Sei Bagatelle per quartetto d'archi, op. 9


Musica: Anton Webern (1883 - 1945)
  1. Mäßig
  2. Leicht Bewegt
  3. Ziemlich Fließend
  4. Sehr Langsam
  5. Äußerst Langsam
  6. Fließend
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1911 - luglio 1913
Prima esecuzione: Donaueschingen, 19 luglio 1924
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1924
Dedica: Alban Berg
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Non multa sed multum: quanto vorrei che questa massima possa applicarsi a quel che qui ti offro»: con queste parole Anton Webern dedicava ad Alban Berg le sei Bagatelle per quartetto d'archi op. 9.

Questa massima si potrebbe estendere a tutta la musica di Webern, sempre caratterizzata dall'estrema concentrazione, ma proprio le Bagatelle op. 9, del 1913, sono il vertice di tale concezione aforistica: le più brevi (la terza e la sesta) durano appena quindici secondi, la più lunga (la quinta) poco più d'un minuto, tutte insieme superano appena i tre minuti. La novità di questa concezione del comporre risalterà meglio confrontandola con l'abnorme dilatazione delle durate (e degli organici) della musica tardoromantica degli anni immediatamente precedenti. Di conseguenza, deve essere completamente diverso l'approccio e la recezione da parte dell'ascoltatore. Pierre Boulez, dopo aver paragonato le composizioni di Webern di quegli anni agli Hai-Kai giapponesi, ne sottolinea la grande difficoltà d'ascolto: «Forse la nostra tradizione occidentale non ci predispone come sarebbe necessario: l'Occidente ha sempre avuto bisogno d'un gesto assolutamente esplicito per capire ciò che gli si vuole significare».

Le Bagatelle sono costruite con "motivi" di una (!), due, tre o quattro note. A questi motivi scarnificati si accompagnano la neutralizzazione d'ogni riferimento tonale, l'annullamento della scansione ritmica regolare mediante la sovrapposizione e la successione di figure ritmiche diverse, l'abolizione delle ripetizioni e delle simmetrie formali, l'attenuazione delle sonorità, che raramente toccano il forte. C'è un'attenzione estrema a ogni infinitesimo dettaglio: si vedano, per esempio, le minuziosissime indicazioni riguardanti l'intensità (la quinta bagatella è uno studio su tutte le sfumature del piano, mentre nella sesta quasi ogni nota va suonata con un piccolissimo "crescendo" o "diminuendo") e il modo di produrre il suono (armonici, con l'arco, pizzicato, staccato, spiccato, con la sordina, sul ponticello, sul manico, con la punta dell'archetto). La musica di Webern è fatta dalla giustapposizione di tutti questi minimi "frammenti", ridotti a gesti furtivi e senza sbocco, che trovano la loro risoluzione nel silenzio.

Nella sua breve prefazione alla prima edizione delle Bagatelle op. 9 (1924), Arnold Schönberg ha scritto: «Ogni sguardo si può sviluppare in un poema, ogni sospiro in un romanzo. Ma per racchiudere un romanzo in un solo gesto, una gioia in un solo respiro, ci vuole una concentrazione che elimini ogni sfogo sentimentale». Queste celebri parole di Schönberg hanno anche suscitato qualche critica, ma naturalmente la sua intenzione non era invitare a un'interpretazione letteraria delle astratte partiture weberniane. Come ha scritto Roman Vlad, il fine di Webern è «svincolare la musica dai campi gravitazionali per toglierle ogni senso di peso materiale e renderla atta a suggerire quel senso di spiritualizzata immaterialità che costituirà l'ideale da lui perseguito lungo tutto l'arco della sua attività».

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Scritte nel 1913 le 6 Bagatelle per quartetto d'archi op. 9 appartengono allo stesso periodo creativo dei Cinque pezzi per orchestra op. 10 (scritti nello stesso anno 1913) e dei Cinque tempi per quartetto d'archi op. 5 (composti nel 1909). Come dicevamo in sede di presentazione dei Pezzi op. 10, nel seno della corrente atonale e dodecafonica che fa capo ad Arnold Schönberg, Anton Webern rappresenta l'istanza più radicale. Mentre l'attività creatrice dello altro allievo di Schönberg, Alban Berg, fu caratterizzata sul piano grammaticale dallo sforzo costante di connettere retroattivamente le acquisizioni di Schönberg ai portati della tradizione, ripercorrendo le tappe che il Maestro bruciava nell'impeto innovatore, Webern mirava a svilupparne gli aspetti rivoluzionari traendo le più spinte conseguenze da ogni nuovo concetto formale che le opere di Schönberg andavano via via proponendo.

Come le opere di cui sopra, così anche le 6 Bagatelle esemplificano nel modo più caratteristico la tendenza alla contrazione aforistica del discorso musicale che si era verificata nel periodo che intercorre tra il superamento dell'antico sistema tonale basato su scale di sette suoni, la conseguente conquista dello spazio dei dodici suoni e l'organizzazione di questo spazio «atonale» secondo i principi della tecnica seriale. Sospese le vecchie leggi, non ancora formulate le nuove, era diventato estremamente difficile comporre delle architetture sonore di ampio respiro, soprattutto laddove la musica non poteva appoggiarsi ad un testo poetico. Ed è perciò che nelle opere atonali composte intorno al 1910 la musica tende a contrarsi, ad assumere una concisione laconica. Delle 6 Bagatelle la prima comprende dieci battute, la seconda e la quarta soltanto otto, la terza e sesta nove e la quinta, che è la più lunga, si snoda in tredici misure. L'intero lavoro non dura che tre minuti e mezzo. Nella premessa alla partitura stampata nel 1924, Arnold Schönberg presentava le Bagatelle di quello che era stato uno dei suoi più grandi discepoli e che restò, alla pari del condiscepolo Berg, fino alla fine dei suoi giorni il più devoto amico del Maestro.

Scriveva Schönberg: «Per quanto persuasivo sia il modo in cui la brevità di questi pezzi parla in loro favore, per tanto necessaria è dall'altra parte una intercessione a favore di tale brevità. Si consideri quale sobrietà è necessaria per esprimersi con tanta brevità.

Ogni sguardo può estendersi in un poema, ogni sospiro in un romanzo. Tuttavia, esprimere un romanzo con un unico gesto, una felicità con un sol respiro: una tale concentrazione non può trovarsi che là dove ogni sentimentalismo è assente nelle stesse proporzioni. Comprenderà questi pezzi solo chi partecipa della fede, che attraverso i suoni si può dire qualcosa che nessun altro linguaggio può significare.

Ad una critica essi resistono tanto poco quanto ogni altra fede. Se la fede può smuovere le montagne, la miscredenza le può rendere inesistenti. Contro simile impotenza la fede è impotente.

Sa il suonatore ora, come egli deve suonare questi pezzi e l'ascoltatore come li deve ricevere? Suonatori credenti e ascoltatori disposti possono mancare di abbandonarsi e di comunicare reciprocamente? Ma cosa si deve fare con i pagani? Fuoco e spada porsono costringerli al silenzio; solo i credenti possono sentirne la suggestione. Possa risuonare fino a loro questo silenzio»!

Fatto sta però che ad una prima audizione questa musica difficilmente può rivelarsi in tutto il suo significato e rischia piuttosto di produrre un effetto di assoluto disorientamento nell'ascoltatore non avvertito. E questo soprattutto perché Webern sembra servirsi dei più sottili, elaborati e complessi procedimenti formali, non tanto per connettere, quanto per disgiungere, per isolare i suoni, in modo da creare un senso di rarefazione, di liberazione da ogni peso, da ogni campo di forze tonali o ritmiche. Il senso di impalpabilità sonora viene sottolineato dall'estrema delicatezza dei colori dinamici che, per esempio, nel quarto e nel quinto Pezzo non oltrepassano il «ppp» e il «pp». E' come se in questa musica i suoni serbassero sempre un'invincibile attrazione verso il silenzio dal quale affiorano appena e che per Webern sembra formare l'oggetto d'una nostalgia da paradiso perduto. Werben mira dunque, non tanto come dice Schönberg, a «esprimere un romanzo con un solo sospiro», ma a far dimenticare all'ascoltatore tutti i romanzi di questo mondo per trasportarlo in un «al di là» di ogni affettività terrestre, in uno sforzo supremo di conquistare i valori assoluti della trascendente vita dello spirito. E solo l'intuizione di chi ascolta può giudicare volta per volta se il patetico sforzo di questa musica di raggiungere il Tutto, non si tramuti nella sua dissoluzione, nel Nulla.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 novembre 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana;
Roma, Teatro Eliseo, 20 gennaio 1958


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Ultimo aggiornamento 7 novembre 2019