con l'arte.

Aria
Certo pensier ch'ho in petto,
e un aura che volando
parte, ritorna, e va.
E quell'istesso oggetto,
che ha da fuggir
bramando, tema e piacer mi dà.

Scena Seconda

(Spiaggia Delle Amazzoni. Al suono di Trombe si accostano al lido alquante navi; sbarcano molti soldati greci al fine. Alceste, Teseo, Ercole, poi Telamone, e poi Ippolita)
ERCOLE
Amici, eccoci ornai
su quel barbaro lido ave la Donna,
ad onta delle leggi di natura,
le ragioni dell'Uomo usurpa e fura.
Qui sol nasce alla vita il debol sesso,
e qui legge inumana
ordina che ogni madre parricida,
appena nati, i maschi parti uccida:
più che per ubbidire agli alti cenni
del regnante Euristeo
venni, amico Teseo,
alfin di spegner queste,
queste al sesso viril femmine infeste.
TESEO
E fia gloria d'Alcide,
che figlio del gran Giove
fè tante illustri prove,
idre e draghi atterrò,
e leoni sbranò, resse le stelle,
pugnar col sesso imbelle?
ALCESTE
Per distruggere i mostri
nacque nel mondo Alcide;
non v'è mostro peggior ne' tempi nostri
di quest'empie omicide,
de' consorti e de' figli.
TESEO
Ad Euristeo
basta aver per trofeo
l'arme d'Antiope.
ERCOLE
A Ercole non basta;
io voglio un campo esangue
di femmine mirar.
TESEO
di femmine mirar. Se ha men di sangue,
allor più bella e cara è la vittoria.
ERCOLE
Dov'è minor periglio è minor gloria.
TESEO
Io per l'imbelle sesso,
amico, te'l confesso,
sento gentil pietà nascermi al core.
ALCESTE
Sovente e la pietà madre d'amore.
TESEO
Amor non é viltade in cor guerriero.
ERCOLE
Non é viltade, e vero,
ma remora ben spesso e del valore.
TELAMONE
(entrando)
Signor, per quarto intesi
da fido esplorator per queste selve
Antiope la regina
scorre in traccia di belve;
di cacciatrici Amazzoni una schiera
la siegue armata sol d'arco, e di strali.
ERCOLE
Telamon, pria che il di giunga alla sera
spero l'armi fatali
rapire alla superba: Amici, intanto
circondate la selva, e a me lasciate
di disarmar colei l'impresa e il vanto.

Aria
Vedrà l'empia, vedrà, che qual soglio
domar suo orgoglio
e abbatter sull'erba
ogn'alma superba
col braccio mio forte.
Caderà, se non cede quell'armi;
se vuol contrastarmi
vedrà con orrore,
che indarno al valore
si oppone la sorte.
ALCESTE
Grand'Alcide io ti seguo, in cor guerriero
è fallo amor per chi pietà non sente;
non son degne d'amor donne si fiere:
io da crudel beltà non fui mai colto,
che troppo fiero un cor guasta un bel volto.

Aria
Quella beltà
sol degna è d'amor,
che in seno ha un cor
sol fatto per amar.
Mai non vedrà
tenero amor in me
chi non ha in sé
core per riamar.

(partono tranne Teseo)

Scena Terza

(Selva delle Amazzoni. Ippolita arriva perseguita per un orso)
TESEO
No, che amor non è fallo in cor guerriero;
anzi all'eroiche imprese
stimolo del valore
al pari della gloria è spesso amore.
IPPOLITA
Compagne, aita, aita!
TESEO
Che miro, o ciel
Da fiero orribil orso nobil donna assalita,
indarno si schernisce; al suo soccorso
Mi sprona il genio, e la pietà mi porta
IPPOLITA
Qual nume mi difende?
Chi alla vita mi rende?
TESEO
Bella, respira ormai, la belva è morta
IPPOLITA
(Fra sè)
Un uomo in mia difesa.
TESEO
(Fra sè)
Ahi, che bel volto!
IPPOLITA
(Fra sè)
Debi, Ippolita, la vita ad un tuo nemico?
TESEO
(Fra sè)
E pur m'ha tolto
Ogni vigor quel ciglio, e vinto io sono.
IPPOLITA
(Fra sè)
E come posso, o dio,
odiare il donatore e amare il dono?
TESEO
(Fra sè)
Ah no, che non posso'io
togliere la vita a chi pur resi il giorno!
IPPOLITA
Straniero, e quale mia sorte
e quale la tua sventura,
qui intorno
dove è pena la morte
a ciascun del tuo sesso?
Ancor non sai,
che qui regnan l'Amazzoni?
TESEO
Pur troppo, bella nemica, il tuo rigor provai.
IPPOLITA
Come?
TESEO
Un sguardo appena verso di me volgesti.
che mi apristi nel sen piaga mortale.
IPPOLITA
Se a te dunque funesti
sono i miei sguardi, or che sarìa il mio strale!
TESEO
No, no, troppo gradite sono al cor le ferite
ch'escon dagl'occhi tuoi.
IPPOLITA
Dimmi chi sei.
TESEO
Del regnante di Atene figlio, Teseo, son io.
IPPOLITA
A queste infauste arene che ti condusse mai?
TESEO
Nobil desio d'onor, di gloria.
IPPOLITA
E quale?
TESEO
Un comando reale del monarca Euristeo
da noi richiede l'armi d'Antiope.
IPPOLITA
(Fra sè)
O Ciel che intendo?
(A Teseo)
E crede sì facile l'impresa?
TESEO
Ove d'Alcide
pugna la destra, ogni difesa è vana.
IPPOLITA
Di tal vanto si ride Antiope, a rne germana.
TESEO
Tu d'Antiope sorella?
(Fra sè)
Che senti, acceso cor?
La fiamma ond'ardi, perché mai non s'estingua,
è troppo bella.
IPPOLITA
(Fra sè)
O Dio! sì dolci sguardi
vibra costei, ch'io già mi sento al core
nascere un certo affetto
che non so se d'amore
o pur di gratitudine sia figlio:
ma convien del periglio
avvertir la regina.
(A Teseo)
Addio, Teseo.
TESEO
Così mi lasci?
IPPOLITA
Ascrivi a tuo trofeo che Ippolita salvasti.
TESEO
E tu, crudele,
piagasti per mercé poscia il cor mio:
Ippolita...
IPPOLITA, TESEO
(Fra sè)
Che pena!
(forte)
Addio.

Aria
IPPOLITA
Un certo non so che
mi punge e passa il cor,
e pur dolor non è.
Se questo è forse amor,
già del suo dolce ardor
mio sen esca si fe'.

(parte)
TESEO
Da sì nobile sfera
scese l'ardor che questo petto infiamma,
che per più bella fiamma arder non posso.

Aria
Occhio che il sol rimira,
se altrove il guardo gira,
non scorge altro che orror
e del suo folle error
s'affanna e duole.
Tal, s'io mi volgo intorno,
torbido e oscuro il giorno
l'assembra a' mesti rai
doppoi ch'io rimirai
il mio bel sole.

Scena Quarta

(Gabinetto reale vicino all'armeria con toeletta; sopra vi sono attrezzi femminili per acconciarsi.)
ORIZIA
Mie fide un crine avvezzo
a cingersi d'allori
sdegna di gemme e fiori
gl'inutili ornamenti, e al guardo mio
della luce dell'or splende più chiaro
il bellicoso acciaro;
anche in tempo di pace
più che l'ostro mi piace
vestir l'usato usbergo, e lieve parmi
della celata il pondo.

Scena Quinta

(Detta, e Antiope con amazzoni cacciatrici)
ANTIOPE
All'armi, all'armi,
Orizia mia germana:
co' più scelti guerrieri
su nove greche antenne
Ercole a nostri danni oggi sen venne.
ORIZIA
Ercole, la cui fama
empie il mondo di stima e di terrore?
ANTIOPE
Ercole, il cui valore
spaventa anche i più forti.
ORIZIA
A quale impresa?
ANTIOPE
A spogliar me dall'armi, e ad Euristeo
portarle per trofeo;
tanto mi disse Ippolita poc'anzi.
ORIZIA
Il ciel forse l'invia
per dar vanto maggiore
al mio valore, e alla destra mia:
su dunque all'armi, e per maggior suo scorno
farò che, arse le navi,
ogni passo si chiuda al suo ritorno;
tu qui resta, o sorella, e sia tua cura
di Temiscira custodir le mura.
ANTIOPE
Pensa a qual rischio esponi
la tua vita, o germana; e cauta almeno
non cimentar, ten priego
col furore d'Alcide il tuo bel seno.

Aria
ORIZIA
A un cor generoso
è gioia il cimento,
e pena il riposo:
leone, che sdegna
il debole armento,
per preda più degna
si rende orgoglioso.

Scena Sesta

(Cancello Del Palazzo Delle Amazzoni. Gabinetto reale vicino all'armeria)
ANTIOPE
Orizia generosa
corre incontro al periglio
ed io, codarda e vile,
lascio la selva e fuggo in queste mura,
quasi timida damma entro all'ovile!
La cacciatrice schiera
tosto all'esempio mio...
IPPOLITA
Germana, o dei! Martesia è prigioniera!
ANTIOPE
Ippolita, che narri? Ah, figlia!
IPPOLITA
Ascolta.
Già scoperto il nemico
di cacciatrici femmine lo stuolo,
seguiva l'orme tue con piè veloce
per ricoverarsi in Temiscira a volo,
quando fuor della selva, ove sul ponte
varcasi il Termodonte,
fermò Martesia il piè sol per desio
di rimirar qual volto,
da lei non più veduto, ha il viril sesso:
tanto compiacque in esso
gli sguardi suoi, tanto fermassi e tanto
s'avanzar l'altre, che alla fìn, sorpresa
sola e senza difesa,
di quella schiera ostil che ci seguiva,
preda innocente, ella restò cattiva.
ANTIOPE
E vivo? E neghittosa
qui mi trattengo, e al campo anch'io non volo?

Aria
Triforme dea, se del nemico stuolo
cade nelle mie forze alcun che sia
di nobil sangue, ti prometto e giuro
svenarlo di mia mano
ai tuo gran nume e alla vendetta mia

Scena Settima

(Confine del Bosco Sacro. Campagna con ponte magnifico sul Termodonte. Veduta delle navi greche in lontananza, che poi si bruciano. Alceste, Martesia, Telamone, poi Ercole con soldati)
ALCESTE
Martesia è mia.
TELAMONE
Io l'arrestai primiero.
ALCESTE
Ma teco usò difese.
TELAMONE
Vana difesa e frale.
ALCESTE
A me cedè lo strale e a me si rese.
TELAMONE
Pur alfìn sarà mia.
ALCESTE
No, se la vita non mi togli prìa.
MARTESIA
Barbari: e tanta sete
del mio sangue v'accende,
che tra voi si contende
di crudeltà?
ALCESTE
Non è, non è la brama
del sangue tuo, sol del tuo bel sembiante
l'alto possesso a duellar ci chiama.
TELAMONE
Crudeltà non temer da un core amante.
MARTESIA
Voi mi amate?
ALCESTE
Io t'adoro, bella Martesia.
TELAMONE
Ed io per te mi muoro.
MARTESIA
Che intendo? Ohimè! Son morta.
ALCESTE
E di che temi'?
TELAMONE
Ti spaventa l'amore?
MARTESIA
Eh, l'arti infide
mi son note dell'Uomo; allor minaccia
quando lusinga, e quando alletta uccide.
ALCESTE
Da chi l'udisti mai?
TELAMONE
Chi ciò ti dice?
MARTESIA
Della mia genitrice
oggi pur io l'intesi, e so che l'Uomo
è il nemico più fier del nostro sesso.
ALCESTE
Egli nutre per voi quell'odio istesso,
che serba il capro all'agna,
e il colombo amoroso
alla candida sua dolce compagna.
MARTESIA
Fiera di tal natura
non mi darìa terror, se dentro al seno
non covasse maligna ira e veleno.
ALCESTE
Bella semplicità!
TELAMONE
Semplicetta beltà!
MARTESIA
Misera! Indietro.
ALCESTE
Che temi?
TELAMONE
Che paventi?
MARTESIA
I vostr'istessi favor tem'io.
ALCESTE
Perché?
MARTESIA
Perché con essi morte recate a noi.
TELAMONE
Alceste, in lei
pongasi ogni ragion del nostro sdegno.
ALCESTE
Sì, Martesia, decidi
chi di noi sia dell'amor tuo più degno.
MARTESIA
Più degno del mio amor?
TELAMONE
Sì, bella.
MARTESIA
O dei!
Dite, dell'odio mio.
ALCESTE
Ancor di quello pronunzia la sentenza.
MARTESIA
Dirò, che te non voglio, e te detesto.
TELAMONE
Decida dunque il brando la nostra lite.
ALCESTE
Ecco ch'io già lo stringo.
TELAMONE
Ed io pronto, l'impugno.
ERCOLE
(entrando)
Già, fermate.
qual discordia civile
rivolge, o prenci, a vostri danni il ferro
a sparger destinato il sangue ostile?
ALCESTE
Pretende Telamone
ragion sovra costei che fu mia preda.
TELAMONE
Anzi fu mia conquista.
ERCOLE
E chi non vede,
se per me combattete,
che son conquiste mie le vostre prede?
ALCESTE
A te cederla è gloria.
TELAMONE
Ed io mi pregio fartene un dono.
ERCOLE
Andate soldati, e alle mie tende
la gentil prigioniera ora guidate.
MARTESIA
Signor, se ti dispiace,
che per me questi sian venuti all'armi,
pria di partir saprò ridurli in pace.
ERCOLE
Io vi consento: Alceste, Telamone,
Ercole non pretende
sulle vostre conquiste aver ragione,
ma se amor per costei l'alma vi accende
serva amor alla gloria: io la riserbo
al più degno di voi; più bella impresa
a chi di voi farà
per premio e per mercede oggi sia resa.

(parte)
ALCESTE
Premio del mio valore Oggi, bella, sarai.
MARTESIA
Anch'io lo spero.
TELAMONE
Dell'ardor mio la tua beltà mercede alfin sarà.
MARTESIA
Cosi l'alma lo crede.

(I soldati parlano a Martesia)

Aria
TELAMONE
Lascia di sospirar
cessa di lacrimar;
l'alma non teme,
se fia premio al valor il bene amato.
Gode del suo martir,
e l'accresce l'ardir
sì bella speme,
ch'alla battaglia il cor fa più animato.

(parte)
ALCESTE
Per si bella speranza
Che non saprò tentar?
Con alma forte
sulla punta de' strali
correrò lieto ad incontrar la morte.

Aria
Sento con qual diletto
mi dice un mio pensier,
che speri di goder,
che sia contento.
Già 'l mio soave affetto
discaccia ogni timor,
e dolce rende al cor
ogni tormento.

Scena Ottava

(Spiaggia delle Amazzoni. Ercole, poi Teseo con quantità di soldati.; intanto si veggono ardere sul Termodonte le navi de' Greci)
ERCOLE
E qual astro maligno,
invido di mia gloria,
con la fuga d'Antiope alla mia destra
involò la vittoria, o sommi dei?
TESEO
Ercole, ohimè!
ERCOLE
Teseo,
di qual funesto avviso nunzio ne vieni?
TESEO
Ah, volgi indietro i lumi
e d'incendio improvviso
arder rimira già le nostre navi.
ERCOLE
All'armi:
soldati, arse le navi, a noi si toglie
ogni speme al ritorno, e qui conviene
con generoso ardire
o restar vincitori oppur morire.
ORIZIA
(sul ponte)
Vieni superbo greco,
terror del mondo, e domator de' mostri;
prova se i brandi nostri
han contro del tuo petto il taglio ottuso;
vieni, e riman confuso
nel veder la tua fama oppressa e vinta
dal più debole sesso, e ogni tua gloria
per mano femminil cadere estinta.
ERCOLE
Non si lasci impunito,
greci, cotanto orgoglio; e la superba
s'assalisca, si prenda e si disarmi.
ORIZIA
Su, compagne, a battaglia, all'armi, all'armi.

(Scena di ballo simulando combattimento tra greci ed amazzoni)

ATTO II

Scena Prima

(Cortile Del Palazzo Delle Amazzoni. Ippolita, poi Antiope)

Aria
IPPOLITA
Onde chiare che sussurrate,
ruscelletti che mormorate,
consolate
il mio desio;
dite almeno all'idol mio
la mia pena e la mia brama.
"Ama," risponde il rio,
"Ama," la tortorella,
"Ama," la rondinella.
Vieni, vieni, o mio diletto,
ch'il mio core
tutto affetto
già t'aspetta e già ti chiama.

Quanto per me fatale
fu la pietà di chi mi tolse al morso
del fiero orribil orso:
ah fosse almen presente,
come al pensiero, anche agli sguardi miei!
ANTIOPE
(entrando)
Germana: il Ciel, gli dei
secondar le nostri armi.
IPPOLITA
Alla causa più giusta arrise il Ciel.
ANTIOPE
Ma la rapita prole
io pur sospiro, e nel comun contento
sola Antiope si duole.
IPPOLITA
Spera, chi sa?
ANTIOPE
Pur ora intesi
esser tra i greci schiavi uno che al volto
e alle belle armi molto sembra tra lor distinto.
IPPOLITA
(Fra sè)
Ah fosse almeno l'idolo del mio cor.
ANTIOPE
E il destinai a placar
il furor che ascondo in seno.
IPPOLITA
Si, ricomprar con esso vuoi la figlia diletta.
ANTIOPE
Anzi giurai svenarlo,
vittima a Cinzia e alla mia vendetta.
IPPOLITA
Pensa al periglio
a cui la figlia esponi.
ANTIOPE
A' greci ignoto
è per anche il mio voto.
Men vò; tra i prigionieri
poi sceglierò chi più convien che fia
vittima al mio furore.
IPPOLITA
(Fra sè)
Non fate, o numi,
che scelga mai chi adora l'alma mia.

Aria
ANTIOPE
Bel piacer ch'è la vendetta
quando alletta
un nobil core,
se l'offesa con offesa
giunger puote a vendicar.
Di giust'ira un'alma accesa
il suo vindice furore
con ragione solo aspetta
l'empio sangue dissetar.
IPPOLITA
Palpita per timore il core amante
che riveder vorria l'amato bene,
ma nol vorria veder fra le catene.

Aria
Da due venti un mal' turbato
sembra il misero mio seno:
il veleno del timore,
e la speme dell'amor.
Ma sospirando
vado cercando
quel che più teme
il cor che geme
di due tiranni
sotto gl'affanni
speme e timor.

Scena Seconda

(Tempio Di Diana. Piazza avanti il regio palazzo. Antiope, Ippolita, Teseo ed altri schiavi e guardie)
ANTIOPE
Olà: doppie ritorte stringano il prigioniero.
IPPOLITA
Olà: togliete a quel piede gentile
ogni laccio servil.
ANTIOPE
Traggasi a morte.
IPPOLITA
Rendasi in libertà.
ANTIOPE
Con quale orgoglio
Ippolita s'oppone al cenno mio?
IPPOLITA
Con quello di regina.
ANTIOPE
Io sol dal soglio le leggi detto.
IPPOLITA
E qui commando anch'io.
TESEO
(Fra sè)
O destino! In due cori
gareggiano per me gl'odi e gl'amori.
IPPOLITA
Cieca, tu non rifletti
di Martesia al periglio?
ANTIOPE
Di natura il consiglio
luogo non ha ne' voti fatti al cielo.
IPPOLITA
A sì barbaro zelo io m'opporrò.
ANTIOPE
Vedrem chi avrà più forza.
IPPOLITA
Ugual teco mi diero
la sorte e il natal possanza e impero.

Aria
ANTIOPE
Pur che appaghi un giusto sdegno
la vendetta ancor mi piace,
che tormenta e dà dolor.
E alla mia fortuna ria
offro lieta e vita e regno
per dar pace al mio furor.

(parte)
IPPOLITA
Prence, tu prigioniero?
TESEO
Bella, mi vedi
trofeo d'Amor più che di Marte;
io diedi il piede volontario alle ritorte
sol per dar vita al core,
ch'era, lungi da te, vicino a morte.
IPPOLITA
E quali arti infelici,
prence, son mai le tue?
Per conservare un cor perderne due?
TESEO
Perché?
IPPOLITA
Dunque non sai che Antiope irata
giurò svenarti, vittima al suo sdegno?
TESEO
Sarà men disperata
almen la morte mia quand'io sia degno
di spirar, bella mia, sugl'occhi tuoi.
IPPOLITA
Ingrato: e creder puoi,
ch'io possa mai soffrire
di vederti morire e non morire?
TESEO
No, vivi, e in te conserva
di me la miglior parte; un tuo sospiro,
una lacrima sola
ch'esca dal petto tuo, da' tuoi bei lumi,
tutto l'orrore alla mia morte invola.
IPPOLITA
No, no: vanne, Teseo, e a miglior sorte
serba la vita tua, e in un la mia;
ritorna in libertà.
TESEO
Che tirannia!
È l'istesso che dir: "vanne a morire."
IPPOLITA
Crudel: dunque ricusi
dalla mia man di libertade il dono?
TESEO
Ah, questo è un don che dà morte al cor mio,
s'accettar nol poss'io,
chieggio, o cara, perdono.
IPPOLITA
Che risolvi?
TESEO
Disponga,
Amor, di me come gl'aggrada e piace;
so che lungi da te l'amante core
né viver sa, né sa trovar mai pace:
ma tu, perché non m'ami?
Vuoi, col falso pretesto
di darmi libertà, che da te lungi
porti le meste piante?
IPPOLITA
Non t'amo?
TESEO
No; che mai l'oggetto amato
da sé non può bandire un core amante.

Aria
IPPOLITA
Sì, bel volto, che ti adoro,
sì begl'occhi, per voi moro,
né giammai vi lascierò.
Credi a me,
mio ben, per te
il mio core è tutto amore
e morir ancor saprò.

Scena Terza

(Spiaggia Delle Amazzoni. Padiglioni dell'esercito greco in veduta della città. Martesia, Alceste e soldati, e poi Telamone e guardie)
ALCESTE
Bella, di Sparta il trono
è spregievol così che il tuo rifiuto
meriti, allor ch'io tel presento in dono?
MARTESIA
Ma per farmi reina
tu vuoi che a te mi renda schiava e il core
cambi col tuo?
ALCESTE
Tu non l'intendi; Amore
con invisibil mano
fa questo cambio. Io degl'affetti tuoi
divengo unico oggetto, e tu de' miei.
MARTESIA
Dunque allora non potrei
amar'altri, che te?
ALCESTE
Sì d'Imeneo dispongono le leggi.
MARTESIA
E neppur lice amar la genitrice?
ALCESTE
La Madre amar si dee, ma questo affetto,
non men che amor, si può chiamar rispetto:
quel che unisce al consorte
è un altro forte laccio,
che tien gl'animi avvinti insino a morte.
MARTESIA
Se così fosse, io l'alma men ritrosa
già sentirei di divenir tua sposa.
ALCESTE
Dunque mia tu sarai?
MARTESIA
Chi sa? Il mio core non vi ripugna.
ALCESTE
Io ti ringrazio, Amore, giacché sperar mi fai;
bella non ingannar la mia speranza,
ch'io spero si, mà temo, né so ancora
se pari alla beltade hai la costanza.

Aria
Io sembro appunto
quell'augelletto
ch'al fin scampò
da quella rete, che ritrovò
ascosa trà le fronde.
Ché, se ben sciolto,
solo soletto
volando va;
pur timido non sa
dove rivolga il piè,
sì del passato rischio ei si confonde.

(parte)
TELAMONE
(entrando)
Ad onta della sorte,
che tanto arride al mio rivale, io spero,
Martesia, alfin di stringerti consorte.
MARTESIA
E Telamone ancora
mi vuol sua sposa? E come, o Ciel, poss'io
per render paghe ancor le brame tue,
divider il mio cor e darlo a due?
TELAMONE
Chi altri mai lo pretende?
MARTESIA
Alceste, e se il mio core a lui dar voglio,
mi fa regina in Sparta.
TELAMONE
Non ha pregio minor d'Itaca il soglio:
tu meco regnerai lieta e felice.
MARTESIA
Ma se amare non lice
allora altri che un solo, e come, o dei,
due consorti in un tempo amar dovrei?
TELAMONE
Se a me t'unisce amore esser
non puoi d'Alceste.
MARTESIA
E perché mai?
TELAMONE
Perché sono d'Imeneo queste le leggi:
or tu di me o di lui,
qual più ti piace, in tuo consorte eleggi.
MARTESIA
Qual più mi piace?
TELAMONE
Sì.
MARTESIA
Siete ambedue di grado e merto uguale,
ma se non lice a me prenderne due,
Alceste nel piacer mio te prevale.

Aria
Ei nel volto ha un non so che,
che m'alletta
e mi piace più di te.
Mi diletta
se lo miro,
ma sospiro,
né so dir come o perché.

Scena Quarta

(Tempio Di Diana. Tempio rotondo dedicato a Diana con simulacro della dea nel mezzo: tripode col fuoco, e lumiere ad uso di lampadari. Teseo condotto dall'Amazzoni sacerdotesse, e ministre del tempio, le quali portano urne, profumiere, bende, coltelli, bipenni e bacili, con sopravi una corona d'isopo e un'altra di cipresso. Poi viene Antiope con le sue guardie, e poi lppolita)
TESEO
Almen foste presenti
negli'ultimi momenti a dirmi addio
cagion del morir mio, pupille care.
ANTIOPE
Alla suora del sole
giurai svenar di propria mano un Greco
nobil di sangue tanto
che adegui in parte almeno
quel che versai dal sen regio mio pianto.
TESEO
Antiope, il sangue mio
adegua il pianto tuo; per queste vene
del regnante d'Atene
scorre il sangue real: Teseo san io.
ANTIOPE
Che intendo? O sorte! lo sceglier non potea
vittima del mio duol più degna e accetta
di Cinto alla gran dea,
e all'ardente desio di mia vendetta.
Or tu d'Apollo
casta germana,
al cui freddo splendore
delle belle auree stelle il raggio langue
gradisci l'olocausto il di cui sangue
che or sparge il zelo mio più che il mio sdegno,
pace renda al mio core e al mio regno.

(Entra, Ippolita con spada nuda, con molte guerriere, all'arrivo delle quali fuggono le guardie d'Antiope. )
IPPOLITA
Il fiero colpo arresta,
cruda germana, o che sei morta.
TESEO
O dei! Cosi opportuno in mio soccorso giunge
il bel idolo mio?
ANTIOPE
Da te cosi tradita,
fiera, ingiusta sorella, ora son io?
IPPOLITA
No, che non sei da me tradita; in questo
prence io salvo Martesia, che prigioniera
resta esposta de Greci al fiero sdegno;
s'ella si perde, ah!, che si perde il regno.
TESEO
(Fra sè)
O ingrata liberta,
che mi divide dalla mia bella!
ANTIOPE
Che sento, ohimè, che fa? Qual mi divide
gran contrasto d'affetti il cor nel seno?
o voto! o vendetta!
o Cinzia! o giuramento!
o figlia, o mal da me ricordata!
Mal da me vendicata!
Col vendicarti, ah! ch'io t'uccido e spargo
il tuo col sangue altrui!
O figlia! O figlia, ahi perché qui non sei!
Io ti sento, io ti veggio,
che mi chiedi pietà, ma sento ancora
le voci degli dei; o dei troppo
temuti e troppo avversi! Figlia, dei,
che far deggio? Teseo, libero sei!

(partono tranne Teseo)
TESEO
O libertà crudele!
A qual funesto esiglio
condanni il core amante;
sol per allontanarmi dal mio bene
tu mi sciogli le piante.
O care mie catene!
Deh, perché mi togliete i vostri nodi!
I vostri nodi che tenean ristretto
il piede sol, ma fean godere al ciglio
vicini i rai dell'adorato oggetto.

Aria
Scorre il fiume mormorando,
urta in sassi e frange l'onda:
ma, baciando la sua sponda,
tutto lieto al mar sen va.
Il mio cor godea penando,
e correa lieto al periglio
ché il veder quel vago ciglio
val per vita e libertà.

Scena Quinta

(Parte del bosco sacro. Sobborghi di Temiscira rovinati da' Greci, con machine belliche. Ercole e Teseo)
ERCOLE
In libertà Teseo? Sogno? Ove sono?
TESEO
Non sogni, no, libero io sono.
Signor, di Temiscira
quando tra poco espugnerai le mura,
almen con la pietà tempera l'ira.
ERCOLE
Pietà mi chiedi? E per chi mai?
TESEO
Per quella a cui debbo la vita.
ERCOLE
La vita? E come!
TESEO
Avea, per la rapita
figlia, Antiope giurato
alla triforme dea di propria mano
svenar un nobil Greco,
sul collo mi pendea di già la scure,
allor che fece Amore
d'Ippolita nel seno
nascer pietade; ella sen corse al tempio,
e opportuna con l'armi
trattenne il colpo e impedì lo scempio.
ERCOLE
Quest'atto generoso
ad Ippolita Alcide
amico render può, nonché pietoso;
anzi ad Antiope istessa
piu nemico non son, s'ella mi cede
quell'armi che Euristeo per me le chiede.

Aria
Non sia della vittoria
giammai che oscuri il vanto
ombra di crudeltà.
Di vincere, la gloria
mi basta e mia sarà.

Scena Sesta

(Tempio Di Diana. Atrio regio vicino al giardino con simulacro di Diana. Telamone con soldati e Ippolita, poi Teseo, poi Alceste e Martesia)
TELAMONE
Renditi, o che sei morta.
IPPOLITA
A caro prezzo, fin che armata ho la mano,
spero vender la vita.
TELAMONE
Tu la difendi invano.
TESEO
(entrando)
Telamon, ferma il brando, e a te piaccia
cedermi, o bella, il tuo, ch'io ti assicuro
d'ogni servile oltraggio.
IPPOLITA
A te, signor,
io cedo, e a tuoi lacci
consegno il piè, se m'hai già stretto il cuore.
TELAMONE
Mentre tu la disarmi,
tua prigioniera sia; ch'io volgo altrove
con questi miei seguaci i passi e l'armi.

(parte)
TESEO
Ippolita, ecco il ferro
che mi cedesti, al fianco tuo lo rendo:
per salvarti lo presi,
ma se in ciò pur t'offesi, umil perdono
or ti chiedo.
IPPOLITA
Signor, tua serva sono.
TESEO
Il cor per sua regina
t'elesse già, per tale anche d'Atene
ti sta aspettando il trono.
IPPOLITA
No, mio caro Teseo, tua servo sono,
e di tua serva il titolo mi basta
per compensar la perdita d'un regno.
Ti seguirò fedele ove tu vada,
l'armi ti recherò nella battaglia,
e da nemici strali
riparo ti farò col petto ignudo;
sarò qual più vorrai: scudier o scudo.
TESEO
Ippolita, non più; con tali accenti
troppo tu mi tormenti.
Forse pensi cosi provar s'io t'ami?
Ah, piuttosto per prova
della mia vera fede
dimmi che far degg' io, da me che brami.
IPPOLITA
Se pur qualche mercede
merita l'amor mio, solo ti prega
per Antiope mia suora, a pro di lei
il tuo favor, deh, con Alcide impiega.
TESEO
Va pur di ciò sicura:
ma vanne intanto, e a lui già vincitore,
ch'Antiope ceda l'armi tu procura.

Aria
IPPOLITA
Amato ben,
tu sei la mia speranza
e'l mio piacer.
E quella speme che già s'avanza
sento che l'alma
chiama a goder.

Scena Settima

(Parte del Bosco Sacro. Atrio regio vicino al giardino con simulacro di Diana. Alceste, e Martesia con guardie)
ALCESTE
Bella, rasciuga il pianto;
misera quanto credi, ancor non sei:
Ercole è generoso io sono amante.
e giusti sono i dei.
MARTESIA
Ah, se è ver, che tu m'ami,
ama ancor chi è di mè la miglior parte;
fa che viva la madre, se pur brami,
che non pera la figlia.
ALCESTE
Ogni tirnor discaccia ormai dal seno;
vanne, e partite voi; più custodita
non sia, ché libertà le rendo a pieno.
Vanne alla genitrice,
dille, che l'armi ad Euristeo non sdegni
per Alcide mandar, ma viva e regni.

Duetto
ALCESTE
Spera bell'idol mio,
spera e confida in me;
teco morir so anch'io,
non viver senza te.
MARTESIA
Spero, perché il desio
mi fa sperar mercè:
ma non so ancor, ben mio,
se l'Uomo serba fè.

Scena Ottava

(Tempio Di Diana. Reggia, che corrisponde al tempio, dove si vede comparire sopra il suo globo lunare Diana. Antiope sola, poi Martesia, poi gl'altri)
ANTIOPE
Regio mio brando illustre e rea cagione
di tutti i danni miei, giacché degg'io
toglierti al fianco mio,
ceder ti vuò per zelo e per pietade,
ma non già per timore o per viltade.

Casto nume di Cinto,
dea tutelar del regno,
questo acciaro fatal, questo mio cinto
a te consacro, e al braccio tuo consegno.

(Appende la cintura e le spada ad un braccio della statua.)

E tu, fato crudel, che mi togliesti
la figlia, la vendetta, il regno e l'armi,
la vita vuoi lasciarmi
non già per tua pietà, ma per mia pena,
perché in servil catena,
strascinata colà sul greco lito,
dall'attiche donzelle
illustre spoglia io sia mostrata a dito:
ma t'inganni; infelice
tanto non è chi può morir, mi resta
anch'in man questo ferro, or nel mio petto
l'immergo, e a tuo dispetto
morir voglio regina, qual son io;
figlia, io moro, e col cor ti dico - addio.

(Si vuol ferire collo stile. )
MARTESIA
(entrando)
Ah! Genitrice, il fiero colpo arresta.
ANTIOPE
Martesia, figlia, o Ciel! Sogno, o son desta?
Pur ti riveggo, pur t'abbraccio, e pria
di chiuder gl'occhi miei per sempre al giorno
ti stringo al petto. Or quel che più gli piace
faccia di me il destino,
io chiudo i lumi in pace.
MARTESIA
Fermati.
ANTIOPE
No, lascia che m'apra il petto,
onde l'alma dolente,
se il Ciel la prende a scherno,
corra a cercar pietà nel cieco Averno.

Aria
Scenderò, volerò, griderò
sulle sponde di Stige, di Lete
risvegliando furori e vendette
di Megera e d'Aletto nel cor.
Rio destin, del mio sangue la sete
sazia pur, che già Dite m'aspetta
nuova furia del suo cieco orror.

(parte, seguita da Martesia)

(Entrano Ippolita, Ercole, ecc)
IPPOLITA
Invitto Alcide, al cui valor congiunto
va' de regni il destino, il cui sol nome
i tiranni spaventa,
già trionfasti; il nostro
braccio col braccio tuo più non contrasta,
tu mostra a noi che il trionfar ti basta.
ERCOLE
Ippolita, il tuo amore,
la tua pietà, per cui anche rispira
il mio caro Teseo, vince il mio sdegno:
per te salvo il tuo regno e Temiscira;
tutto vi rendo, e l'armi più non chiedo;
valor non chiamo il disprezzar i dei;
non vuò tra i vanti miei
l'aver tolto di mano
a un nume il regio brando e l'aureo cinto.
IPPOLITA
Alcide, or sì trionfi, or sì ch'hai vinto:
eccoti il cinto e'l brando, io te lo dono;
or non temo che i dei
possano avere a sdegno,
se il dono a te, che un altro nume sei.
ERCOLE
Io lo ricevo, e d'amicizia e pace
va che sia tra la Grecia e'l regno vostro
nodo fermo e tenace: ma che vedo!
Che prodigio è mai questo?
IPPOLITA
Cinzia, la nostra dea, pria del costume
sorge piena di lume.
ANTIOPE
(entrando con Martesia)
Ah se fosse ella offesa
dal voto inosservato, d'ira accesa
a noi si mostraria;
amici, i vostri prieghi
faccian che a perdonare ancor si pieghi.
ERCOLE, ANTIOPE
Di Latona illustre prole,
figlia a Giove e suora al sole,
splendi or tu propizia a noi.
CORO
Placa omai, placa lo sdegno,
ché dar pace a questo regno,
bella dea, sola tu puoi.

(Qui comparisce Diana su'l globo lunare, e dice ad Antiope )
DIANA
Antiope; troppo arditi i voti umani,
che son figli dell'ira, e non del zelo.
o rende vani, o non gradisce il Cielo:
che sian d'Alcide l'armi tue; che resti
Ippolita a Teseo, Martesia a Alceste
d'Imeneo fortunato
in dolci nodi oggi è voler del Fato.
ERCOLE
Prenci, regine, udiste
quali siano del Ciel gl'alti decreti?
ANTIOPE
Io la mia fronte inchina al valer del destino.
TESEO ad IPPOLITA E ALCESTE a MARTESIA
Il mio destino sta sol ne' tuoi bei lumi.
IPPOLITA, MARTESlA
Io fò mia voglia del voler de' numi.
ERCOLE
D'Ippolita la destra
stringi, o Teseo; Martesia, ora ad Alceste
porgi la bella man: sono di queste
nozze si liete e care al vostro core
pronubi Cinzia e Giove, il Fato, e Amore.
CORO
Cinzia e Giove, Amore e Fato
s'han formato
sì bel nodo e sì giocondo,
dall'algente all'arsa riva
canti il viva
e goda il mondo.


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Ultimo aggiornamento 29 luglio 2016