Ottone in villa, RV 729

Dramma musicale in tre atti


Testo del libretto (nota 1)


Atto primo

scena prima

Loco delizioso della Villa imperiale con ritiri di verdure e viali di cedro, con peschiere e fontane, adorne di vasi di fiori. Cleonilla sola che va cogliendo fiori per adornarsene il seno.
CLEONILLA
Nacqui a gran sorte, oh cieli, e nacqui, è vero,
per aver sul mio crin d’augusti allori,
qual di Cesare amante, il fregio illustre:
ma ciò che mai giovò! se ho un’alma, un core
che libertà nel suo voler sol brama.
Gemme ed oro io non vò purché, disciolta
seguire io possa Amor che da tiranno
fatto ha in me la sua sede, e ognor mi sforza
d’ogni vago garzon rendermi serva:
così spesso men vò di foco in foco,
sempre vaga d’aver novelli amanti.
Amai di Caio il volto, e ancora io l’amo;
ma appena io vidi, oh dio,
del mio Ostilio gentil le bianche guance,
l’occhio, il ciglio, il bel labbro,
che in nuovo ardor già mi distruggo e avvampo,
né trovo incontro a lui riparo o scampo.

Quanto m’alletta
la fresca erbetta,
quanto a me piace
quel vago fior.

L’un con l’odore
m’inspira amore,
l’altra col verde
empie di speme
l’amante cor.

Scena Seconda

Cleonilla e Caio.
CLEONILLA
Caio...
CAIO
Cleonilla, qui sola?
CLEONILLA
Oh, qual diletto
prova l’alma in raccor questi bei fiori,
per renderne al mio petto
vezzosetto monil di grati odori.
CAIO
Ah, che t’inganni; questi
ponno il vanto spiegar solo fra l’erbe,
ma nel tuo bianco seno
perdono il pregio lor, né quei più sono.
CLEONILLA
Solite tue lusinghe
che adulano il mio amor.
Io t’amo, e basti
che il cor sempre di te sarà sol pago
(ah, che Ostilio di te troppo è più vago).

Sole degli occhi miei,
l’idolo mio tu sei,
e il tuo bel volto amabile
tutt’è scolpito in me.

Quel fulgido splendore,
che in sen m’accende il core,
è tanto sì adorabile
ch’io vivo sol per te.
CAIO
Ma Cesare qui vien!
CLEONILLA
Con l’arti usate
fìngasi sol ver lui geloso amore.
(Su, le lusinghe tue, risveglia oh core!).

Scena Terza

Ottone e suddetti.
OTTONE
Cleonilla a te ne vengo, acciò fra questi solitari ritiri,
de l’impero obliando il grave incarco,
più del tuo ben me goda.
CLEONILLA
Cesare, a che mentir? Forse non veggo
qual cieco oblio ricopra
di quel primo amor tuo la cara imago!
OTTONE
Quai doglianze importune e qual’io sento
frenetico parlar sul tuo bel labbro!
CLEONILLA
Forse non miri, oh dio,
quanto brevi son l’ore
che concedi al mio cor di vagheggiarti!
Quando allor che m’amavi,
ogni cura obliando, i giorni interi meco ne stavi
a raddolcir le pene del tuo tenero amor.
OTTONE
Deh, cessa ormai,
con rimproveri ingiusti,
di rinfacciarmi quel ch’io mai non feci:
ma se pur tralasciai per qualch’ istante
di seguirti, adorarti;
bella, perdon ti chieggo,
e del grave mio error già son pentito.
CAIO
(Oh, scaltra donna, oh, imperator tradito!)
CLEONILLA
Quei vezzi e quei sorrisi,
quegli ardenti sospiri e quelle care
parolette amorose,
che meco usavi ognor, dove, dispersi
ne gir per l’aria, in compagnia de’ venti?
OTTONE
Deh, perché mi tormenti?
Caio, parla per me; vinta tu rendi
d’una mente gelosa il falso errore.
CAIO
Signor, segni pur questi
son di verace amore, che sempre ha seco,
per compagno fedel, solo il timore.
OTTONE
Caro mio ben gradito,
credi pur ch’il mio cuore
sempre più arde a’ tuoi begli occhi inante.
CLEONILLA
Ah, Cesare, m’inganni,
né verso me più sei quel fido amante.

Caro bene,
se vuoi togliermi di pene,
mostra almen più amore in te.

Sai che l’alma
sol trovar può la sua calma
nel candor de la tua fé.
(Parte)

Scena Quarta

Ottone e Caio.
OTTONE
Più fida amante, e chi mirò giammai?
Ogni picciol momento
che al suo fianco io non son, s’adombra, e
crede
che d’amarla già lasci.
CAIO
Tanto fa chi ben ama.
OTTONE
Anch’io l’adoro,
e pur di lei più che sicuro io vivo:
ma tu che spesso, oh Caio,
hai di servirla il sì distinto onore,
togli dal suo bel core
quel sì freddo timor di gelosia:
CAIO
L’onor de’ cenni tuoi
adempiti saran da la mia fede.
(Quanto Cesare è sciocco e tutto crede!)
OTTONE
Par tormento ed è piacer
il veder l’amato oggetto
nel sospetto e nel timor.

È piacer perché si vede quanto
amante è in lei la fede,
quanto fido è in lei l’amor.

Scena Quinta

Caio e poi Tullia creduta Ostilio.
CAIO
Quanto di donna amante
sagace è il cor per ingannare altrui;
oggi solo in Cleonilla ogn’un l’apprenda.
TULLIA/OSTILIO
Caio, fra queste erbette
forse vai rimembrando
di Tullia sventurata
l’amor tradito e la giurata fede!
CAIO
Allor che le tue voci, Ostilio, ascolto,
e il tuo volto rimiro, e gl’atti e i moti,
così di Tullia io le fattezze ammiro,
che se uomo non fossi,
Tullia ti crederei; perciò m’è forza,
sempre che teco io parlo,
sentir del primo amor sovente il tarlo.
TULLIA/OSTILIO
Ma se questo ti punge, or dimmi, oh dio,
perché fido non torni a consolarla?
CAIO
Forza di nuovo foco il primo estinse:
ma a che tanto di quella
sempre sul labbro tuo
deggio sentir qual difensore il nome!
TULLIA/OSTILIO
Sol perché la conobbi, e seco spesso
favellando di te piansi al suo pianto;
ed ora in rammentar le sue querele,
un pietoso pensier mi punge il seno.
(Ahi, che già mi discuopro, o vengo meno!)
CAIO
Che posso io far, se più di lei non curo:
forse in questo momento,
guarita del suo duol, lieta consola
il passato martir con altro amante.
TULLIA/OSTILIO
Questo giammai non fia che ognor costante
più che tradita ell’ è, ti serba amore.
(Ah, crudo, ingrato amante, ah, traditore!)
CAIO
La ragion qual ne sia dir non poss’io!
(Ahi, che sol Cleonilla è l’idol mio!)

Chi seguir vuol la costanza,
o non cerca il suo contento
o tradisce il suo piacer.

Non è fé, ma sciocca usanza,
l’adorar solo un oggetto,
perché amar si fa tormento
se non varia il suo goder.

Scena Sesta

Tullia/Ostilio sola.
TULLIA/OSTILIO
Ah, traditor t’intendo:
siegui pure l’amore d’una perversa donna,
ch’io ben la mia vendetta or ti preparo:
questa già voti appende
al volto mio, benché da te negletto,
e qual giovin garzon solo me siegue:
io per darti un tormento in parte eguale
al mio dolor, la sieguirò fedele,
perché teco qual era ella non sia:
e poi mori, crudel, di gelosia.

Con l’amor di donna amante
il mio core e l’alma mia
arti e vezzi usar saprà.

E nel sen de l’incostante,
col martir di gelosia,
punirò l’infedeltà.

Scena Settima

Rotonda di bagni con letto di campagna, in mezzo a vago boschetto di mirti, con veduta d’acque che cascano.
Cleonilla uscita dal bagno ed Ottone che la tiene per mano, e poi Decio.
OTTONE
Quanto m’alletti, oh cara,
in veder sì scomposti
su le bianche tue membra
errar gli usati fregi incolli e sparsi:
onde ridir non so se per celarle,
o per farne delizia a gli occhi miei,
toccan le tue bellezze.
CLEONILLA
Se queste a te gradite
son pur qual mostri, or dimmi,
perché più tu non l’ami?

(Decio entra)
DECIO
Cleonilla inchino e’l grande Ottone adoro.
OTTONE
Decio che porti?
DECIO
Roma, signor, non è contenta
di vedersi lontan dagli occhi tuoi.
OTTONE
Dunque m’invidia Roma,
che per brevi momenti
in questo loco un bel riposo io goda?
CLEONILLA
(a Decio)
Forse ciò fa per secondar tue voglie.
OTTONE
Frema pur Roma, io l’idol mio sol sieguo:
resta qui, Decio, intanto,
mentr’io scrivo al senato.
DECIO
Il tuo cenno ubbidisco.
(Quanto da l’amor suo resta ingannato!)
OTTONE
Frema pur, si lagni Roma
se non vede il suo regnante,
che il mio ben seguir sol vò.

Di quei rai l’augusta chioma
fregia sol Cesare amante,
né giammai d’altro curò.
(Parte)

Scena Ottava

Cleonilla, Decio, e poi Tullia/Ostilio.
CLEONILLA
Grande ho, Decio, il desio, saper quai cose
Roma di me favella, e se contenta
è dell’amor ch’al mio regnante io porto.
DECIO
Il dir forse che Roma
tesse lodi al tuo nome arte saria
d’adulator, non di vassal fedele.
CLEONILLA
Qual’opre io fo, che di biasmar son degne?
DECIO
(Son le lascivie tue pur troppo indegne).
TULLIA/OSTILIO
Qui per ornarti il fianco
l’usato fregio io serbo!
CLEONILLA
(a Tullia/Ostilio)
A tempo or giungi.
(A Decio)
A miglior loco, oh fido,
serbiam nostri discorsi.
DECIO
Al tuo gran cenno
lungi porto il mio piè.
CLEONILLA
Basti per ora
ridire a chi vil macchia
cerca imporre al mio nome,
che se ben non ancora ho il piè sul trono,
dal regnante di Roma amata io sono.
DECIO
Il tuo pensiero è lusinghiero
se ti fa credere quel che non è.

L’alto splendore del puro onore
non si riacquista se t’ama un re.
(Parte)

Scena Nona

Cleonilla e Tullia/Ostilio, Caio da parte.
CLEONILLA
Porgimi il manto, oh caro,
ch’hai nel tuo volto Amore.
(Qui Tullia/Ostilio mette il manto a Cleonilla)
TULLIA/OSTILIO
Scherza, che pur lo puoi.
CLEONILLA
Ahi, che scherzi non sono,
ridir di tue bellezze il pregio altero.
TULLIA/OSTILIO
Deh, non farmi arrossir.
CLEONILLA
Pur troppo astretta
io sono a un tal rossor. Ma dimmi, oh fido,
poss’io teco svelare un mio pensiero?
TULLIA/OSTILIO
Basta dirmi ch’io taccia, e il tuo comando
adempito sarà.
CLEONILLA
Ma ben rifletti
ch’il tradirmi sarìa la morte tua.
TULLIA/OSTILIO
Più non recarmi offesa,
che a la legge d’onor so quant’ io deggio.
CLEONILLA
Sappi dunque, ch’io t’amo; e fin d’allora
che gl’occhi tuoi mirai,
per te senza riparo arsi e penai.
TULLIA/OSTILIO
Cieli, qual’alto don per me serbate?
Creder poss’io tal cosa?
CLEONILLA
Ah, vezzoso mio ben, dell’alma mia
a te solo il trionfo oggi s’aspetta.
TULLIA/OSTILIO
(Questo sarà pur ben la mia vendetta).
CLEONILLA
No, non restar sospeso, e non sorprenda
l’eccelso onor le tue bellezze altere.
TULLIA/OSTILIO
Il dubbio che in me sento nasce...
CLEONILLA
Da che? Favella...
TULLIA/OSTILIO
Caio...
CLEONILLA
Siegui.
TULLIA/OSTILIO
T’adora,
e del caro tuo amor vive geloso.
CLEONILLA
Eh, che sciocco tu sei; che se ben quello
discaro a me non fu, mai poté tanto
di scorger nel mio cor sì fiero ardore.
TULLIA/OSTILIO
Ma pur...
CLEONILLA
Taci non più; ch’io ti do fede
che Caio sprezzerò; quella che t’ama
tanto eseguir ti dice.
TULLIA/OSTILIO
Oh, soave promessa! oh me felice!
CLEONILLA
Ma perché del mio amor vivi sicuro
fedel quanto ti dissi, ecco ti giuro:
«Amor, con la sua man fedele ei scriva
la gran promessa, il giuramento mio;
solo Ostilio adorar, seguir vogl’io,
e Caio aborrirò per fin ch’io viva».

Che fé,
che amor
per te nel cor,
sempre costante
amante,
riserberò.

Non dubitar
che amar
sempre ti voglio sì,
e se mi ferì
quel vivo cinabro
del tuo labbro
ancor l’adorerò.

Scena Decima

Caio che da parte ha inteso il giuramento e Tullia/Ostilio.
CAIO
(E Caio aborrirò per fin ch’io viva?)
Ahi, che mai gli fec’io?
TULLIA/OSTILIO
(Già Caio intese,
strappati pur quel cor, se quel m’offese).
CAIO
Ostilio, ferma il piè!
TULLIA/OSTILIO
Non posso.
CAIO
Un solo momento almen...
TULLIA/OSTILIO
Seguir sol vò chi deggio.
CAIO
Ah, che t’intendo, oh dio!
TULLIA/OSTILIO
(Il tuo grande dolor compensi il mio.)

Sì, sì, degg’io partir,
no, non ti posso dir,
né ti vò dir perché.

Allor t’ascolterò
quando veder potrò
quel ch’or non veggo in te.

Scena Undicesima

Caio solo.
CAIO
(E Caio aborrirò per fin ch’io viva?)
Ostilio mio rivale? Ostilio or dunque
deve del mio dolore spiegar l’insegna.
Ah, pria ch’io mora almeno,
a Cesare, a l’inferno, al mondo, ai cieli
un sì gran tradimento oggi si sveli.

Gelosia
tu già rendi l’alma mia
dell’inferno assai peggior.

Ma se pria
la vendetta io non farò,
non m’uccidere, no, no,
mio crudele aspro dolor.

Atto secondo

Scena Prima

Delizioso recinto di verdi piante sotto vaga collina con speco erboso, e con laghetto in mezzo per diporto imperiale, con varie sedili d’erbe d’intorno.
Decio ed Ottone.
DECIO
Spinto, signor, son’io
dal zelo del tuo onor, da la mia fede,
a dirti quel, che di ridir pavento.
OTTONE
Favella pur, qual tema
può raffrenarti il labbro?
DECIO
Il dirti cose,
ch’esser ponno cagion del tuo dolore.
OTTONE
Quest’ io non curo allora,
che al carattere eccelso,
che splende in me, onta può darsi e scorno.
DECIO
Già che tu me’l comandi,
Cesare, io ti disvelo,
che colei che tant’ami
fabbra sarà del precipizio tuo.
OTTONE
Per qual ragion?
ADECIO
Son giunte,
scusa, signor, son giunte al colmo
le lascive sue forme agli occhi altrui:
Roma ne sparla; e tutti
dicon: «Cesare è cieco,
che siegue una vil donna, un empio mostro».
OTTONE
Che ascolto! E che tu parli?
Empia è forse colei, perché tropp’ama
chi deve amar?
DECIO
Anzi, perché dimostra
tropp’amar chi non deve.
OTTONE
E chi fia questi?
DECIO
Chi? Ridir non saprei; che folto è pure
quello stuol d’amatori, a cui ben spesso
vezzi, sguardi, e parole,
non dovute al suo onor, comparte e dona.
OTTONE
Dunque che far degg’io perché rimanga
del torto mio, dell’error suo ben chiaro?
DECIO
Dà cauto invigilar su l’opre sue.
OTTONE
Decio, tu mi confondi, e il mio riposo
sento in me già turbato,
più che l’onda di mar per vento irato.

Come l’onda,
con voragine orrenda e profonda,
agitata da venti e procelle,
fremendo,
stridendo,
là nel seno del mare sen va.

Così il core
assalito da fiero timore,
turbato,
agitato,
sospira,
s’aggira,
e geloso,
ritrovar più riposo non sa.

Scena Seconda

Decio, e poi Caio.
DECIO
A Cesare tradito io dir non volli
che Caio è il suo rivale;
bastino i miei ricordi acciò più cauto
i mancamenti ei veda,
che tant’ è ’l mio dover.
Caio qui giunge.
CAIO
Decio, qual duol funesto
del nostr’imperator contrista il volto?
DECIO
Perché tanto mi chiedi!
CAIO
In questo istante
molto turbato il vidi; e tu, che sei
al suo fianco ad ognor, l’alta cagione
ben ridir mi potrai.
DECIO
Il tuo desio
pago render non posso.
CAIO
E perché mai?
DECIO
Perché la fé, l’onor tanto richiede.
CAIO
Anch’io servo fedel di Ottone sono.
DECIO
Caio, troppo ti vanti;
quel che sol posso dirti,
né di renderlo chiaro io son pentito...
CAIO
E che dirai d’Ottone?
DECIO
Egl'è tradito.

Che giova il trono al re
se poi non trova fé
ne’ suoi vassalli?

Ch’ un trionfante allor
perde il suo gran splendor
per l’altrui falli.

Scena Terza

Caio pensieroso s’asside sopra un poggio, e Tullia creduta Ostilio che giunge per ascoltar cosa dice, nascondendosi dietro lo speco, rispondendogli come fosse un’eco, senza ch’egli se n’accorga.
Caio, Tullia/Ostilio.
CAIO
Parli Decio che vuol, ch’a me non cale
udir ciò ch’ei favella: io qui m’assido
non per cercar riposo,
ma sol per favellar col mio dolore.
TULLIA/OSTILIO
(Pena, smania, t’adira, oh traditore!)
CAIO
Qual dal colle vicin voce rimbomba,
e traditor mi chiama?
TULLIA/OSTILIO
(Quella che abbandonata anche pur t’ama.)
CAIO
Chi m’ama, or dunque, un traditor m’appella?
TULLIA/OSTILIO
(Chi tu ingrato tradisti or ti favella.)
CAIO
Or ti favella? E chi? Se a Tullia solo
fui mancator di fede?
TULLIA/OSTILIO
(Quella de’ torti suoi ragion ti chiede.)
CAIO
Qual fantasma, qual’ombra
chiede ragion del tradimento mio?
TULLIA/OSTILIO
(Uno spirto infelice, e quel son’io.)
CAIO
E quel son’io? Chi sei? Deh ti disvela
a un’alma fida, a un infelice amante.
TULLIA/OSTILIO
(Di pur d’un empio cor, d’un incostante.)
CAIO
Incostante è colei che ad altri dona
quel che a me già donò!
Ma d’onde, oh dio,
esce sì mesto suon?
TULLIA/OSTILIO
(Dal dolor mio.)
CAIO
Ah, che dal dolor mio nascon le voci,
perciò parmi sentir ciò che non sento:
la crudel gelosia
già di sensi mi priva:
sogno, vaneggio, e quale
orror m’ingombra?
Io disperar mi sento.
TULLIA/OSTILIO
(Faccia la mia vendetta il tuo tormento.)
CAIO
L’ombre, l’aure, e ancora il rio
eco fanno al dolor mio;
se questi solo, oh dio, qui son presenti.
TULLIA/OSTILIO
(in eco)
(Senti, senti...)
CAIO
Senti, senti! Ahi quale orror,
quale affanno, qual timor
sento in me!
Povera la mia fè
non merta per merce tanti tormenti!
TULLIA/OSTILIO
(in eco)
(Menti, menti...)

Scena Quarta

Caio e poi Tullia/Ostilio che finge di giungervi a caso in quel luogo.
TULLIA/OSTILIO
Qual duolo, oh Caio,
frenetico ti rende!
CAIO
Ah, rival scellerato, io ben conosco
dagli atti tuoi, qual gran piacer ti reca,
unire a la tua gioia il mio tormento;
ma non viver sì lieto, ancor t’aspetta
di veder sul tuo capo
in breve, fulminar la mia vendetta.

Su gli occhi del tuo ben
ti svellerò dal sen
l’alma infedele.

Sarà del mio rigor
effetto de l’amor
l’esser crudele.

Scena Quinta

Tullia/Ostilio sola.
TULLIA/OSTILIO
Disperato è l’infido e invano io cerco
di renderlo pentito
del tradimento suo; ma già che nulla
di conforto m’avanza,
resti nel suo dolor la mia speranza.

Due tiranni ho nel mio cor,
l’uno è sdegno e l’altro è amor.

L’un m’invita alla vendetta,
l’altro poi mi dice aspetta,
che pentito del suo errore
mirerai quel traditore.

Scena Sesta

Gabinetto boschereccio con tavolino per accomodarsi la testa.
Cleonilla a sedere guardandosi in specchi e Caio che giunge.
CLEONILLA
Felice è il volto mio, non perché fregia
di vaga gemma e fiori il fronte altero,
ma perché sol de’ cori
de’ sventurati amanti orna il suo crine.
CAIO
Infida, or già che sola io qui ti veggo,
dimmi qual fallo io feci,
che del disprezzo tuo degno mi rendi?
Forse in me più non vedi...
CLEONILLA
Troppo ardito favelli e troppo chiedi.
CAIO
Dunque in oblio ponesti...
CLEONILLA
Ancor non odi,
che ascoltarti non voglio?
CAIO
E quell’amore
che un tempo a me portasti...
CLEONILLA
Taci e parti, ti dico, e tanto basti.
CAIO
Tanto m’imponi, oh dio!
CLEONILLA
Tanto comando!
CAIO
Ma già che ubbidienza io sol ti deggio
le mie giuste querele
in questo foglio almen leggi, oh crudele.
(Le dà in mano il foglio e parte con l’aria.)

Leggi almeno, tiranna infedele,
in un foglio rigato col pianto
la mia fede e la tua crudeltà.

E se ancor mi sarai pur crudele,
di costanza in me resti il gran vanto,
e lo scorno in te sol d’empietà.

Scena Settima

Cleonilla che legge, ed Ottone sopraggiunge togliendole il foglio.
CLEONILLA
Che mai scrisse qui Caio? Il suo cordoglio
nulla pietà mi reca; io leggo il foglio.
OTTONE
(togliendole la lettera)
Qual foglio è questo?
CLEONILLA
E tanto
con un atto sì vil Cesare ardisce?
(Perduta è l’alma mia se s’avvilisce!)
OTTONE
Molto il ciglio conturbi e imbianchi il volto!
Ah, tradimento è questo.
CLEONILLA
Il mio rossore
nasce sol da lo sdegno. (Ardire, oh core!)
OTTONE
Leggasi il foglio.
CLEONILLA
Leggi,
e poi non l’error mio, ma il tuo correggi.
OTTONE
(legge)
«Caio infelice a l’idol suo, salute».
Caio di te l’amante?
CLEONILLA
Compisci il tutto, e poi risposta avrai.
(Franco svegliati, oh cor, quanto più sai!)
OTTONE
(siegue)
«Già che campo non ho del tuo disprezzo
chiederti la cagione, almen ti parli
questo foglio per me: dimmi che feci,
che abbandoni il mio amor per altro amante?
Ma se pure il mio duol non può cangiarti,
per non farmi sentir sì rio tormento,
svenami almeno il core, e son contento».
Dunque infedel tu sei e Caio è il rivale?
Io son tradito? Ah, che non erra Roma,
se te lasciva e me sol cieco appella.
CLEONILLA
Troppo indegno è il tuo labbro
se incontro a l’amor mio così favella.
OTTONE
Qual difesa puoi far? Parla, ch’io faccio.
CLEONILLA
(All’inganno, mio cor). Tiranno, ascolta:
tu sai le promesse
che Tullia un giorno diede
d’esser consorte a Caio.
OTTONE
Io stesso intesi
da sua bocca il racconto.
CLEONILLA
Or sappi ancora
ch’egli, sapendo al fin, che ad altro amante
ella ha donato il core, in questo foglio
seco si lagna, ed in mia man lo diede,
perché li scriva anch’io: acciò vedendo
l’infida donna sua
d’una tua favorita il gran comando,
pentita del suo errore,
per ubbidirmi torni al primo amore.
OTTONE
Se tanto è ver, mio bene,
perdon ti chieggo.
CLEONILLA
Ah, che no’l merti, ingrato.
(Già nel teso mio laccio egli è inciampato!).
OTTONE
La gelosia...
CLEONILLA
Che gelosia? Ma ferma:
per farti più palese il tuo gran fallo,
ecco, il foglio già scrivo, io te’l consegno:
e di renderlo a lui fia tuo l’impegno.

(Cleonilla canta l’aria, interrompendosi per scrivere)

Tu vedrai s’io ti mancai,
s’io per te son infedel.

E dirai con tuo rossore
che sei tu l’ingannatore
io l’amante, io la fedel.

Scena Ottava

Decio che sopraggiunge mentre Cleonilla scrive, ed Ottone sta sospeso.
DECIO
Cesare, io già prevedo
di Roma infida un tradimento occulto,
se pronto al soglio tuo non fermi il piede.
OTTONE
Deh, non aggiunger pena, a chi nel core
solo di gelosia sente il dolore.
DECIO
Ma, Signor, non vorrei...

(Cleonilla finisce di scrivere, e dà il foglio ad Ottone.)
CLEONILLA
Eccoli il foglio, e mira
se fida o disleal, crudo, son’io.
(Scaltro trionfi pur l’inganno mio!)

Povera fedeltà,
che giova al tuo candor,
se un fiero traditor
più non ti crede?

Vanne piangendo, va’,
e chi saper vorrà
qual premio a te si dà,
digli che pianto e scorno
è tua mercede.

Scena Nona

Ottone e Decio.
OTTONE
Ah, Decio, i tuoi ricordi
troppo mi fer geloso.
DECIO
Ciò che mal può recarti?
OTTONE
Il creder cose
che a me dan scorno, ed a Cleonilla offesa.
DECIO
Eh, Signor...
OTTONE
Mio fedele,
pria che d’altro mi parli, a me ne venga
tosto qui Caio.
DECIO
Il tuo gran cenno adempio.
(Ottone per troppo amor reso è già scempio).

Ben talor favella il cielo
con il cor d’un buon vassallo,
a favor d’un alto re.

Ma, per opra de l’inferno
spesso frode appare il zelo,
e si sprezza una gran fé.

Scena Decima

Ottone con le due lettere in mano leggendo quella di Cleonilla, e poi Caio.
OTTONE
Oh! Qual error fec’io,
la mia bella fedel credere infida!
Leggasi ciò che scrive:

(Ottone legge la finta lettera di Cleonilla a Tullia/Ostilio.)

«Di Cesare l’amata a Tullia scrive.
Caio di te si lagna; e un mio comando
vuol che a suo pro qual nostro servo adopri,
perché l’antico amor tu non offendi:
pensa che tu morrai se non m’intendi».
CAIO
Cesare al tuo comando ecco qui sono.
OTTONE
Molto lagnar di te mi deggio, oh Caio!
CAIO
Signor, che mai ti feci?
OTTONE
Ciò che tu non dovevi.
CAIO
Io mi confondo.
(Se scoperto è il mio amor, dove m’ascondo?)
OTTONE
Sai che Cesare sono, benché tu poco
stimi il mio gran poter.
CAIO
Favella, oh sire.
(Il rimorso crudel mi fa morire.)
OTTONE
Leggi; questo è tuo foglio?
CAIO
(Cieli, dei, son perduto!)
OTTONE
Il tuo rossore
già convinto ti rende.
CAIO
(Oh che dolore!)
OTTONE
Parla! Tu non rispondi?
CAIO
(Ah, mio destino!
A perdere il respiro io son vicino!)
OTTONE
Non è fuor di ragione il tuo spavento,
mentre a Cleonilla chiedi
quell’aita al tuo amor, che al tuo regnante
chieder solo dovresti!
Ma il perdon pur vò darti: eccoti il foglio
ch’ella per compiacerti a Tullia scrive;
contento sei?
CAIO
Signor, pur troppo!
OTTONE
Sol però ti ricorda
che Cesare qui regna, e allor che d’uopo
hai di real favor, me sol richiedi,
già che dell’amor mio le prove or vedi.

Compatisco il tuo fiero tormento
e ne sento dolore e pietà.

Il mio core che sa che sia amore
sempre teco clemenza userà.

Scena Undicesima

Caio, e poi Tullia/Ostilio.
CAIO
Quanto Cleonilla è scaltra! Ella fu colta
forse in leggendo il foglio mio, nel punto
ch’ella al certo pentita
era del mio dolor. Ma pure al fine
al rimedio pensò: con trama industre
in messaggier mi fé l’istesso Augusto
del suo pronto pensiero: io, che l’intesi
scosso dal grave affanno,
campai dal rischio; oh, fortunato inganno!

Io sembro appunto
quell’ augelletto
che al fin scampò
da quella rete
che ritrovò
nascosa tra le fronde.

Che se ben sciolto
solo soletto
volando va;
pur timido non sa
dove rivolga il piè,
se del passato rischio
ei si confonde.

Scena Dodicesima

Tullia/Ostilio sola.
TULLIA/OSTILIO
Ah, che non vuol sentirmi il traditore.
Perfidissime stelle,
quando del mio dolor sazie sarete?
Ancor voi contendete
un picciol sfogo alle sventure mie?
Che far degg’io, che mi consigli Amore?
Deh, per pietà de l’aspra mia ferita,
o sanami la piaga, o dammi aita.

Misero spirto mio
spirami sol vendetta,
più non parlar d’amor, no!

Ma come posso, oh dio,
spuntar la mia saetta,
s’adoro il traditor.

Atto terzo

Scena Prima

Solitario passeggio con lochi nascosti di frondosi ritiri. Decio e Ottone.
DECIO
Signor...
OTTONE
Lasciami in pace;
e se parlar mi vuoi,
del caro ben sol parla.
DECIO
Almen rifletti
a tua salvezza, ed al periglio tuo:
Roma...
OTTONE
Roma, che può?
DECIO
Con sue congiure
toglierti vita, e impero.
OTTONE
Vil pur sarei, se un tal timor provassi.
DECIO
Ah, che viltà non è, rimedio imporre
al precipizio tuo: nel labbro mio
l’alta fé parla sol d’un buon vassallo.
OTTONE
Decio, se vuoi piacermi
lasciami in pace; io parto
per vedere il mio bene...
DECIO
Ah, che fabbro tu sei delle tue pene.
OTTONE
Tutto sprezzo, e trono e impero,
pur ch’io provi il bel contento
di goder sol del mio ben.

Tu, che intendi il mio pensiero,
non cercar, con vil tormento,
di turbare il mio seren.

Scena Seconda
Decio solo.
DECIO
Già di Ottone preveggo
l’imminente caduta:
ei più non ode, o vede,
i fidi avvisi miei, né il gran periglio:
un’infida sua donna
stolido e cieco il rende: ah, se potessi
fargli chiaro vedere il suo gran scorno,
forse in se stesso un dì faria ritorno:
ma, in questo ascoso loco,
Caio con l’infedele il piè rivolge:
Cesare io vò avisar, che forse io spero,
far che de l’onta sua pur vegga il vero.

L’esser amante
colpa non è,
ma in un regnante
si fa difetto,
si fa viltà.

Che un regio core
tal più non è,
se d’empio Amore
servo si fa.

Scena Terza

ACleonilla e Caio.
CLEONILLA
Cerchi invan ch’io t’ascolti.
CAIO
Dimmi almen la cagion del tuo rigore?
CLEONILLA
Il passato periglio
forse non bene ancora
saldò la tua ferita?
CAIO
Anzi l’accrebbe
più assai, col fiero stral di gelosia.
CLEONILLA
Se la tua non guarì, saldò la mia.

No, per te non ho più amor,
ti basti sol così.

Piangi nel tuo dolor,
che la pietà dal cor
per te sparì.

Scena Quarta

Tullia/Ostilio, Cleonilla e Caio.
TULLIA/OSTILIO
Cleonilla!
CAIO
(Oh, che dolore!)
CLEONILLA
Ostilio, appunto
desiava il mio cor di rivederti.
TULLIA/OSTILIO
Al tuo cenno qui sono.
CAIO
(Io già son morto!)
TULLIA/OSTILIO
(in segreto, a Cleonilla)
(Non mancarmi di fé!)
CAIO
(accostandosi a Cleonilla)
(Vorrei parlarti!)
CLEONILLA
(a parte, a Tullia/Ostilio)
(Non dubitar mio ben.)
(a Caio)
Tu taci, e parti.
CAIO
Pria ch’ubbidisca, ascolta...
TULLIA/OSTILIO
(a parte, a Cleonilla)
(Non l’ascoltar se m’ami!)
CAIO
(a Cleonilla che non vuol sentirlo)
Io vò pur dirti...
CLEONILLA
(a parte, a Tullia/Ostilio)
(Fida sarò per te!)
(a Caio)
Non posso udirti.
TULLIA/OSTILIO
(a Cleonilla)
Se parlar mi dovevi, io qui t’attendo.
CAIO
(a parte, a Cleonilla)
(Donami pria ch’ io parta un picciol sfogo).
CLEONILLA
(a Caio)
Ubbidienza io voglio...
(A parte, a Tullia/Ostilio)
(Aspetta un poco.)
TULLIA/OSTILIO
(a parte, a Cleonilla)
(Quanto cara mi sei!)
CAIO
(a parte, a Cleonilla)
(Quanto spietato hai il cor!)
ZCLEONILLA
(a Caio)
Parti, non più.
(A parte, a Tullia/Ostilio)
(Labbro adorato).
CAIO
Parto, già che lo vuoi! (Ma qui m’ascondo:
tanto mi detta in sen la gelosia
per più chiara veder la morte mia).

(Va per nascondersi cantando)

Guardami in questi occhi e senti
ciò che ti dice il labbro,
ciò che ti parla amor.

Sol guarda i miei tormenti,
e poi, con un sospir,
consola il mio dolor.

Scena Quinta

Cleonilla, e Tullia/Ostilio.
CLEONILLA
Quant’ha di vago Amor nel suo gran regno,
tutto negli occhi tuoi scolpito io veggo.
TULLIA/OSTILIO
Ah, mia diletta, Amore
se nel mio volto e sul mio ciglio il miri,
il perché tu non sai?
CLEONILLA
Dimmelo, oh caro.
Siedi qui meco alquanto.
TULLIA/OSTILIO
Ah! Che se mai
in atto tal veduto io fossi.
CLEONILLA
Eh, taci!

(Astringerdola a seder seco)
TULLIA/OSTILIO
Il negar d’ubbidirti
temerario saria; ecco m’assido.
CLEONILLA
Oh, qual gioia a te presso io sento in seno.
TULLIA/OSTILIO
Da sì eccelso favor resto confusa;
(quanto nel suo pensier resta delusa).

Che bel contento io sento
or che il tuo braccio,
con dolce laccio,
mi stringe al seno,
mio dolce amore.
(Tu prendi errore).

Non così lieta,
la navicella,
da ria procella,
scampando al fine,
per suo conforto,
giunge nel porto
senza timor.

Come il mio cor,
nel tuo bel petto
or ch’è ristretto,
gioisce e brilla,
d’amor sfavilla,
né prova affanni.
(Quanto t’inganni).

Scena Sesta

Caio nascosto, non potendo soffrire la fortuna del suo rivale, esce con stilo alla mano per ammazzar Tullia/Ostilio.
CAIO
(Più soffrir non poss’io: in questo punto
vendichi un gran furore,
Ottone insieme e il mio tradito amore!)
Mori, spergiuro indegno!

(Correndo con stilo a la mano per ammazzare Tullia/Ostilio)
CLEONILLA
(difendendolo)
Ah, scellerato!
Tanto cieco t’avanzi,
ove miri il mio volto?
CAIO
Di Cesare schernito,
vendicar ben degg’io l’offeso amore.
TULLIA/OSTILIO
Svenami non te’l vieto, ingannatore.
CAIO
Contento io ti farò.
CLEONILLA
Guardie, soccorso!
Uccidete un sleal che tanto ardisce.
TULLIA/OSTILIO
Ingrato! Il ferro tuo non m’avvilisce.

Scena Settima

Ottone e Decio, sopraggiungono al rumore.
OTTONE
Caio infierito; e che mai tenta, oh dei?
DECIO
Così offeso, signor, dunque tu sei!
CLEONILLA
Cesare, io vò vendetta:
tentò l’indegno...
CAIO
Ah, Cesare, me prima ascolta:
io qui ne venni
chiamato sol dalla mia fé, che volle
vendicare il tuo affronto.
CLEONILLA
Io saprò dirti
l’infamie del suo cor.
CAIO
Signor ten priego
prima sentir da me l’ingiurie tue.
OTTONE
Parla: che sarà mai?
CAIO
Cleonilla l’infedele in questo istante
amoreggiar l’indegno Ostilio io vidi.
Quante carezze, e quante...
Ah, che infida ell’è pur; perciò tentai,
per tuo onor, per mia gloria,
svenargli al piè davante
il suo vago garzone.
OTTONE
Immobil sono!
ZDECIO
(Oh, quanto vil di Roma è fatto il trono.)
CLEONILLA
(All’arti, all’ire, al pianto.)
(piangendo)
Ah, mio diletto...
OTTONE
Taci, crudel, t’ascondi: e adempi, oh Caio,
la tua grand’opra, e l’infedel qui svena.
CAIO
D’ubbidienza è l’alma alfin ripiena.

(Va per svenarlo)
TULLIA/OSTILIO
Prima, Augusto, m’ascolti,
e poi contento io morirò.
OTTONE
(a Caio)
Ti ferma!
Sentir vò sue discolpe, e poi che mora.
CLEONILLA
(Di scusar l’error mio pur spero ancora!)
TULLIA/OSTILIO
(s’inginocchia avanti Ottone discoprendosi)
Oh, di Roma, oh del mondo
invitto duce e regnator sovrano:
non è colpa in Cleonilla: io nel mio seno
serbo di fede sol l’alto splendore:
e Caio è sol l’infido, il traditore.
Ah, Cesare, qui vedi
qual uomo accarezzò l’amante tua:
io sono un’infelice,
che un traditor crudele
sieguo, che mi lasciò: da te pretendo
che vendicato il torto mio pur sia:
vedi se sol pietà merto, e perdono;
(Si svela del camuffamento.)
giacché Ostilio non più, ma Tullia io sono!
OTTONE
Qual stravaganza è questa?
CAIO
Oh, ciel, che veggo!
OTTONE
Oh, quanto
impensato è il destin.
CLEONILLA
(Propizia sorte,
al mio scampo, fedel m’apre le porte!)
OTTONE
Dunque, se Tullia sei, t’alza; e di Caio
consorte io vò che sii,
e se pria ti stimò forse infedele,
or conosca il suo error.
(A Cleonilla)
Ma come, oh donna
nulla ridir, che in viril manto ascosa
Tullia si stava?
CLEONILLA
Intanto
l’accarezzai, la strinsi,
sol perché donna ell’era (a miglior vita
già l’error mio mi fa tornar pentita).
OTTONE
Dunque perdona, oh cara,
al doppio error con cui t’offesi, e cerco
perdon di quanto oprai.
CLEONILLA
Ah, se cangio pensier tu ben vedrai.
DECIO
Oh, strano evento, oh, inopinato giorno!
CAIO
(a Tullia)
Cara, t’abbraccio, ed in oblio riponi
de le mancanze mie l’aspra memoria.
TULLIA
Basti sol che di fé abbia la gloria.
CORO, CAIO E TUTTI
Grande è il contento
che prova un core,
se dal tormento
nasce il piacer.

Dopo il furore
di ria procella
sembra più bella
la calma al nocchier.

(1) Testo tratto dal programma di sala della Fondazione Teatro La Fenice,
Venezia, Teatro La Fenice, 10 luglio 2020


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Ultimo aggiornamento 2 ottobre 2020