«Non ho mai capito le distinzioni tra classico e romantico e tra altri termini del genere, né mi sono mai contrapposto ai maestri del passato. Mi sono sforzato solo di seguire il loro esempio: raffigurare nel modo più chiaro quello che mi è concesso di dire». La riflessione autobiografica bene introduce i Cinque pezzi per orchestra op. 10, presentati in prima esecuzione a Zurigo nel 1926, ma composti tra il 1911 e il 1913.
L'organico prevede ottavino, flauto, clarinetto piccolo, clarinetto, clarinetto basso, corno, tromba, trombone, percussioni, mandolino, chitarra, celesta, harmonium, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbasso.
In questa terza opera per orchestra, successiva alla Passacaglia op. 1 e ai Sei pezzi op. 6, Webern esaspera il proprio abbandono dell'enfasi, davvero «raffigura quello che mi è concesso di dire»: accenna e dissolve, ma in ognuno dei cinque movimenti compiutamente. L'opera, nel suo essere e farsi, non consente l'attesa di altro, non annuncia, si risolve nella sua stessa concisione, giocata tra primi piani e campi lunghissimi, irruzioni e rarefazioni del suono. Un grembo generoso di invenzioni timbriche, di scansioni del tempo dell'emissione e dell'ascolto, dà struttura e senso al lavoro, dove si individuano ombre mahleriane, nella presenza di chitarra e mandolino, nel richiamo del corno, ed annunci delle grida future degli ottoni e delle percussioni di Varese, dei fremiti nella scrittura degli archi che diventeranno, nei decenni successivi, scuola e maniera. Immagini, ora più nitide, ora arcane, di un pulviscolo che si disperde e ricompatta, come le peripezie della memoria.
Sandro Cappelletto