Variazioni per orchestra, op. 30


Musica: Anton Webern (1883 - 1945)
Organico: flauto, oboe, clarinetto, clarinetto basso, corno, tromba, trombone, basso tuba, timpani, celesta, arpa, archi
Composizione: Maria Enzersdorf, 15 aprile - 25 novembre 1940
Prima esecuzione: Winterthur, 3 marzo 1943
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1956
Dedica: Werner Reinhart
Guida all'ascolto (nota 1)

«Un romanzo in un solo respiro» definì Schönberg le Variazioni op. 30 per orchestra del suo discepolo. La letteratura musicale non conosce infatti esempio di maggior concentrazione tematica. Da una formula intervallare minima Webern ricava, nelle sue Variazioni, un universo di relazioni sonore praticamente incommensurabile perché si produce da un gioco di intersezioni e di rifrazioni generantisi all'infinito le une dalle altre e irradiantisi in ogni direzione dello spazio percettivo. Non soltanto, cioè, nel senso della «narrativa» musicale classica, lungo la catena temporale degli accadimenti sonori, né soltanto verticalmente nell'istantaneità del sentimento armonico tradizionale, ma anche al modo obliquo, intermittente e retroattivo, che si esprime, durante l'ascolto, nelle forme del presentimento e della rammemorazione. Il «romanzo» delle Variazioni op. 30 dà adito a simili dimensioni percettive, che sono tipicamente contemporanee al pari dell'elemento discontinuo e multidirezionale di cui si nutre il romanzo della nuova età letteraria, non più fondato sullo sviluppo consequenziale di una storia a partire da personaggi e da motivi singolarmente individuati. Spiegare, perciò, come da una cellula di quattro note si autogeneri la serie dodecafonica a base del lavoro weberniano, eppoi scaturisca la sequela delle variazioni, è d'interesse puramente tecnico, e non serve ai fini di un'introduzione all'ascolto dell'op. 30; giacché non si tratta di inseguire determinati oggetti musicali lungo una loro peripezia, né di cogliere acusticamente una struttura formale, bensì di verificare psicologicamente l'infinità delle interrelazioni sonore che si moltiplicano all'interno della composizione, e la cui espressività e proprio data dalle loro parvenze, sfuggenti a una sistemazione globale definitiva così come in un gioco di specchi le immagini visive soverchiano la comprensione del loro insieme. Volendo usare una definizione abbastanza familiare potremmo dire che nelle Variazioni op. 30, come del resto in tutta quanta la musica di Webern, regna uno smarrimento lirico, uno sgomento al limite del silenzio, ovvero dell'assoluto relazionale, ignoti alla musica prima di lui. Webern spalanca alla musica una nuova esperienza esistenziale. Ciò non toglie che si possano indicare, anche in queste Variazioni, alcuni dati auditivamente caratterizzanti. In primo luogo l'uso esclusivo di due soli intervalli contigui: la seconda minore e la terza minore; l'una a fondamento del tessuto continuo del discorso musicale, a fondamento, cioè, della sua intonazione generale conforme la nuova «tonalità» semitonale individuata da Webern, l'altra a fondamento minimo dei fantasmi melodici e accordali ricorrenti lungo la composizione. Altro aspetto tipicamente weberniano è l'essenzialità della scrittura, la scheletricità sonora anche dell'op. 30. Ma in codesta emerge, come in nessun'altro lavoro del musicista austriaco, un aspetto solitamente trascurato dai suoi esegeti: l'aspetto personalissimo della sua agogica, regolata da un respiro dinamico di intensa poesia, direttamente discendente dalla grande tradizione romantica tedesca, da Schubert in poi. Nel che si contengono, forse, i maggiori problemi di interpretazione presentati dalla musica weberniana. Le Variazioni op. 30 furono scritte da Webern nel 1940, cinque anni prima della morte.

Piero Santi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 marzo 1966


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Ultimo aggiornamento 22 gennaio 2015