Salmo 23, op. 14

per coro e orchestra

Musica: Alexander Zemlinsky (1871 - 1942)
Organico: coro misto, 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, piatti, glockenspiel, 2 arpe, celesta, archi
Composizione: 20 agosto 1910
Prima esecuzione: Vienna, 10 dicembre 1910
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1911
Guida all'ascolto (nota 1)

Anche se ormai non più trascurato del tutto come fino a pochi anni fa, Zemlinsky è un vero artista ancora ingiustamente misconosciuto. Eppure in Austria e in Germania nei tre decenni del radicale rinnovamento del linguaggio musicale (1900-1930) egli è stato un protagonista, stimato e ammirato da tutti i musicisti maggiori e massimi, per la sua intelligenza, l'eccezionale competenza tecnica, la generosità. Nel 1926, in una pubblica dichiarazione, Alban Berg aveva posto il suo nome dopo quello di Mahler e accanto a Debussy, Reger e Webern, volendo indicare così gli artisti che egli venerava (verehren) come i classici del nostro secolo (in Bei Alban Berg. Aus einem Gespräch mlt dem Komponisten des Wozzeck, in «Das Ideine Journal», Berlino, 25 gennaio 1926). E l'anno dopo Berg gli dedicò uno dei suoi capolavori, la Lyrische-Suite, citando anche nel IV movimento una bella frase melodica tratta dalla Lyrische-Symphonie dì Zemlinsky (ma, come è evidente, l'omaggio all'amico era già nel titolo). Perfino Stravinskij, a quell'epoca così lontano dai progessisti viennesi, aveva di Zemlinsky alta stima (e dichiarò di aver sentito, dirette da Zemlinsky, le migliori Nozze di Figaro delle sua vita).

Che cosa ha messo nell'ombra i meriti artistici reali di Zemlinsky? Al primo ascolto le sue opere maggiori, le sinfoniche e le teatrali specialmente, possono apparire indecise nello stile e sontuosamente decorative (l'accusa maggiore contro di lui è quella dell'eclettismo). Egli è, certo, un esponente del gusto decadente e simbolista, e il suo lirismo, le estenuazioni sensuali o le accensioni patetiche, ci suonano talvolta generiche (ma sempre scritte in modo magistrale). Tuttavia la sua sensibilità, le idee, le capacità espressive non sono vincolate al passato. In ciò che egli esprime e nei modi dell'espressione ci sono elementi di invenzione e di stile che se oggi la scarsa familiarità dell'ascolto rende a noi sfocati, dovevano essere evidenti a chi annetteva senza incertezze Zemlinsky alla musica progressiva: a Schönberg, dunque, a Webern, a Berg, e poi ad Adorno, che su Zemlinsky ha scritto un saggio rigoroso e persuasivo (pubblicato nel 1963 in Quasi una fantasia, è ora nel vol. 16 delle Gesammelte Schriften, pp. 351-367). «L'eclettismo di Zemlinsky diventa geniale, perché le capacità ricettive dell'artista sono esaltate a tal punto da pervenire a una prontezza di reazioni veramente sismografica verso tutti gli stimoli dai quali si fa inondare. Una debolezza che non si atteggia mai a creazione, acquista la forza di una seconda natura. [...] Flessibilità, fiuto, prontezza nervosa, fantasia nel fondere elementi eterogenei producono un oggetto assolutamente inconfondibile [ein durchaus Unverwechselbares]». Così Adorno. Dunque, la competenza formale di Zemlinsky, eccezionale direttore d'orchestra e didatta famoso, è fuori discussione. Ma il segreto della sua 'originalità' (la «debolezza che non si atleggia mai a creazione»), ciò di cui la sua invenzione, spontanea o riflessa, si nutre sono l'attenzione minima, la sottigliezza dei particolari, l'instancabilmente varia caratterizzazione delle melodie e dei loro colori, non solo nei procedimenti strumentali e timbrici ma anche nell'intonazione della parola cantata. In ciò egli è, nei suoi tempi, secondo solo a Puccini, Strauss, Berg. Lo dimostrano le sue partiture più esigenti e più raffinatamente controllate, come i bei Maelerlinckgesänge op. 13, il Secondo Quartetto op.15, dedicato a Schönberg, il Terzo op. 19, la grandiosa Lyrische-Symphonie, naturalmente, e l'opera Der Kreidekreis (e c'è mollo altro che dovrebbe ascoltare chi non è ostile al gusto decadente). Questi lavori, rispetto alla problematicità, al rigore, all'energia innovativa delle pagine più forti dell'espressionismo, protesi al nuovo anch'essi ma assai meno capaci di originalità e di concentrazione, ci presentano il momento di transizione o la fase di mediazione nonreazionaria tra decadentismo e radicalismo.

Così è anche per il Salmo XXIII op. 14, per coro misto e orchestra (prima esecuzione alla Filarmonica di Vienna il 10 dicembre 1910, direttore Franz Schreker), pagina di poesia musicale discreta e raffinatamente esotica, ma in verità anche manieristica a tratti. Come ho detto al principio, questo Salmo non vuol essere un'opera religiosa né l'espressione profonda di una fede, è bensì il canto nostalgico di un'antica letizia, su cui passa l'ombra della morte, una letizia che poi ritrova se stessa trasformandosi in esultanza, e che infine svanisce nel passato dal quale era giunta a noi. Già si comprende, dunque, che il testo sacro, sfogliato, sì, con amoroso rispetto da un ebreo nato in una famiglia devota, è qui poco più che un'occasione per l'evocazione estetizzante di un mondo pastorale e pio (la nenia iniziale dell'oboe e, poco dopo, il quadro terso e pacato di una natura benigna, quando il coro avvia il suo canto). La calma e la soavità dello stile non si turbano neppure nel ricordo dell'angoscia e del pericolo mortale («Und ob ich schon wanderte im finstren Tal, fürchte ich kein Unglück», «E sebbene ho vagato nell'oscura valle, non ho temuto alcuna sventura»), che resta una preghiera quasi solo mormorata all'inizio, per espandersi poi con respiro grandioso nella celebrazione della bontà divina. Ma sotto le parole festose dell'ultimo versetto (la promessa della fedeltà alla casa del Signore), i tenori prima, poi i bassi, poi tutti del coro, riprendono le parole dell'inizio, fino a un breve inno maestoso (8 battute sul pieno d'orchestra) che glorifica ancora la bontà e la misericordia del Signore. L'eco del grido si allontana, tre accordi dei legni in pianissimo annullano lo splendore dei suoni e dei colori, il mondo della certezza svanisce. «Der Herr ist mein Hirte», «Il Signore è il mio pastore», mormora di nuovo il coro, in una specie di incantato stupore, che si disperde nel chiaro silenzio del paesaggio.

Franco Serpa

Testo
Der XXIII Psalm
DER GUTE HIRTE
Der Herr ist mein Hirte; mir wird nichts mangeln.
Er weidet mich auf einer grünen Aue und führet mich zum frischen Wasser.
Er erquicket meine Seele; Er führet mich auf rechter Straße um Seines Namens willen.
Und ob ich schon wanderte im finstern Tal, fürchte ich kein Unglück; denn Du bist bei mir, Dein Stecken und Stab trösten mich.
Du bereitest vor mir einen Tisch im Angesicht meiner Feinde. Du salbest mein Haupt mit Öl und schenkest mir voll ein.
Gutes und Barmherzigkeit werden mir folgen mein Leben lang, und ich werde bleiben im Hause des Herrn immerdar.
Salmo XXIII
IL BUON PASTORE
Il Signore è il mio pastore; nulla mi mancherà.
Egli mi guida su un verde prato e mi conduce alla fresca acqua.
Ristora la mia anima; e in Suo nome mi conduce sulla via retta.
E sebbene ho vagato nell'oscura valle, non ho temuto alcuna sventura; perché Tu sei accanto a me, il Tuo bastone e la Tua verga mi confortano.
Tu prepari davanti a me una mensa in faccia ai miei nemici. Tu ungi d'olio il mio capo e mi versi [vino] fino all'orlo.
Bontà e misericordia mi seguiranno per tutta la vita, ed io resterò nella casa del Signore per sempre.
(testo della Bibbia di Lutero) (traduzione di Franco Serpa)

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 aprile 2004


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Ultimo aggiornamento 4 ottobre 2014