Quartetto per archi n. 2, op. 15


Musica: Alexander Zemlinsky (1871 - 1942)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 20 luglio 1913 - 12 marzo 1915
Prima esecuzione: Vienna, 9 aprile 1918
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1916
Dedica: Arnold Schönberg
Guida all'ascolto (nota 1)

Protagonista nella Vienna musicale a cavallo tra Ottocento e Novecento, Alexander von Zemlinsky fu molto legato a Gustav Mahler, che fu suo sostenitore e con il quale condivise la fama di grande direttore d'orchestra, ma anche ad Arnold Schönberg, più giovane di lui di soli tre anni. Zemlinsky conobbe Schönberg nel 1895, gli diede lezioni di composizione, lo introdusse nella vita musicale viennese, instaurò con lui uno stretto legame di amicizia, e sei anni dopo divenne anche suo cognato (quando Schönberg sposò sua sorella Mathilde von Zemlinsky). Nelle sue Jugenderinnerungen ricorda il loro incontro, avvenuto durante il concerto di un'orchestra amatoriale: «All'unico leggio di violoncello era seduto un giovane che maltrattava il suo strumento con tanta foga quante stonature [...] questo violoncellista non era altri che Schönberg, all'epoca un impiegato di banca [...] è così che l'ho conosciuto e questa conoscenza non ha tardato a diventare amicizia intima. [...] La sua prima opera di una certa importanza è stato un Quartetto per archi». Si tratta del Quartetto in re maggiore del 1897, che Zemlinsky ammirò molto (sulla sua genesi esercitò una grande influenza, spingendo Schönberg a rimaneggiare completamente il primo movimento e a riscrivere i due movimenti centrali) e che fece conoscere anche a Brahms. Un anno prima Zemlinsky aveva composto il suo primo Quartetto per archi, il più importante dei suoi lavori cameristici giovanili. Negli anni seguenti si consolidò il suo rapporto con Schönberg e con tutta la Scuola di Vienna (Zemlinsky fu anche maestro di Berg e di Webern, e interprete di molte loro musiche), anche se il suo linguaggio musicale non seguì la stessa evoluzione, arrivando ai confini della tonalità ma senza mai varcarli. Emblematico il confronto tra il suo Quartetto n. 2 op. 15, composto tra il 1913 e il 1914, e il Quartetto in re minore op. 7 di Schönberg del 1905, con il quale mostra evidenti relazioni strutturali e armoniche. Mentre Schönberg tendeva al blocco formale unico (come anche nella Kammersymphonie op. 9), con i temi che scaturivano gli uni dagli altri creando una grandiosa architettura ciclica, Zemlinsky cerca una soluzione più articolata e movimentata, una forma che procede per metamorfosi continue del materiale tematico. Se il Quartetto di Schönberg assomiglia ad una grande forma sonata, quello di Zemlinsky richiama piuttosto la forma di una Suite (e Berg se ne ricorderà nella Suite lirica per quartetto d'archi), o di un Rondò, con una parte principale che si alterna a differenti episodi contrastanti. Zemlinsky dedicò questo Quartetto a Schönberg, che fu molto grato all'amico: «È per me una grande gioia e un grande onore. Percepisco innanzitutto l'atto personale di amicizia. Ma anche una parola ufficiale di approvazione, di fede, di fiducia in me, pronunciata da un uomo maturo. È per me evidente la differenza tra la dedica di un giovane entusiasta e l'espressione di amicizia e di convinzione di un grande artista».

Il Quartetto in re minore op. 15 rappresenta un capolavoro nella produzione di Zemlinsky, e riflette molto bene la collocazione stilistica del compositore a metà strada tra l'eredità del Romanticismo e le inquietudini dell'Espressionismo. Le continue metamorfosi del materiale, nonostante la sua densità, conferiscono una grande flessibilità alla forma.

Zemlinsky ibrida la struttura del Quartetto in quattro movimenti, con la forma del tema con variazioni, creando una sorta di continua crescita organica, lontana dalla tradizionale dialettica sonatistica, una progressione musicale di visioni sonore, che sembra la «parabola musicale di un sogno» (Horst Weber). Il Quartetto si apre con un introduzione di 18 battutte (Sehr mässig), cromatica e modulante, che contiene tutto il materiale tematico alla base della costruzione del Quartetto. Seguono gesti molto evidenti e un incalzante gioco di variazioni, interrotto da squarci di calma nei quali affiorano progressivamente cellule tematiche del movimento seguente. Nell'ampio sviluppo tutto si muove forsennatamente, con una scrittura mobilissima e incandescente, in un crescendo continuo (in fortwährender Steìgerung), dal tono violento e appassionato, giocato su tensioni e distensioni che culminano in un climax sonoro che prepara la ripresa del tema iniziale. Gradualmente, e senza soluzione di continuità, si introduce il movimento successivo che si può suddividere in tre grandi sezioni: la parte iniziale ha il carattere di un Lied, per la struttura periodica che lo caratterizza e il metodizzare carico di tensione, in modo lidio, che sembra alludere alla Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito del Quartetto op. 132 di Beethoven, e che contiene una citazione da Verklärte Nacht di Schönberg. La seconda parte è costruita come una serie di variazioni, con il tema che assume i contorni di un Corale, e poi viene ramificato in sottili filigrane, frantumato in figure rapide e staccate, spezzate da respiri affannosi. La terza parte è un ampio Adagio, dal carattere morbido e scorrevole, una fitta trama intessuta di motivi diversi che trascolora improvvisamente in una dimensione fantomatica, fatta di arabeschi vertiginosi.

Il terzo movimento è uno Scherzo basato su un tema "inespressivo", volutamente meccanico, pieno di distorsioni armoniche, che sembra anticipare i modi della Spielmusik hindemithiana. Presto questi caratteri lasciano spazio ad una nuovo processo di variazioni, e a uno sviluppo selvaggio e eccitato (wild und verhetzt).

La ripresa, assai compressa, introduce il quarto movimento che ripresenta l'Andante iniziale e i diversi motivi ascoltati nei movimenti precedenti, ma con l'ordine dei temi retrogradato rispetto alla loro apparizione, e in una dimensione sospesa, instabile, movimentata da improvvise accelerazioni, raggelate nella lunga coda finale.

Gianluigi Mattietti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 marzo 2004


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Ultimo aggiornamento 17 ottobre 2014