Concerto in fa maggiore per fagotto e orchestra, op. 75, J. 127


Musica: Carl Maria von Weber (1786 - 1826)
  1. Allegro non troppo
  2. Adagio
  3. Rondò: Allegro
Organico: fagotto solista, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Monaco, 14 - 17 novembre 1811 (revisione: Dresda, 1 - 3 agosto 1822
Prima esecuzione: Praga, Ständetheater, 19 febbraio 1813
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1823
Dedica: composto per G. Fr. Brandi
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Weber diede il meglio del suo ingegno nel teatro musicale e opere come il Freischütz, l'Euryanthe e l'Oberon restano esempi altissimi in campo melodrammatico per originalità di stile e genialità di orchestrazione, prefigurando la cosiddetta "opera d'arte totale" realizzata poi da Wagner e in cui sono strettamente connessi fra di loro la musica, il testo poetico, la scenografia e la regìa teatrale. Ciò non significa però che tutto Weber sia nel teatro e le sue composizioni sinfoniche, strumentali, da camera e pianistiche presentino scarso interesse sotto il profilo tecnico ed estetico. Al contrario. Autore di due sinfonie, varie sonate per pianoforte, di due concerti per pianoforte, di due concerti per clarinetto e orchestra, del brillante Konzertstück per pianoforte e orchestra, dei pezzi pianistici Grande Polonaise in mi bemolle op. 21, Rondò brillante in mi bemolle op. 61, Aufforderung zum Tanz, op. 65 (il famoso "Invito alla danza" orchestrato da Berlioz), Polonaise brillante in mi op. 72, di numerose variazioni su temi propri e altrui, di varie sonate per violino e pianoforte e di altre composizioni per fagotto, corno, violoncello e per piccoli complessi, come il trio, il quartetto e il quintetto, Weber dimostra la sua schietta natura romantica (per i sentimenti che esprime e per il modo ardente e appassionato con cui li esprime) e il suo vivacissimo pensiero musicale aperto alle sollecitazioni e agli umori che derivano da una irrefrenabile gioia di vivere.

Certo, nelle composizioni sinfoniche e strumentali da camera weberiane il motivo di maggior richiamo è dato dal timbro e dal colore del suono, molto più personale rispetto alla struttura architettonica del pezzo. Ma sono proprio quella qualità e quelle caratteristiche che preparano la strada all'affermazione e allo sviluppo dell'orchestra nella grande stagione romantica.

Un esempio eloquente della straordinaria bravura di strumentatore di Weber si può ravvisare nel Concerto in fa maggiore per fagotto e orchestra, scritto nel 1811 e pubblicato come op. 75. Tale Concerto è considerato a giusta ragione una prova di grande impegno per il solista e in ragione delle squisitezze timbriche e coloristiche sparse nella partitura presenta molte affinità di gusto con l'Andante e Rondò ongarese in do minore op. 35 per fagotto e pianoforte dello stesso compositore. Il Concerto è articolato in tre tempi nel rispetto più ortodosso della forma classica. L'Allegro ma non troppo del primo movimento si apre con una introduzione orchestrale (40 misure), in cui sono contenuti i due temi del primo tempo. Il primo tema è spigliato e dal ritmo puntato, tanto amato da Weber. Ad esso fa seguito, dopo una serie di brevi scale, il secondo tema particolarmente cantabile e dal largo fraseggio espressivo. Ecco quindi il fagotto solista che ripropone tutti e due i temi, imponendo il suo ruolo di protagonista con una scrittura sia di tipo virtuosistico (il gruppetto di scale in "staccato") che caldamente melodica. Una coda caratterizzata da arpeggi e scale del fagotto sorrette da tutta l'orchestra conclude il primo movimento. L'Adagio del secondo tempo in si bemolle maggiore è riservato praticamente al canto dolce e cullante del fagotto, sulle morbide armonie degli archi. L'orchestra tende ogni tanto ad alzare la testa e a mettersi alla pari con lo strumento solista, che non può mancare all'appuntamento con la cadenza prima della chiusura dell'Adagio dalla forma a metà di recitativo e a metà di arioso. Il Rondò finale attacca subito e offre al fagotto solista tutte le possibilità tecniche ed espressive per poter brillare come una prima donna sul palcoscenico. Scale ascendenti e discendenti, salti ritmici e frasi cantabili si alternano con disinvolta scorrevolezza nella parte del fagotto, mentre l'orchestra accompagna con discrezione e puntualità la vivace sortita di questo strumento dal suono così estroso e familiare, opportunamente valorizzato nella grande stagione romantica ed anche nella produzione musicale moderna e contemporanea.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A differenza di altri strumenti a fiato come il clarinetto o il corno, il fagotto venne confinato dai compositori romantici in una posizione di secondo piano; passaggi solistici assai limitati e grande utilizzazione invece per creare impasti orchestrali caratterizzano la vita di questo glorioso strumento nel 19° secolo. Al contrario, nei due secoli precedenti il fagotto era non solo indispensabile come sostegno armonico in lavori sia cameristici che orchestrali - dove spesso raddoppiava o sostituiva il violoncello - ma rivestiva un ruolo di primo piano anche come strumento solista (i trentotto Concerti di Vivaldi) o all'interno di un piccolo complesso di fiati (Divertimenti e Serenate di Haydn, Mozart, Pleyel, ecc.). Il suo inconfondibile timbro nasale poteva assumere connotati ora gravi e solenni ora burleschi (non per niente nel nostro secolo Prokofiev lo utilizzò per caratterizzare la figura del nonno accigliato nel suo Pierino e il lupo) e, malgrado la tessitura bassa, la sua agilità nello staccato rapido lo rendeva indispensabile agli operisti buffi, primo fra tutti Rossini.

L'interesse di Weber per il fagotto nacque dalla conoscenza dell'ottimo strumentista Georg Friedrich Brandt, primo fagotto dell'Orchestra di Monaco, su richiesta del quale compose nel 1811 il "Concerto in fa maggiore" op. 75 e, due anni dopo, l'"Andante e Rondò ungherese", trascrizione di un precedente lavoro per viola e orchestra.

Il Concerto op. 75 è un tipico esempio di classicismo post-mozartiano, diffusissimo nel primo ventennio dell'Ottocento e ricalcante stilemi mozartiani in modo alquanto superficiale e stereotipato. Così nell'iniziale Allegro ma non troppo oscillante fra la caratteristica brillantezza della musica strumentale di Weber e la tenera semplicità pastorale della tonalità d'impianto (fa maggiore) sono frequenti i riferimenti al Concerto per fagotto K. 191 scritto da Mozart a 18 anni, mentre la bella linea melodica dell'Adagio è un autentico ricalco del Salisburghese. Il brillantissimo e spiritoso Rondò finale - di sapore rossiniano - mette bene in luce le doti di agilità dello strumento solista.

Giulio D'Amore


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 marzo 1986
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 ottobre 1990


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Ultimo aggiornamento 19 ottobre 2014