Sinfonietta, op. 23


Musica: Alexander Zemlinsky (1871 - 1942)
  1. Sehr lebhaft. Presto (molto vivace)
  2. Ballade, Sehr gemessen doch nicht schleppend (Ballata. Poco adagio ma non trascinato)
  3. Rondo. Sehr lebhaft (Molto vivace)
Organico: 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi (2 anche corno inglese), 2 clarinetti, 2 fagotti - 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, timpani, percussioni, arpa, archi
Composizione: 8 marzo - 3 luglio 1934
Prima esecuzione: Praga, 19 febbraio 1935
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1935
Guida all'ascolto (nota 1)

Entartete Musik. Musica degenerata. Nemmeno nella più tragica delle epurazioni - estetica, ideologica, politica, razziale - la musica ebbe l'onore della precedenza: la prima preoccupazione dei responsabili culturali del Partito Nazionalsocialista tedesco fu di marchiare di "degenerazione", concetto ripreso dalle scienze naturali e da una sciagurata teoria di Cesare Lombroso, l'Immagine: le arti visive non allineate. In una esposizione del 1937, a Monaco, intitolata Entartete Kunst, venne consumato il primo "regolamento di conti" (parole degli organizzatori). Con chi? Con l'arte "malata, malsana, dannosa" per lo spirito tedesco, con il cubismo e ogni sorta di astrattismo, con Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Otto Dix, Oskar Kokoschka, i cui quadri Paul Schultze-Naumburg, nuovo direttore dell'Istituto d'Arte di Weimar, ex Bauhaus, e teorico di spicco del nuovo corso politico, si era premurato di far togliere dai muri già nel 1930.

Un anno dopo, nel maggio del 1938, fu il turno della musica. In una mostra speculare ma meno nota, organizzata a Düsseldorf da Hans-Severus Ziegler, copia conforme di Schultze-Naumburg e delle sue idee ("La razza nordica deve comandare, perché soltanto essa riconosce le mete dell'uomo eroico"), ci si poteva aggirare tra foto, libri, manifesti, caricature e soprattutto attrezzate cabine in cui a un click si attivavano ascolti delle turpitudini di Igor Stravinskij, Ernst Krenek, Arnold Schònberg, Kurt Weill, Paul Hindemith; scelti esempi di quella musica "degenerata" che sosteneva il "caos atonale" quale "parallelo artistico del bolscevismo" e l'"alluvione del jazz-foxtrot" quale "espressione musicale dell'americanismo" (Hans Pfitzner, compositore dell'opera Palestina, in La nuova estetica dell'impotenza musicale. Un sintomo di decadenza?, 1926). Insomma, la sindrome dell'accerchiamento.

Le mostre "esemplari", le teorizzazioni su quanto era da considerarsi "subumano", i decreti che irroravano sanzioni amministrative e poi penali, aprivano la porta al lato oscuro del Vecchio Mondo. Non la sola Germania, ma l'intera Europa stava per vivere la più grande opera di spoliazione culturale, e soppressione anche fisica di talenti, che la storia recente abbia vissuto (senza illuderci che una replica sia impossibile).

Un flusso enorme di autori e di interpreti, di compositori, pianisti, violinisti, direttori, strumentisti di fila, solisti, cantanti, cameristi e semplici dilettanti prese le strade del mondo, dalle Americhe all'Asia, per sfuggire alla maledizione di un anatema in cui rientravano tre ordini di "degenerazioni": l'effrazione atonale, l'indulgenza verso la musica dei "negri", la colpa insanabile di essere ebrei.

Alexander Zemlinsky, destinato a morire in esilio a New York nel 1942, distrutto e dimenticato, fu anch'egli travolto dall'onda nera della Storia, in cui peraltro non aveva fatto nulla per essere coinvolto. Nulla di veramente "degenerato" - a parte essere convertito protestante, di famiglia cattolica convertita dall'ebraismo -, se non rispettare musicisti "degenerati", vivere e lavorare accanto alle migliori menti di Vienna al suo splendore.

Nato a Leopoldstadt, ora Vienna, il 14 ottobre 1871 (ricordatevi la data), Zemlinsky si era formato in un milieu saldamente "di tradizione". Il Conservatorio di Vienna in cui studia è ancora quello dominato dalle correnti classicistiche e brahmsiane di fine secolo. Brahms in persona crede in lui, ne giudica i primi risultati, lo sostiene, lo indirizza, si spende con il suo editore, Simrock, per far pubblicare il Trio op. 3, uno dei primi pezzi di valore di Zemlinsky. Che mai si dimenticherà di aver mosso i suoi passi da Brahms.

Quando Zemlinsky assume la direzione di Polyhymnia, orchestra di dilettanti in cui suona (il violoncello) Arnold Schönberg, di tre anni più giovane, con il futuro scardinatore dell'armonia classica nascono una sintonia e un'amicizia che si affievoliranno in tempi diversi, senza incrinare il rispetto di entrambi e con una coda umana toccante negli ultimi due, tristissimi anni americani. L'intesa sulla musica subirà un primo ripensamento, in Zemlinsky, con i Gurrelieder, e il colpo decisivo quando Schönberg romperà ogni indugio con la tonalità, che Zemlinsky non rinnegò mai. Rivelatore fu, nel 1905, il debutto simultaneo di una composizione propria, Die Seejungfrau, e dell'amico, Pelléas und Melisande; Zemlinsky si accorse traumaticamente che il pensiero forte non era il suo. L'amicizia invece appassirà più tardi, nel 1924, quando Schönberg si risposerà, dopo la morte della prima moglie, Mathilde Zemlinsky, sorella di Alexander. Con Arnold, erano anche parenti acquisiti.

Nella Vienna che ancora non vede la finis, Zemlinsky è tutt'altro che una personalità defilata o emarginata, è anzi al centro di una rete di amicizie, amori, rapporti di lavoro con l'elite della cultura viennese prima e dopo la Grande Guerra. Conosce, e ha come allieva non brillante, anche Alma Schindler, futura Signora Mahler, della quale subisce la poco resistibile attrazione erotica; anche in questo, in ottima compagnia: di Gustav Klimt prima di lui, poi di Mahler, Kokoschka, Gropius, Werfel. Almeno gli ufficiali.

L'amicizia con Mahler non subisce contraccolpi e men che meno l'ammirazione sconfinata per il musicista che nel 1900, alla Hofoper, gli aveva diretto il secondo lavoro teatrale, Es war einmal. Con Mahler corre anzi una sorta di identificazione personale: nel 1899 al Carltheater e nel 1904 alla Volksoper, Zemlinsky avvia una carriera come direttore di teatro che lo accomuna a Gustav anche nel modo in cui viene sofferta: necessaria ma d'intralcio alla composizione, che anche Zemlinsky sarà costretto a coltivare d'estate.

Quando Mahler lascia Vienna, Zemlinsky agisce di riflesso e si trasferisce a Praga, dove dirige il Deutsches Theater dal 1911 al 1927, anni in cui comunque scrive alcune delle sue composizioni migliori e più eseguite, che gli hanno garantito una minima considerazione della storia: il Secondo e Terzo Quartetto per archi (1912-13), la Eine florentinische Tragödie (1914-15), la Lyrische Symphonie (1922-23). Ed è giusto la più nota, la Lyrische Symphonie, ad aprire un doppio scambio, rivelatore, con la musica del tempo: Zemlinsky non nascose, anzi vantò, come il primo modello di questa pagina per soprano, baritono e orchestra, su versi di Rabindranath Tagore, fosse Das Lied von der Erde di Mahler. In contrappeso, Alban Berg "citò" il terzo movimento della Sinfonia Lirica nella sua Lyrische Suite per quartetto d'archi.

La stima per Zemlinsky attraversava diagonalmente la Nuova Scuola di Vienna. E viceversa: soppesando ogni perplessità, Schönberg continuava a restare alto sull'orizzonte musicale di Zemlinsky, che nel 1914 dedicava ad Arnold il suo Secondo Quartetto accompagnandolo con un "sono dei vostri, anche se sono diverso", e nel 1924 curava a Praga la prima rappresentazione di Erwartung. La persona e il musicista erano entrambi d'onore, ma è chiaro che Zemlinsky si consegna a noi stretto fra Mahler e i Viennesi, consumando in questa dicotomia il proprio ruolo nel presente e segnando i confini di una fortuna critica a lui inclemente. La sua posizione fra i due poli la metterà in chiaro di persona: "Per le opere di Mahler nutro la più totale, incondizionata, illimitata ammirazione. Non ho sempre uguale amore per le ultime opere di Schönberg, ma sempre un infinito rispetto". E molti condividono ancor oggi il quadro estetico di un musicista che aveva anche di sé idee chiarissime e senza illusioni.

Nel 1930, Zemlinsky scriveva ad Alma Mahler: "Sono sicuro che mi manca quel qualcosa di cui c'è bisogno - oggi più di sempre - per raggiungere la vetta. La mia carriera come direttore d'opera è alla fine... Potrò dedicare più tempo a lavorare per me stesso. Più di venticinque anni in teatro, sai per esperienza che cosa significa". Anni di galera accumulati alla fine anche con l'esperienza alla Kroll Opera di Berlino, nella vicinanza sofferta con Otto Klemperer, dal 1927 al 1932, perché Praga, piazza teatrale di secondo grado nel panorama europeo, era stata lasciata in favore della capitale tedesca. Ma nel 1932 anche Berlino comincia a scottare e Zemlinsky torna a Vienna. Liberato da doveri teatrali, comincia a comporre freneticamente, per compensare il tempo perduto.

Consapevole di competere con giganti, in una Vienna che Karl Kraus aveva identificato nel '14 come la "stazione meteorologica per la fine del mondo", Zemlinsky aveva scelto di agire con sobrietà in un'ampia zona franca tra tonalità e atonalità, mai con soluzioni estreme, preferendo per cultura (brahmsiana) e per vocazione (wagneriana, mahleriana) tecniche e profili espressivi più sfumati, nel cesello di un "controllato labirinto" (Paolo Petazzi) che dovrebbe avvicinarlo al nostro sguardo contemporaneo, più sensibile a ciò che sta "fra" le certezze. In realtà una giusta valutazione della sua musica non si è ancora compiuta.

La Sinfonietta op. 23 mette il punto finale sulla vita e sulla musica di Zemlinsky. Di tutto sembra l'epitome e la promessa: di un riconoscimento in patria che sembrava possibile dopo Berlino e di un "successo americano" che non fu.

Zemlinsky scrive la Sinfonietta in poche settimane nel giugno del 1934, quando insieme alla figlia Hansi e alla moglie Louise cerca respiro dalle tristezze di Vienna (poco lavoro, situazione politica ed economica disperate): prima a Marienbad, quattrocento chilometri a nord-est della capitale, e poi in una nuova casa nella periferia viennese di Grinzing, severa ma "firmata" da Adolf Loos, in cui gli Zemlinsky hanno tra i vicini Sigmund Freud, Egon Wellesz, Elias Canetti. All'inizio di luglio la Sinfonietta è conclusa e sembra il premio di un riscatto meritato.

Pochi mesi prima, il trionfo di Der Kreidekreis a Zurigo e le commissioni di non pochi teatri per la ripresa dell'opera in diverse città della Germania, aveva lasciato ben sperare. Ma i primi editti "degenerati" cominciano a lavorare, stroncando la tournée appena iniziata. Nonostante il trionfo interrotto, la Sinfonietta promette buone cose: per somma di coincidenze, che coincidenze non sono, Zemlinsky torna a scrivere per orchestra dopo quasi trent'anni dalla Sinfonia n. 2 in sì bemolle, con cui cercava un suo posto nella Vienna dell'Impero che non c'è più.

Zemlinsky sa bene che cosa è cambiato nella musica: ovunque in Europa le forme si sono esercitate, anche per sollecitazione di nuovi mezzi e nuove destinazioni (teatro da camera, radio, cinema), su dimensioni ridotte. Una pagina per orchestra anche per lui non può che essere in prudente diminutio: Sinfonietta. E ridotta è l'orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, percussioni e archi sono un organico che rientra quasi nei canoni del classicismo. La Sinfonietta op. 23 è pensata come apparente omaggio alla Forma e sostanziale rispetto del marchio d'autore. La scansione in tre movimenti - Sehr lebhaft (Molto vivace); Ballade: Sehr gemessen (Poco adagio); Rondo: Sehr lebhaft (Molto vivace) - non deve trarre in inganno. Una generosa abbondanza di soggetti, motivi, episodi assicura la contraddizione del prevedibile e la garanzia della sorpresa.

Zemlinsky, maestro di molti grandi allievi, era famoso per insegnare l'arte della varietà tematica a partire da materiali anche esili, secondo la lezione della musica cameristica, in cui pure era maestro. Nell'attacco veloce del primo movimento, Sehr lebhaft, pulsa un motivo di quattro note che riprende i buoni esempi di asciuttezza e incisività su cui Beethoven costruiva cattedrali. Su quel sintetico motivo è costruita una scattante introduzione che apre a un primo tema, su quinte discendenti; un secondo tema, introdotto come variante delle quattro note, fa sua una parte dell'introduzione entro uno sviluppo di frasi e motivi cui non è estranea l'eco di un Ländler, patrimonio della memoria di Zemlinsky quanto di Mahler.

La Ballade del secondo movimento - "poco adagio ma non troppo trascinato", raccomanda Zemlinsky - è un piccolo capolavoro di intensità: lo giocano con grazia misteriosa le frasi a imitazione tra fiati e archi bassi, le punteggiature su due note, il clarinetto e l'oboe che evocano climi e colori della musica da strada, senza farsi mancare un topos della Nostalgia: il ripiegamento su un solo di violino che culmina in glissando. E anche l'impianto della tonalità d'origine è velato se non contraddetto, mentre un ciclo ondivago di ostinati conduce fino alla fine di un movimento che Berg, ascoltata la Sinfonietta alla radio, nel giugno del '35, dichiarava il punto più alto del lavoro intero, nel quale si "riconosce il vero suono Zemlinsky, percepibile in ogni frase".

Anche il Rondo corre veloce e con abilità in molte direzioni, su una quantità di idee inutile da riassumere, con punteggiature nette che riprendono il motivo dell'Introduzione, falsi inizi, una melodia affranta su oboe e archi, un tema cantabile dominato dagli archi, corretto da un riassunto a pieno organico che, dopo una breve cadenza del flauto, conduce a un finale trascinante, con gusto e misura.

La Sinfonietta piacque alla Universal, che accettò di pubblicarla. Heinrich Jalowetz, allievo di Schönberg e successore di Klemperer a Colonia, la diresse il 19 febbraio del 1935, naturalmente non a Vienna ma a Praga, città dalla quale Zemlinsky, a sessantatrè anni, riceveva le ultime commissioni. Il 4 giugno però, Zemlinsky poteva gustarsi con la Sinfonietta l'estrema soddisfazione: dirigerla a Vienna in una esecuzione trasmessa per radio, quella che Berg ascoltò poco prima di morire, il 24 dicembre, a 50 anni. Poi più nulla, in patria.

Il 29 dicembre 1940, un anno dopo l'esilio in America, anche quello conquistato con fatica e dolore, la Sinfonietta fu eseguita a New York da Dimitri Mitropoulos, in un concerto pure radiotrasmesso che, non a caso, aveva in programma anche Brahms. Piacque molto a tutti, critici compresi. Sul New York Times, Olin Downes la giudicò un capolavoro dell'Insegnante e cognato di Schönberg". Destino. Schönberg l'ascoltò, per radio, in California, e scrisse a Zemlinsky un telegramma toccante: "Ascoltata la tua meravigliosa Simfonietta (sic). Spero sia l'inizio del tuo successo americano". Ma Zemlinsky, che già nel '36 qualcuno aveva visto "molto vecchio, misero, un uomo spezzato", non aveva più corpo e voglia di vivere. Morì il 15 marzo del 1942. Solo quarantanni dopo, nel 1985, Vienna lo avrebbe simbolicamente accolto nel Zentralfriedhof, accanto alle tombe di Beethoven, Schubert e Brahms. Sbagliando sulla stele anche la data di nascita: Zemlinsky, 1872-1942.

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 marzo 2017


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Ultimo aggiornamento 2 aprile 2017